POESIE

giovedì 25 ottobre 2012

Passacaglia da Stefano Landi a Franco Battiato




Chi era Stefano Landi?

Battezzato il 26 febbraio 1587, Stefano Landi nel 1595 entrò come putto soprano al Collegio Germanico, forse sotto il magistero di Asprilio Pacelli.

Ricevette gli ordini minori nel 1599 e fu ammesso al Seminario Romano nel 1602. Negli Annali del Seminario di Girolamo Nappi è ricordato come compositore di una pastorale nel Carnevale nel 1607; nel 1611 il suo nome appare anche tra gli organisti e tra i cantori. In quegli stessi anni Agostino Agazzari era maestro di cappella al Seminario, ed è probabile che sia stato tra gli insegnanti di Landi. Nel 1614 e sino al 1617 Stefano Landi divenne maestro di cappella nellachiesa di Santa Maria della Consolazione.

Nel 1618 si trasferì e fu al servizio del vescovo di Padova, Marco Corner, a cui dedicò una raccolta di madrigali a cinque voci pubblicata a Venezia nel 1619. Nello stesso anno stampò anche la sua prima opera, La morte d'Orfeo, musicalmente debitrice, almeno in parte, all'Eumelio di Agostino Agazzari, quest'ultimo rappresentato a Roma nel carnevale del 1606 proprio al Seminario Romano.

Nel 1620 ritornò a Roma, dove passerà il resto della sua vita. Tra i suoi mecenati ci saranno i Borghese, il cardinale Maurizio di Savoia, e i Barberini. Questi ultimi saranno i suoi contributori più importanti tra la fine degli anni 1620 e1630. Il 29 novembre 1629 entrerà nel coro della cappella musicale pontificia come contralto.

Per la famiglia Barberini scriverà la sua opera più celebre, il Sant'Alessio, scritta su testo di Giulio Rospigliosi e rappresentato nel carnevale del 1632.

Stefano Landi fu un compositore prolifico; scrisse messe, arie e responsori, la maggior parte nello stile della seconda prattica del primo Barocco.

Oltre all'indubbia genialità del compositore, contribuì al suo successo la capacità di intrattenere ottime relazioni con l'aristocrazia contemporanea, da cui seppe trarre intelligente profitto.

Nel 1636 cominciò a soffrire di problemi di salute. Il 26 ottobre 1639, due giorni prima di morire, Landi dettò le sue ultime volontà. Fu il primo a essere seppellito nella tomba comune dei cantori pontifici nella Chiesa Nuova. Nell'inventario dei beni ereditari furono segnati una grande quantità di manoscritti e musica stampata, oltre a molti strumenti musicali.
Il primo libro di madrigali a cinque voci e basso continuo è rispettoso del linguaggio musicale del tardo XVI secolo, da cui si distingue essenzialmente per l'adozione del basso continuo, del resto ormai largamente utilizzato dai compositori. Altri generi di musica profana, come arie e canzoni, queste ultime spesso nello stile strofico e semplice della villanella dimostrano la versatilità di Landi.

La Missa in benedictione nuptiarum, scritta per i cantori pontifici, pur presentandosi nel consueto organico senza strumenti – peculiare di quella cappella – non ricalca lo stile arcaico del passato, evidenziando un linguaggio compositivo ricco di elementi esornativi.

La morte d’Orfeo è tra i primi importanti melodrammi italiani, e anche il primo su soggetto profano a essere rappresentato a Roma.

Parte della sua produzione è andata perduta.

(da Wikipedia)

Testo di Stefano Landi

Oh come t'inganni
se pensi che gl'anni
non hann' da finire,
bisogna morire.

È un sogno la vita
che par sì gradita,
è breve gioire,
bisogna morire.
Non val medicina,
non giova la China,
non si può guarire,
bisogna morire.

Non vaglion sberate,
minarie, bravate
che caglia l'ardire,
bisogna morire.
Dottrina che giova,
parola non trova
Che plachi l'ardire,
bisogna morire.

Non si trova modo
di scoglier 'sto nodo,
non val il fuggire,
bisogna morire.
Commun'è statuto,
non vale l'astuto
'sto colpo schermire,
bisogna morire.

La morte crudele
a tutti è infedele,
ogn'uno svergogna,
morire bisogna.
È pur ò pazzia
o gran frenesia,
par dirsi menzogna,                                                                       
morire bisogna.

Si more cantando,
si more sonando
la Cetra, o Sampogna,
morire bisogna.
Si muore danzando,
bevendo, mangiando;
con quella carogna
morire bisogna.

I Giovani, i putti
e gl'Huomini tutti
s'hann'a incenerire,
bisogna morire.
I sani, gl'infermi,
i bravi, gl'inermi
tutt'hann'a finire,
bisogna morire.

E quando che meno
ti pensi, nel seno
ti vien a finire,
bisogna morire.
Se tu non vi pensi
hai persi li sensi,
sei morto e puoi dire:
bisogna morire.




Franco Battiato e Mario Sgalambro





 

Testo di Battiato e Sgalambro


Ah! come t'inganni se pensi che gli anni non han da finire

è breve il gioire.

I sani, gl'infermi, i bravi, gl'inermi, è un sogno la vita che par sì gradita.

Vorrei tornare indietro per rivedere il passato,

per comprendere meglio quello che abbiamo perduto.

Viviamo in un mondo orribile.

Siamo in cerca di un'esistenza.

La gente è crudele, e spesso infedele, nessun si vergogna di dire menzogna.

I giovani, i putti e gl'Huomini tutti non vale il fuggire si plachi l'ardire.

Vorrei tornare indietro, per rivedere gli errori, per accelerare il mio processo interiore.

Ero in quinta elementare,

entrai per caso nella mia esistenza...

fatta di giorni allegri

e di continue esplorazioni,

e trasformazioni dell'io.

Vorrei tornare indietro nella mia casa d'origine,

dove vivevo prima di arrivare qui sulla Terra.

Entrai per caso nella mia esistenza

di antiche forme di insegnamenti

e trasformazioni dell'io.

** tratto da "Passacaglia della vita" di Stefano Landi, libero adattamento di Franco Battiato - Manlio Sgalambro


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