POESIE

mercoledì 29 febbraio 2012

Mut' azione



Risultati immagini per cambiamento
A terra giace tutto l'ego

 in occhi sublimi

invoca  carità



Di quale abito indosserai il colore

e di quale parola cercherai il significato

per il flaccido compiersi del tuo mutevole mutare


Come pensi che possa io cambiare se

del cambiamento

già fui Regina


Come la carta dal mazzo esce

dettando la sconfitta

o dal polsino come asso nascosto

che barando vince

martedì 28 febbraio 2012

Le trasformazioni di Pictor


Le trasformazioni di Pictor

(Hermann Hesse)



Appena giunto in paradiso Pictor si trovò dinnanzi ad un albero che era insieme uomo

e donna. Pictor salutò l'albero con riverenza e chiese: "Sei tu l'albero della vita?". Ma
quando, invece dell'albero, volle rispondergli il serpente, egli si voltò e andò oltre. Era
tutt'occhi, ogni cosa gli piaceva moltissimo. 
Sentiva chiaramente di trovarsi nella patria e alla fonte della vita. E di nuovo vide un albero, che era insieme sole e luna.
Pictor chiese: "Sei tu l'albero della vita?".
Il sole annuì e sorrise. Fiori meravigliosi lo guardavano, con una moltitudine di colori e
di luminosi sorrisi, con una moltitudine di occhi e di visi. Alcuni annuivano e ridevano,
altri annuivano e non sorridevano: ebbri tacevano, in se stessi si perdevano, nel loro
profumo si fondevano. Un fiore cantò la canzone del lillà, un fiore cantò la profonda
ninna nanna azzurra. Uno dei fiori aveva grandi occhi blu, un altro gli ricordava il
primo amore. Uno aveva il profumo del giardino dell'infanzia, il suo dolce profumo
risuonava come la voce della mamma. Un altro, ridendo, allungò verso di lui la sua
rossa lingua curva. Egli vi leccò, aveva un sapore forte e selvaggio, come di resina e di
miele, ma anche come di un bacio di donna.
Tra tutti questi fiori stava Pictor, pieno di struggimento e di gioia inquieta. Il suo
cuore, quasi fosse una campana, batteva forte, batteva tanto; il suo desiderio ardeva
verso l'ignoto, verso il magicamente prefigurato.
Pictor scorse un uccello sull'erba posato e di luminosi colori ammantato, di tutti i colori
il bell'uccello sembrava dotato. Al bell'uccello variopinto egli chiese: "Uccello, dove è
dunque la felicità?".
"La felicità?" disse il bell'uccello e rise con il suo becco dorato, "la felicità, amico, è
ovunque, sui monti e nelle valli, nei fiori e nei cristalli".
Con queste parole l'uccello spensierato scosse le sue piume, allungò il collo, agitò la
coda, socchiuse gli occhi, rise un'ultima volta e poi rimase seduto immobile, seduto
fermo nell'erba, ed ecco: l'uccello era diventato un fiore variopinto, le piume si erano
trasformate in foglie, le unghie in radici. Nella gloria dei colori, nella danza e negli
splendori, l'uccello si era fatta pianta. Pictor vide questo con meraviglia.
E subito il fiore-uccello cominciò a muovere le sue foglie e i suoi pistilli, già era stanco
del suo essere fiore, già non aveva più radici, scuotendosi un po' si innalzò lentamente e
fu una splendida farfalla, che si cullò nell'aria, senza peso, tutta di luce soffusa,
splendente nel viso. Pictor spalancò gli occhi dalla meraviglia.
Ma la nuova farfalla, l'allegra variopinta farfalla-fiore-uccello, il luminoso volto
colorato volò intorno a Pictor stupefatto, luccicò al sole, scese a terra lieve come un
fiocco di neve, si sedette vicino ai piedi di Pictor, respirò dolcemente, tremò un poco
con le ali splendenti, ed ecco, si trasformò in un cristallo colorato, da cui si irraggiava
una luce rossa. Stupendamente brillava tra erbe e piante, come rintocco di campana
festante, la rossa pietra preziosa. Ma la sua patria, la profondità della terra, sembrava
chiamarla; subito incominciò a rimpicciolirsi e minacciò di scomparire. Allora Pictor,
spinto da un anelito incontenibile, si protese verso la pietra che stava svanendo a la tirò
a sé. Estasiato, immerse lo sguardo nella sua luce magica, che sembrava irraggiargli nel
cuore il presentimento di una piena beatitudine.
All'improvviso, strisciando sul ramo di un albero disseccato, il serpente gli sibilò
nell'orecchio:" La pietra ti trasforma in quello che vuoi. Presto, dille il tuo desiderio,
prima che sia troppo tardi!".
Pictor si spaventò e temette di vedere svanire la sua fortuna. Rapido disse la parola e si
trasformò in un albero. Giacché più di una volta aveva desiderato essere albero, perché
gli alberi gli apparivano così pieni di pace, di forza e di dignità.
Pictor divenne albero. Penetrò con le radici nella terra, si allungò verso l'alto, foglie e
rami germogliarono dalle sue membra. Era molto contento. Con fibre assetate succhiò
nelle fresche profondità della terra e con le sue foglie sventolò alto nell'azzurro. Insetti
abitavano nella sua scorza, ai suoi piedi abitavano il porcospino e il coniglio, tra i suoi
rami gli uccelli.
L'albero Pictor era felice e non contava gli anni che passavano. Passarono molti anni
prima che si accorgesse che la sua felicità non era perfetta. Solo lentamente imparò a
guardare con occhi d'albero. Finalmente poté vedere, e divenne triste.
Vide infatti che intorno a lui nel paradiso gran parte degli esseri si trasformava assai
spesso, che tutto anzi scorreva in un flusso incantato di perenni trasformazioni. Vide
fiori diventare pietre preziose o volarsene via come folgoranti colibrì. Vide accanto a
sé più d'un albero scomparire all'improvviso: uno si era sciolto in fonte, un altro era
diventato coccodrillo, un altro ancora nuotava fresco e contento, con grande
godimento, come pesce allegro guizzando, nuovi giochi in nuove forme inventando.
Elefanti prendevano la veste di rocce, giraffe la forma di fiori.
Lui invece, l'albero Pictor, rimaneva sempre lo stesso, non poteva più trasformarsi. Dal
momento in cui capì questo, la sua felicità se ne svanì: cominciò ad invecchiare e
assunse sempre più quell'aspetto stanco, serio e afflitto, che si può osservare in molti
vecchi alberi. Lo si può vedere tutti i giorni anche nei cavalli, negli uccelli, negli uomini
e in tutti gli esseri: quando non possiedono il dono della trasformazione, col tempo
sprofondano nella tristezza e nell'abbattimento, e perdono ogni bellezza.
Un bel giorno, una fanciulla dai capelli biondi e dalla veste azzurra si perse in quella
parte del paradiso. Cantando e ballando la bionda fanciulla correva tra gli alberi e
prima di allora non aveva mai pensato di desiderare il dono della trasformazione.
Più di una scimmia sapiente sorrise al suo passaggio, più di un cespuglio l'accarezzò
lieve con le sue propaggini, più di un albero fece cadere al suo passaggio un fiore, una
noce, una mela, senza che lei vi badasse.
Quando l'albero Pictor scorse la fanciulla, lo prese un grande struggimento, un
desiderio di felicità come non gli era ancora mai accaduto. E allo stesso tempo si trovò
preso in una profonda meditazione, perché era come se il suo stesso sangue gli
gridasse :" Ritorna in te! Ricordati in questa ora di tutta la tua vita, trovane il senso,
altrimenti sarà troppo tardi e non ti sarà più data alcuna felicità". Ed egli ubbidì.
Rammemorò la sua origine, i suoi anni di uomo, il suo cammino verso il paradiso, e in
modo particolare quell'istante prima che si facesse albero, quell'istante meraviglioso in
cui aveva avuto in mano quella pietra fatata. Allora, quando ogni trasformazione gli era
aperta, la vita in lui era stata ardente come non mai! Si ricordò dell'uccello che allora
aveva riso e dell'albero con la luna e il sole; lo prese il sospetto che allora avesse perso,
avesse dimenticato qualcosa, e che il consiglio del serpente non era stato buono.
La fanciulla udì un fruscio tra le foglie dell'albero Pictor, alzò lo sguardo e sentì, con
un improvviso dolore al cuore, nuovi pensieri, nuovi desideri, nuovi sogni muoversi
dentro di lei. Attratta dalla forza sconosciuta si sedette sotto l'albero. Esso le appariva
solitario, solitario e triste, e in questo bello, commovente e nobile nella sua muta
tristezza; era incantata dalla canzone che sussurrava lieve la sua chioma. Si appoggiò al
suo tronco ruvido, sentì l'albero rabbrividire profondamente, sentì lo stesso brivido nel
proprio cuore. Il suo cuore era stranamente dolente, nel cielo della sua anima
scorrevano nuvole, dai suoi occhi cadevano lentamente pesanti lacrime. Cosa stava
succedendo? Perché doveva soffrire così? Perché il suo cuore voleva spaccare il petto
e andare a fondersi con lui, con esso, con il bel solitario?
L'albero tremò silenzioso fin nelle radici, tanto intensamente raccoglieva in sé ogni
forza vitale, proteso verso la fanciulla, in un ardente desiderio di unione. Ohimé,
perché si era lasciato raggirare dal serpente per essere confinato così, per sempre, solo
in un albero! Oh, come era stato cieco, come era stato stolto! Davvero allora sapeva
così poco, davvero allora sapeva così poco, davvero era stato così lontano dal segreto
della vita? No, anche allora l'aveva oscuramente sentito e presagito, ohimé! E con
dolore e profonda comprensione pensò ora all'albero che era fatto di uomo e di donna!
Venne volando un uccello, rosso e verde era l'uccello, ardito e bello , mentre
descriveva nel cielo un anello. La fanciulla lo vide volare, vide cadere dal suo becco
qualcosa che brillò rosso come sangue, rosso come brace, e cadde tra le verdi piante,
splendette di tanta familiarità tra le verdi piante, il richiamo squillante della sua rossa
luce era tanto intenso, che la fanciulla si chinò e sollevò quel rossore. Ed ecco che era
un cristallo, un rubino, ed intorno ad esso non vi può essere oscurità.
Non appena la fanciulla ebbe preso la pietra fatata nella sua mano bianca,
immediatamente si avverò il sogno che le aveva riempito il cuore. La bella fu presa,
svanì e divenne tutt'uno con l'albero, si affacciò dal suo tronco come un robusto
giovane ramo che rapido si innalzò verso di lui.
Ora tutto era a posto, il mondo era in ordine, solo ora era stato trovato il paradiso,
Pictor non era più un vecchio albero intristito, ora cantava forte Pictoria. Vittoria.
Era trasformato. E poiché questa volta aveva raggiunto la vera, l'eterna
trasformazione, perché da una metà era diventato un tutto, da quell'istante poté
continuare a trasformarsi, tanto quanto voleva. Incessantemente il flusso fatato del
divenire scorreva nelle sue vene, perennemente partecipava della creazione risorgente
ad ogni ora.
Divenne capriolo, divenne pesce, divenne uomo e serpente, nuvola e uccello. In ogni
forma però era intero, era un "coppia", aveva in sé luna e sole, uomo e donna, scorreva
come fiume gemello per le terre, stava come stella doppia in cielo.

lunedì 27 febbraio 2012

... ladra!

... mi sono germogliate le dita tanta era l'aria di primavera oggi.
Anacronistiche tracce di neve ormai  annerita e testarda rimasta  a fiancheggiare i viali del parco, dove margherite sfacciate e irriverenti, come adolescenti ragazze alla loro prima uscita, civettavano con l'imberbe azzurro del cielo.
Ho annusato l'aria, una volta, un'altra e poi ancora, per colmare quel bisogno di rinascita che scatta ad ogni arrivo della stagione del Botticelli. Respiri profondi pieni di colori, odori, umori percepiti e trattenuti dentro me a tal punto da provare la necessità di voltarmi attorno, per paura di essere additata... LADRA!

animamundi


Dmitri Ivanov - Ragazzo che suona il duduk
Ti sei richiusa in cicatrici amare
fra i terrazzati coaguli del pensare ansioso
quello con la a dei grandi momenti.

Non voglio strillare
né tanto meno evolvere
ma muovermi taciturna
quasi assente
in una dimensione trasparente
inutile agli occhi ed alla bocca
perfetta per l'amare
-senza sinonimi-
agli albori
dai prudenti errori
sedata dal sale
percossa dal sole
progenie assoluta
del Timeo verticale



domenica 26 febbraio 2012

someone like you


ora








Dicono che è vero che quando si muore poi non ci si vede più


dicono che è vero che ogni grande amore naufraga la sera davanti alla tv






dicono che è vero che ad ogni speranza corrisponde stessa quantità di delusione


dicono che è vero sì ma anche fosse vero non sarebbe giustificazione


per non farlo più, per non farlo più


ora






dicono che è vero che quando si nasce sta già tutto scritto dentro ad uno schema


dicono che è vero che c’è solo un modo per risolvere un problema


dicono che è vero che ad ogni entusiasmo corrisponde stessa quantità di frustrazione


dicono che è vero sì ma anche fosse vero non sarebbe giustificazione


per non farlo più, per non farlo più


ora






non c’è montagna più alta di quella che non scalerò


non c’è scommessa più persa di quella che non giocherò


ora






dicono che è vero che ogni sognatore diventerà cinico invecchiando


dicono che è vero che noi siamo fermi è il panorama che si sta muovendo


dicono che è vero che per ogni slancio tornerà una mortificazione


dicono che è vero sì ma anche fosse vero non sarebbe giustificazione


per non farlo più, per non falro più, ora






non c’è montagna più alta di quella che non scalerò


non c’è scommessa più persa di quella che non giocherò


ora


ora


ora…

venerdì 24 febbraio 2012

Andrea Zanzotto




Da questa artificiosa terra-carne
esili acuminati sensi
e sussulti e silenzi,
da questa bava di vicende
- soli che urtarono fili di ciglia
ariste appena sfrangiate pei colli -
da questo lungo attimo
inghiottito da nevi, inghiottito dal vento,
da tutto questo che non fu
primavera non luglio non autunno
ma solo egro spiraglio
ma solo psiche,
da tutto questo che non è nulla
ed è tutto ciò ch'io sono:
tale la verità geme a se stessa,
si vuole pomo che gonfia ed infradicia.
Chiarore acido che tessi
i bruciori d'inferno
degli atomi e il conato
torbido d'alghe e vermi,
chiarore-uovo
che nel morente muco fai parole
e amori.

Le più belle poesie












Le più belle poesie
si scrivono sopra le pietre
coi ginocchi piagati
e le menti aguzzate dal mistero.
Le più belle poesie si scrivono
davanti a un altare vuoto,
accerchiati da argenti
della divina follia.
Così, pazzo criminale qual sei
tu detti versi all’umanità,
i versi della riscossa
e le bibliche profezie
e sei fratello a Giona.
Ma nella Terra Promessa
dove germinano i pomi d’oro
e l’albero della conoscenza
Dio non è mai disceso né ti ha mai maledetto.
Ma tu sì, maledici
ora per ora il tuo canto
perché sei sceso nel limbo,
dove aspiri l’assenzio
di una sopravvivenza negata.




La neve è la mano del cielo
che t'inciampa il passo.
Ti costringe silenziosa a svelare l'anima esiliata
che quell'allegro fioccare danzante,dall'ego ha affrancata
Mi scopro fragile ogni volta che un pendio scosceso mi si pone incontro; conosco la montagna dal salire e quando giù di nuovo devo andare, la paura mi assale.
Aspetterò la notte, mia madre, che coprendomi  di stelle quando addormentata abbraccerò la Luna, con mano severa m'adagerà sulla mia nuova strada. Da lì vedrò che in fondo, era solo l'ennesima salita.



venerdì 17 febbraio 2012

QUELLE COME ME




Quelle come me regalano sogni, anche a costo di rimanerne prive.
Quelle come me donano l’Anima,
perché un’anima da sola è come una goccia d’acqua nel deserto.
Quelle come me tendono la mano ed aiutano a rialzarsi,
pur correndo il rischio di cadere a loro volta.
Quelle come me guardano avanti,
anche se il cuore rimane sempre qualche passo indietro.
Quelle come me cercano un senso all’esistere e, quando lo trovano,
tentano d’insegnarlo a chi sta solo sopravvivendo.
Quelle come me quando amano, amano per sempre.
e quando smettono d’amare è solo perché
piccoli frammenti di essere giacciono inermi nelle mani della vita.
Quelle come me inseguono un sogno
quello di essere amate per ciò che sono
e non per ciò che si vorrebbe fossero.
Quelle come me girano il mondo alla ricerca di quei valori che, ormai,
sono caduti nel dimenticatoio dell’anima.
Quelle come me vorrebbero cambiare,
ma il farlo comporterebbe nascere di nuovo.
Quelle come me urlano in silenzio,
perché la loro voce non si confonda con le lacrime.
Quelle come me sono quelle cui tu riesci sempre a spezzare il cuore,
perché sai che ti lasceranno andare, senza chiederti nulla.
Quelle come me amano troppo, pur sapendo che, in cambio,
non riceveranno altro che briciole.
Quelle come me si cibano di quel poco e su di esso,
purtroppo, fondano la loro esistenza.
Quelle come me passano inosservate,
ma sono le uniche che ti ameranno davvero.
Quelle come me sono quelle che, nell’autunno della tua vita,
rimpiangerai per tutto ciò che avrebbero potuto darti
e che tu non hai voluto…






nuvola di lago



Iniziò per conto suo l'estate
tre giorni dopo 
a me
regalò il sole

Tempo di ombra 
non ero abituata

Mi strinse gli occhi
Mi tratteggiò il cuore

Danzai come nuvola di lago
vagando notti intere
mostrandomi da dea agli umani
sospirandomi di foglie tra i giardini
a cercar coperte lune
a spegnere lampioni 

-tanto era colmo di luce il mio guardare-

avrei potuto dire
amore
grande 
senza fine
ma solo ora ne conosco il nome...

occhio d'uragano





Com'è languida la Luna stasera
spettinata dal gelido vento che tutto rischiara
come goccia lacrimata da occhio d'uragano
nelle tue mani raccolta

Ci sospirerà la notte
alitando il primo sbadiglio dell'alba
il mio nome
il tuo nome
e ci troverà svegli
sorpresa 
del nostro essere amanti

giovedì 16 febbraio 2012





1872 - 1218
Lascia che il primo pensiero sia per te
con il caldo abbraccio del mattino,
e la mia prima paura, che un pericolo
sconosciuto ti nasconda nel buio.


EMILY DICKINSON


1864 - 903
Mi nascondo dentro il mio fiore,
perché, quando morirà nel tuo vaso,
tu, ignaro, senta per me
almeno una solitudine.




EMILY DICKINSON


1862 - 640
Non posso vivere con te
sarebbe Vita
e la vita è altrove
là dove il becchino
custodisce la chiave
...
 Non potrei morire con te
uno di noi deve attendere
per chiudere gli occhi dell'altro
tu non lo puoi fare
ed io
come posso rimanere
e vederti morire
senza il mio diritto al gelo
privilegio della morte?

E non potrei risorgere con te
perché il tuo viso
nella nuova grazia
offuscherebbe quella del divino
splenderebbe semplice e nemica
per i miei occhi infelici
se tu non rilucessi
accanto a lui.

Vorrebbero giudicarci
perché tu hai riempito il mio orizzonte
ed io non ho più avuto occhi
per la perfezione del loro
Paradiso.

E se tu fossi perduto
lo sarei anch'io
persino se il mio nome
più forte
suonasse
nell'alto dei Cieli.

E se tu fossi nella grazia,
ed io dannata
e posta dove tu non sei
solo questo sarebbe l'Inferno per me.

Così dobbiamo trovarci divisi
tu laggiù
io qui
con una porta socchiusa
con a dividerci l'oceano
la preghiera
e il cibo candido
della disperazione.




EMILY DICKINSON


1862 - 511
Se tu dovessi arrivare in autunno,
allontanerei l'estate,
con un piccolo sorriso e un po' di sdegno,
come la massaia fa con la mosca.

Se potessi rivederti tra un anno,
dei mesi farei tanti gomitoli, 
e li riporrei in cassetti diversi, 
per impedire ai numeri di confondersi.

Se l'attesa fosse di soli secoli,
li conterei sulla mano,
sottraendo, fino a quando le mie dita cadessero
nel paese di Van Dieman.

Se fossi certa che, finita questa vita, 
la mia e la tua saranno,
getterei via questa, come una buccia,
e sceglierei l'eternità.

Ma ora, incerta della lunghezza di questa, 
che è al centro,
mi punge come lo spirito di un'ape 
che non mostra il pungiglione.



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Non sia mai ch'io ponga impedimenti all'unione di anime fedeli; Amore non è Amore se muta quando scopre un mutamento o tende a svanire quando l'altro s'allontana. Oh no! Amore è un faro sempre fisso che sovrasta la tempesta e non vacilla mai; è la stella-guida di ogni sperduta barca, il cui valore è sconosciuto, benché nota la distanza. Amore non è soggetto al Tempo, pur se rosee labbra e gote dovran cadere sotto la sua curva lama; Amore non muta in poche ore o settimane, ma impavido resiste al giorno estremo del giudizio: se questo è errore e mi sarà provato, io non ho mai scritto, e nessuno ha mai amato. W. Shakespeare

J.W. GOETHE

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Si dovrebbe, almeno ogni giorno, ascoltare qualche canzone, leggere una bella poesia, vedere un bel quadro, e, se possibile, dire qualche parola ragionevole. Johann Wolfgang Goethe

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