POESIE

martedì 31 dicembre 2013

Sotto le stelle


Buon 2014










Sotto le stelle

Rullano lontano i tamburi.
Auguri auguri auguri.


Giorgio Caproni

mercoledì 20 novembre 2013

Aria del dio della felicità






Mi fai spuntar le lagrime, fratello,
vedo che la tua vita non è allegra…
Ecco una mela: io ne possiedo tre,
perciò una la regalo a te.
Non ci vedo niente di eccezionale:
e l’uno e l’altro possiamo vivere.
Solo i semi, promettimelo,
avido non inghiottirli,
sputali invece a terra
prima che mi allontani.
E se poi cresce un melo
dentro il mio campicello
vieni a prenderti i frutti:
è il tuo albero quello!


Bertolt Brecht

curiosidelmare: Perchè occorre ascoltare le storie...

curiosidelmare: Perchè occorre ascoltare le storie...

giovedì 14 novembre 2013

Michelangelo e i suoi Prigioni

L'ATLANTE 

Mi piace pensare così:

La grandezza di Michelangelo sta in tutte le sue opere, ovviamente; ma nel gesto involontariamente incompiuto, di questi giganti, mi affascina cercare la parola della pietra.  La mancanza dello scalpello dell'artista, comunica con il nostro intimo sentire.

L'Atlante, imprigionato nella pietra per l'eternità, non ha mani per liberarsi, né piedi per fuggire.
Non ha bocca per un grido d'aiuto.

La pietra lo tiene in vita, così come la sua speranza a non cedere alla sua fissità.
Tutto il corpo spinge verso l'alto nel tentativo di liberare  la sua anima grande.


mercoledì 6 novembre 2013

il mio silenzio





"Così cadono le fronde intorno all'albero in autunno: esso non ne sa nulla, la pioggia lo bagna o lo colpisce il sole o il gelo, la vita gli si ritrae lentamente in uno spazio minimo e intimo. Esso non muore. Aspetta." (Hermann Hesse)



... del silenzio non faccio morte ma attesa 

martedì 15 ottobre 2013

OLGA SUVOROVA




Nasce nel 1966 - dipinge paesaggi, scene storiche e scene di donne in giardino, spesso, con un gatto o altri animali. Il suo stile può essere più realistico nelle rappresentazioni storiche, ma è fortemente impressionista in altre scene.



Olga ukorova - ha la capacità di riportare sulle tele lo splendore di tempi passati.  Di tratteggiare i carnati, l'espressività dei volti. Ogni quadro andrebbe osservato per ore cercando, nelle minuzia dei tratteggi, nello scintillio dei colori: i particolari, i dettagli di una ricerca tecnica ed una capacità espressiva rare ai tempi di oggi. I suoi quadri sono piattaforme descrittive dove l'enigma si cela dietro volti dolcissimi e tra i mille coloratissimi richiami.

Risultati immagini per OLGA SUVOROVA








lunedì 14 ottobre 2013

digitale purpurea



Lunga fu la notte
che della digitale purpurea
mi nutrii d'essenza
nudi i piedi
e bianca d'anima svestita
m'incamminavo 
incauta
dove la siepe divideva
il fu e l'adesso
e ne seguivo 
con occhi ardenti
il profumo intenso

Credete non sapessi
c'avrei perduto
il senno?

Eppure quell'odore
e l'erba molla
santa di piovasco
presero di me
gli ultimi stenti
e nacqui così
fra barlumi irrequieti
di lampi lontani

lunedì 7 ottobre 2013

M'avrebbe morta il tempo?






... e se mi morisse dentro
la musica giusta
o la parola esatta
detta in tempo
mentre un fumo grigio 
scendendo dal camino
tingesse tutto di dubbioso pallore 
e restassi così
dubbiosa
cercando di capire
cosa sento
se comprendo
se tutto viaggia insieme al tempo
se l'anticipo o il ritardo
siano il pazzo e il saggio
se adesso che sto qui
con questa penna in mano
restassi immobile
in eterno
sospesa 
m'avrebbe morta il tempo?








Aleksandr Petrov è un regista ed un animatore russo che ha realizzato nel 1999 questo stupendo cortometraggio animato, interamente dipinto con le dita utilizzando colori ad olio su vetro, un capolavoro che che gli è valso l'Oscar per il miglior cortometraggio animato ed il primo premio al prestigioso festival di animazione di Annecy.

giovedì 3 ottobre 2013

La mosca e il rondone

L'anima d'ottobre ancora calda
di sentori profumati
d'ibisco karkadè
non si rassegna a lasciar morire
la mosca ignorante e stordita
che nel freddo serale
nasconde
la sua timida gioia di vita
nel rossore incipiente
delle foglie d'autunno

L'urlo sommesso
del rondone che migra
affamato
mozza il fiato
e al fiato nasconde
il respiro
del sospiro che muore
sul mio nome ignorante
come la mosca
rosso
come la prima foglia
d'autunno

giovedì 26 settembre 2013

Stellata fronte




Adesso che un tempo rarefatto
m'appartiene
adesso che abiterò una stella
e forse un pezzo di cielo
o più probabile 
uno sbuffo di vento
(così che riderò sommessa
e gonfierò le guance
se non mi saprai sentire)
... una foglia cadente
o persino un piccolo ramo di quercia
- quando vorrò essere terrena -

Adesso
dicevo
capiterà talvolta
o forse spesso
od ogni tanto
che aprendo la finestra 
per chiudere le imposte
quando si fa notte
getterai lo sguardo in alto
per veder se l'indomani
sarà piovoso o il tempo 
ti grazierà il sereno
ecco
tu sorridi
e se puoi farlo
ridi

Ridi 
e se non puoi
sorridi
quando vedrai
sorpreso
il segno mio che non si confonde
il luccicare d'una lacrima pendente
da un  occhio solo 
nel mezzo 
di quella stellata fronte




lunedì 16 settembre 2013

Niente più del silenzio sa parlare



Niente più del silenzio
sa parlare
e sa farlo
con parole chiare

Sembra tacere
dare tregua nel cammino
e invece ti dice

T'illumina in segreto
la mente stordita
intenta nel capire
e ti da pace

Solo un silenzio
pronunciato
ad alta voce
(rovistando tra la certa
incomprensione)
stana la verità che duole
e si nasconde

Così che all'improvviso
tutto tace
tranne il silenzio
chiaro
dignitoso
e bene - detto

(il dipinto è di Eliana Petrizzi)

venerdì 13 settembre 2013

Un regalo inaspettato







ANTONELLA BORGHINI: "POESIE INEDITE"



Gentilissimo Professor Pardini,
grazie per la richiesta di mie poesie da pubblicare sul suo blog. Ne sono onoratissima.

Che dire, mi chiamo Antonella Borghini, sono nata a Roma e vivo in Toscana.
Scrivo poesie dal 2008, prima le pensavo e basta. E' vero, le pensavo.
Il 5 Marzo del 2008 ho pubblicato sul sito di "Scrivere" la mia prima poesia pensata e scritta. 
Da quel giorno ho trovato il coraggio, o forse la faccia tosta, di farle leggere e non ho smesso più. 
Ho aperto un blog  "L'isola di E'riu" e mi sono persino lanciata nel self-publishing e, con l'aiuto del Professor Omero Sala (che ha curato "le istruzioni per l'uso" ), ho pubblicato una raccolta con LaFeltrinelli.it dal titolo "Purpurea malerba".
Tutto qua. 
Ringraziandola di nuovo per questo regalo inaspettato le stringo virtualmente la mano.

(Le invio cinque poesie fra le ultime scritte, scelga Lei quelle che ritiene migliori.)



Il mio lamento non è più canto

Mi sono immaginata aquila
mentre volavo verso il sole
e del sole avevo la luce dentro agli occhi
e degli occhi lo sguardo dentro al cuore

e il cuore mi ha tradita

Il mio lamento
non è più canto
d'anima ferita
ma il cigolare lento
dell'ultima inferriata
serrata
tra me e la vita



Soliloquio con il mare

Perché sei qui
mi chiede il mare
mentre non la smette di ondeggiare
è freddo
oltre le scogliere
si perde il biancheggiare
acuto delle vele

Son qui
perché tu solo sai tacere
e non mi chiedi di restare o di capire
e ogni nuova onda è un nuovo mare

Ti porto via con me
propone l'onda
mentre si abbatte
fragorosa e tonda
vacillando la mia posizione

No
ho gli occhi stanchi
e stanco ho il cuore
e su sé stesso
s'è accasciato
persino lo stupore

Il mio orizzonte
si confonde nelle sere
e non mi serve più
guardare
... per vedere



Comincia dagli occhi


Comincia dagli occhi
che strano
mi scalda
la voce un po' roca

ma vedo
ed è questo a portarmi lontano

La mano che stringe
che dolce accarezza
le nuche imbiancate
la scure
che spacca la brezza che arriva dal mare

Le foglie d'ulivo
bruciare
nel tuo focolare

Vedo le strade
deserte
assolate
ma fredde
adesso che l'estate è finita
sul muro non resta
della rosa
che l'ombra fiorita


Anima di albero


Con l'anima di un albero
che fa da nido al volo
sono partita per il mio
sgangherato viaggio

Viaggio
tra le torri irte
dove la quiete
ti scuote e ti consola
prendendoti alle spalle
con un soffio sul collo
-come furtivo bacio-

Bacio liberato
mentre lascio orme
da stambecco
dietro me
e alzo polvere con ali da sparviero

Con ali di sparviero
poi
ho sospinto il mio destino
di nascoste conchiglie
su impreziosite rocce di corallo
di pesci dal cuore giallo
che su limpide scogliere
san farsi di luce
alla nascente Luna

Luna nascente 
che il sonno
cambi in febbre
ai dormienti amanti
con occhi iridescenti
illuminami il viaggio





L'invisibile cambiamento

E' una inclinazione
quella alla decadenza

L'invisibile cambiamento
è un paesaggio d'inverno
che invoca
a trattenere il fiato
per quella luce radente
che ghiaccia
come suono d'organo
nelle cattedrali

E così è
che io taccio
per non disperdere
un solo istante
del mio inverno






Nazario Pardini

11 settembre 2013 12:33

Poesie fresche, contaminanti, liricamente coinvolgenti, dove l'anima dell'autrice trova l'alcòva adatta, attinente alle sue vibrazioni esistenziali. La Borghini si lascia avvincere da quello che risplende, da quello che fugge attorno a lei, da quello che illumina il viaggio; insomma da tutto ciò che, in maniera più consona, concretizza le sue meditazioni estemporanee, vicine al sentire di ognuno: le foglie che bruciano nel focolare, le strade deserte, assolate ma fredde, l'estate finita, l'ombra fiorita della rosa: tempus fugit; il sentimento eracliteo dell’essere e dell’esistere; il senso della precarietà del giorno si insinua nel pensiero della Borghini; un senso che la porta a vivere, intensamente, ogni frangente della vita; senza distinzioni temporali; vere elegie semantiche:

E così è
che io taccio
per non disperdere
un solo istante
del mio inverno


Tanti momenti di un diacronico evolversi sentimentale che invade gli spazi sottostanti del pensiero. Ma il massimo della liricità sta in quel soliloquio che la poetessa snocciola con il mare:

Son qui
perché tu solo sai tacere
e non mi chiedi di restare o di capire
e ogni nuova onda è un nuovo mare

Ti porto via con me
propone l'onda
mentre si abbatte
fragorosa e tonda
vacillando la mia posizione


Ci sono qui tutte le occasioni ispirative per una poesia che sboccia nei giardini del reale per azzardare fughe verso approdi/oltre, per tramutare in gaudio le lacrime, o per trovare spazi alla soltudine. E la natura aiuta. Con tutta la sua potenza cromatico-allusiva, con tutte le sue immagini sincronizzate al bisogno di andare al di là degli spazi ristretti,la natura aiuta gli intendimenti poetici della poetessa che fa della spontaneità l'arma vincente del suo canto. Un canto che raggiunge questa simbiotica fusione fra anima e parola con l'apporto di figure stilistiche indirizzate ad una armonia di sapore pucciniano. Vere romanze di grande impatto musicale: rime, assonanze, consonanze, allitterazioni, ossimori, enjambements... Spartiti di note di avvincente sonorità. Chidermi di fare una selezione fra queste poesie non è giusto. Tutte concorrono, ognuna coi suoi abbrivi, a tratteggiare un’artista tutta volta a dire di sé tramite una ricerca emotivo-verbale, tramite un percorso tradizionale/innovativo. E quello che soprattutto risalta da questo canto è una curiosità vivace che si alimenta di audaci scoperte. Quelle scoperte che sa donare la Poesia. E la Nostra crede nella Poesia, e le affida il compito di narrare il senso della vita: il nostro esser/ci, i tanti perché, le insicurezze e le palpabili bellezze di un mondo che ci adorna. Un mondo in un verso lavorato, ri/cercato, intrecciato, armato di quella semplicità che il De Sanctis definisce il “cuore della Forma”.

giovedì 29 agosto 2013

Mazapegul


Mazapegul sono stati un gruppo musicale italiano. 
Fondati nel 1994 dal batterista Mirco Mariani e dal bassista ed autore 
di testi Valerio Corzani. 
Il 27 agosto 1999, all'età di 26 anni, in seguito ad un incidente stradale, muore il cantante, frontman e chitarrista Daniele Di Domenico detto Dido, anima istrionica dei Mazapegul. A seguito della sua scomparsa il gruppo si scioglierà







Cosa significa Mazapegul?













E Mazapegul 
di Loris Pattuell



Il Mazapegul è un folletto dispettoso, il protettore delle bestie e della casa. Con il suo bastone da passeggio e con in testa un berrettino rosso, il Mazapegul è l'antico spirito che giace con le donne. Di gradevole aspetto, lo si direbbe un incrocio tra un gatto e uno scimmiotto. Come la maggior parte dei suoi simili, non gira che di notte e lascia impronte dappertutto. Se lo tratti bene, ti fa i lavori domestici, ma se lo fai arrabbiare, ti rovescia tutta la casa. Il Mazapegul lo puoi scacciare in centomila modi. Lo puoi anche catturare, chiudendolo in un sacco. Ma a che pro? La notte dopo lo troveresti ancora lì, leggero come un refolo di vento e pesante come la pietra degli incubi.

Per il dizionario Devoto-Oli, il folletto è un "essere fiabesco della tradizione popolare, piccolo ed astuto, magnificamente operante a danno o a vantaggio dell'uomo". Folletto, in romagnolo fulèt, nodo di vento, piccolo mulinello che s'alza quando l'aria è calma. La radice "fol" significa "soffio d'aria" da cui derivano i termini latini follis, flare, flatus e gli italiani folle, folata, folletto, ma anche fola, favola. Il Mazapegul è piccolino, di pelo grigio e corre spedito sulle zampette posteriori. In testa porta un berretto rosso e tra le mani stringe un bastone da passeggio. Per il resto è nudo come un verme o un bambino appena nato. Il Mazapegul è il genio tutelare della famiglia, lo spirito degli antenati, è quell'attività onirica che mette in comunicazione il cielo con la terra. Per Anselmo Calvetti, Mazapegul è derivato da pécul/pécol e significa "il piccolo dalla mazza". La mazza (bastone, martello, zanèta) intesa come l'arma con la quale la divinità tutelare della casa impediva agli spiriti maligni di oltrepassare la soglia domestica.

Il Mazapegul alza le sottane delle signore, salta in groppa alle rane, intreccia le code delle mucche, le criniere dei cavalli, i capelli delle fanciulle, nasconde e sposta oggetti, suggerisce sogni, dona gioia e spensieratezza alle persone amate. Il Mazapegul può trasformarsi in un filo d'erba, una foglia, un sasso, può essere così piccolo da passare per il buco della serratura o così grande da bloccare una strada. Inconsistente come l'aria, il Mazapegul è capace di assumere qualsiasi aspetto, può diventare un animale, un attrezzo da lavoro, un gomitolo di lana, una fiammella, un mostro, oppure può trasformarsi in radici, tronchi, rami. Il Mazapegul fa i dispetti a quelli che lavorano, sa imitare la voce umana, si diverte a confondere i discorsi, eccetera, eccetera. Splendida creatura il Mazapegul, vero? Forse ce n'è ancora qualcuno in giro, forse c'è un qualche nostro conoscente che gli assomiglia un pochino. Bisognerebbe tenerlo presente. 













venerdì 23 agosto 2013

si migra fra nidi di prede e bisbigli di carezze


si migra di certezza in - certezza
fra nidi di prede e
bisbigli di carezze

vedo il lago
anch'esso migra
con l'acqua del fiume sepolto
e gli uomini
divinità decadute
ignudi e glabri
remare controvento

s'inverna dentro
un'estate morente
dove i raggi 
si sparpagliano tra i vicoli e le case
come gatti
al tramonto


giovedì 22 agosto 2013

Le chiese che donna fosse
















Le chiese che donna fosse
e si stupì

ancora stupore
quando le mostrò
l'anima scarmigliata
i seni sodi e i fianchi
colmi di dolci melodie

Era 
la parte buia
del cielo
la solitaria
e oscura mensa
in cui cercare ristoro
di fame e d'arsura


Imperfetta
gli rispose
mostrando i segni
dei troppi amanti

Imperfetta
ripeté a sé stessa
quasi a cercare
in quella parola
la giustificazione
ad ogni maleficio












martedì 20 agosto 2013

Ah fa caldo!

Ah fa caldo!
Il giorno dura 14 ore

Ti adombra
e non ti fa ombra
il silenzioso canto del flauto
forse  vorresti
una musica ribelle
un tum tum
ritmato
con cadenza settenaria
(sperando sia vincente)
come del cuooore
no meglio
un'Armida Ballarin
come comune senso del pudore

Una nota si immerge
un'altra si appende
il flauto protende
dai tasti esce
veemente
un che di celestiale

Le altre chissà
(dico le note)
magari 
hanno ritmi migliori

Le vedo
senza alcun pentagramma
dissertare
sul tempo
e sul colore 
ah... come mondo crudele o 
-nessuno mi capisce come te-
fingersi incredule 
riempirsi la bocca di stupore
mentre aspettano soltanto
(oh io lo so!)
un breve interludio d'amore

Aspettano
"sei la gemma intarsiata
la melodia inaspettata
dal tempo delle mele"

per sciogliersi di nuovo
come cera di candele...

no è l'afa

Dal blog "Fuga di stanze" della mia amica Red... una persona speciale, leggetelo è aria fresca e dolce sapore di bellezza.

Il tempo da non perdere, il tempo non perso
Adoro le persone che scrivono qui. Sono intelligenti, sensibili, concrete, sognatrici, in una parola belle. E belle sono le loro riflessioni, i frammenti di respiro che lasciano qui. Sono come ponti sospesi e leggeri: ci sali su e capisci che da lì si vedono cose pesanti, lontane, vicine, sotto di te o sopra. Ora, ad esempio, leggendo i vostri pensieri, Soffio e Anto, ho davanti uno di questi meravigliosi ponti invisibili.....ma prima di imboccarlo vorrei ringraziarvi per la bellezza che traspare dalle vostre parole. I vostri "commenti" sono riproduzioni fotografiche di ciò che avete sentito, trattenuto in un pensiero veloce e sono diverse, profondamente e meravigliosamente diverse. Le tue parole, Doc, hanno la sfumatura particolare che assume un oggetto bianco, un telo bianco, alle prime luci del giorno in una casa buia. L'hai notato anche tu? Sai quando lasci le persiane, le imposte, spalancate dalla sera prima e al primo chiarore entra una luce particolare...e gli oggetti bianchi hanno una specie di splendore mesto, che dura un istante, un respiro, poi è sopraffatto dalla doratura del sole...Questo splendore mesto esiste in ogni cosa, credo. In ogni cosa che induca alla meraviglia. La percezione della sua esistenza deriva, credo, da un breve istante di dolorosa consapevolezza del proprio limite, che avvolge l'anima prima che questa si lasci incantare dalla bellezza. Lo prendo con me, nel percorrere il ponte: è un regalo prezioso averlo trovato nelle tue parole, lo tengo stretto e lo porterò nelle mie.
L'immagine che hai lasciato tu, Anto, risplende di una sfumatura profondamente diversa, ma non è della sua luminosità dorata, rosea, di pesca davvero, che desidero parlare. Mi ha colpito ancora di più come tieni in te quell'attimo, come lo descrivi...si può vedere ogni cosa. Si può guardare ogni dettaglio insieme a te. E poi il mondo che passa sulla strada a rovescio...è come dire l'orologio che gira al contrario e fa dire a una bimba: perché non vai avanti e più veloce, e fa dire a una donna: perché non torni indietro ancora un po'. Anche questo dettaglio corrisponde a un colore, separato da quello della pelle abbronzata, delle righe colorate, delle dita piccoline che tengono saldamente una pesca incipriata d'estate. È uno splendore irrequieto, lampi disordinati, che sembrano quelli di un temporale indeciso. Li porto con me, perché anche questi bagliori fanno parte del bagaglio di cui ho bisogno per attraversare il mio ponte.
Se immaginassi che il Tempo non è il mio limite ma la mia compagnia, tutto sarebbe diverso. Probabilmente ammetterei finalmente che nascere, crescere, invecchiare, sono traguardi nella conoscenza di questo compagno. Fondamentale conoscere con chi si viaggia e con lui, il Tempo, io sto praticamente 24 ore su 24. Facciamo tutto assieme, senza timore di darci fastidio, solo io a volte.....fatico a capire certe sue abitudini, certi meccanismi che tira fuori mentre disfa i bagagli ad ogni nuova destinazione. È incredibile come la parola " mancanza " ricorra nei miei discorsi quando parlo di lui. Non so se mi ascolta, se se ne accorge, ma davvero è la parola " mancanza" a rimanere sola, alla fine, presa nel setaccio delle mie riflessioni. Non rifletto sempre su di lui. Lo faccio molto più di frequente su me stessa e sebbene la mancanza sia riferibile solo a me, al mio rapporto con me stessa e ciò che ho attorno, lui c'entra sempre. O forse è solo il suo modo per dirmi che siamo insieme. Ad ogni tappa di questo viaggio, compiuta fin qui, ho setacciato pensieri e ho trovato mancanze. Mancanze differenti e tutte molto sentite, impossibili da ignorare. Tempo fa credevo che l'ultimo tratto del mio viaggio, salvo improvvise interruzioni, sarà determinato proprio dalla mancanza di questo prezioso compagno. Ritarderà, mi dicevo, salterà gli appuntamenti fino a dimenticarsi di me, mi volterò e di colpo capirò di non averlo più vicino. Ultimamente, però, mi rendo conto che potranno essere altre cose a mancare: gli abbracci, ad esempio. Chissà com'è essere abbracciati e abbracciare da vecchi.....la pelle si assottiglia, diventa quasi trasparente. Deve essere bellissimo sentire un abbraccio, oppure il vento o il sale di una mareggiata. Fa pensare che sia come sentire con l'anima, con la propria sensibilità interiore, che ha pelle anch'essa, questo lo so, e terminazioni nervose che la fanno increspare per una gioia o per un dolore. Se riuscirò ad immaginare il Tempo come mio compagno, gli chiederò di insegnarmi a sentire con la giusta intensità, quando arriveremo là.

martedì 6 agosto 2013

IRA

L'ira è una breve follia


Per questa ragione qualcuno tra uomini saggi disse che l’ira fosse una pazzia: ugualmente infatti è incapace di dominare sé stesso, dimentica il conveniente, immemore degli obblighi, è incurante di sé tra i parenti, ostinatamente rivolta a ciò che si è prefissa, chiusa alla ragione e ai consigli, agitata per motivi vari, incapace di distinguere il giusto, molto simile alla rovine che sono ciò che oppressero sono abbattute.

Seneca



















Non arriva niente qui
niente che io comprenda
come una posa di mattoni

Se spingo lo sguardo oltre
il vitale opus incertum
o meglio
se lo sguardo decide 
di andarne oltre
non c'è che un
isolato a separare
la mia felicità
dall'inquietudine


Troppo spesso mi costringe
o meglio ancora mi invita
alla riflessione
l'assurda opera
che l'ingegno compie
quando ascolta
(spesso all'alba)
la parte più distante
dalla realtà
Quell'equinoziale saggezza
che limita e delimita
o forse semplicemente
imita con stoltezza
la veggente
insanità

















lunedì 5 agosto 2013

lanterne senza stoppino

Luccicano i miei occhi
-lanterne senza stoppino-


...da tempo
ormai
ho riposto gli attrezzi del raccolto
arrugginiti
hanno arrossato le pareti
e dato casa ai ragni
che han predato
mosche e farfalle
che appese a quelle
iridescenti tele
(dondolando al fumo
del legno acerbo
che ha riempito la mia stanza)
sono convinte ancora di volare
(mentre
file di parole
in processione
ho visto passare dal camino)

Non c'è più tempo
per il giallo del  grano
né per l'asprigno
succoso
d'un filo d'erba
accolto fra le labbra
ascoltando cantare le cicale

Da tempo ormai
da tanto tempo
sai...
non c'è più tempo




venerdì 26 luglio 2013

In piedi, Signori, davanti a una Donna

Per tutte le violenze consumate su di Lei, 
per tutte le umiliazioni che ha subito, 
per il suo corpo che avete sfruttato,
per la sua intelligenza che avete calpestato,
per l'ignoranza in cui l'avete lasciata, 
per la libertà che le avete negato, 
per la bocca che le avete tappato,
... per le ali che le avete tagliato,
per tutto questo:
in piedi, Signori, davanti ad una Donna.

E non bastasse questo, 
inchinatevi ogni volta che vi guarda l'anima,
perché Lei la sa vedere,
perché Lei sa farla cantare.

In piedi, Signori, 
ogni volta che vi accarezza una mano,
ogni volta che vi asciuga le lacrime come foste i suoi figli,
e quando vi aspetta, anche se Lei vorrebbe correre.

In piedi, sempre in piedi, miei Signori,
quando entra nella stanza e suona l'amore
e quando vi nasconde il dolore e la solitudine
e il bisogno terribile di essere amata.
Non provate ad allungare la vostra mano per aiutarla
quando Lei crolla sotto il peso del mondo

Non ha bisogno della vostra compassione.

Ha bisogno che voi vi sediate in terra vicino a Lei
e che aspettiate che il cuore calmi il battito, 
che la paura scompaia,
che tutto il mondo riprenda a girare tranquillo.
E sarà sempre Lei ad alzarsi per prima
e a darvi la mano per tirarvi su
in modo da avvicinarvi al cielo,
in quel cielo alto dove la sua anima vive
e da dove,
Signori,
non la strapperete mai.

(Autore anonimo)




Così come dicevi tu

eri viscere
e tumefatti colori
d'improbabile passione

come il violaceo di un livido
che ti segna la pelle
come il senso di paura
che non conoscevi prima
che ti mette in allarme
che non ti prende alle spalle
no
è già dentro te
eri
o forse ancora sei
ma ...

eri
le mie ginocchia ossute
strette tra braccia morbide
l'incrocio di lingue umide
di areole turgide
di pensieri cupi

eri
la carezza innocua del piacere
che m'accoglieva
mentre alle labbra suggerivo un sorriso
e godevo lacrime
quando pensando
mi convincevo di non pensare
e mi sentivo stupida
stupida
così come dicevi tu






mercoledì 24 luglio 2013

Si lasciano morire le parole

Si lasciano morire le parole
si lasciano cadere a terra così
che nessuno le raccoglie
così che  la polvere le vela
o così che le anatre selvatiche
cercando il loro nido
le copron di granaglie
rami secchi
o  piume

E' così è che restano
credendosi perdute
senza memoria
e senza più significato


All'arrivo della pioggia
non servirà più un nido
e le anatre riprenderanno il volo
e sarà dapprima
un luccicare breve
sotto ogni goccia
un riaffiorare d'eterno

Sotto un'incessante fatica d'acqua
ritorneranno vive
e dalla terra
alle  mani
e dalle mani
al cuore









venerdì 19 luglio 2013

Anima di albero

...con l'anima di un albero
che fa da nido al volo
sono partita per il mio
sgangherato viaggio

Viaggio
tra le torri irte
dove la quiete
ti scuote e ti consola
prendendoti alle spalle
con  un soffio sul collo
-come furtivo bacio-

Bacio liberato
mentre lascio orme da stambecco
dietro me
e alzo polvere con ali da sparviero

Con ali di sparviero
poi
ho sospinto il mio destino
di nascoste conchiglie
su impreziosite rocce di corallo
di pesci dal cuore giallo
che su  limpide scogliere di metallo
san farsi di luce
alla nascente Luna

Luna nascente che il sonno
cambi in febbre ai dormienti amanti
con occhi iridescenti
illuminami il viaggio










venerdì 12 luglio 2013

Amore a prima vista



Sono entrambi convinti

che un sentimento improvviso li unì

è bella una tale certezza

ma l'incertezza è più bella




non conoscendosi, credono

che non sia mai successo nulla fra loro.

ma che ne pensano le strade, le scale, i corridoi

dove da tempo potevano incrociarsi?




vorrei chiedere loro

se non ricordano -

una volta un faccia a faccia

in qualche porta girevole?

uno "scusi" nella ressa?

un "ha sbagliato numero" nella cornetta?

- ma conosco la risposta

no, non ricordano.




li stupirebbe molto sapere

che già da parecchio tempo

il caso stava giocando con loro.




non ancora del tutto pronto

a mutarsi per loro in destino,

li avvicinava, li allontanava,

gli tagliava la strada

e soffocando una risata

si scansava con un salto.




vi furono segni, segnali,

che importa se indecifrabili

Forse tre anni fa

o lo scorso martedi

una fogliolina volò via

da una spalla a un'altra?

qualcosa fu perduto e qualcosa raccolto.

chissà, era forse la palla

tra i cespugli dell'infanzia?




vi furono maniglie e campanelli

su cui anzitempo

un tocco si posava sopra un tocco.

valigie accostate nel deposito bagagli.

una notte, forse, lo stesso sogno,

subito confuso al risveglio.




ogni inizio infatti

è solo un seguito

e il libro degli eventi

è sempre aperto a metà.


Wislawa Szymborska

martedì 9 luglio 2013

L'invisibile cambiamento


E' una inclinazione
quella alla decadenza

L'invisibile cambiamento
è un paesaggio d'inverno
che invoca
a trattenere il fiato
per quella luce radente
che ghiaccia
come suono d'organo
nelle cattedrali

E così è
che io taccio
per non disperdere
un solo istante
del mio inverno

martedì 4 giugno 2013

Piacer ti facesse

Dedicata con un sorriso a quei sempre più numerosi maschietti che persi nel loro specchiarsi, han perso di vista altre cose... 





Piacer ti facesse
fondere la sera col mattino
nell'acqua tremula
che dal pozzo sgorga
specchiar Narciso
e riscoprir
tra le rughe d'acqua
il volto tuo bambino

T'illude invece
il rimaner nascosto
come il sole
in tempo d'acquitrino
a sorseggiar del vino
rosso
come un sorriso ciliegino
o rosato
come il petalo d'un fiore
che nella gelida nottata
ha perso in un sol colpo
desiderio e amore



Dal BLOG " COGITO ERGO SUM"

Sul blog di Paolo ho trovato questo suo post che mi ha lasciato tanta divertita  riflessione.
Con il suo consenso lo riporto qui per condividerlo con voi...
Ciao a tutti Antonella



http://paolo-ilvecchio.blogspot.it/




Vecchiezza è..........


Mi fanno ridere quelli che mi dicono che non sono poi mica così vecchio a settantacinque anni quasi settantasei via ci sono molti più vecchi...guarda Berlusconi, Napolitano....

Invece a settantacinque quasi settantasei sei vecchio.


Guardi indietro e trovi amici morti. Una schiera, una teoria, una processione: morti.

Ti guardi accanto e non trovi più la tua vecchia ragazza che ti portavi per mano.

Guardi avanti e sai.

Ho trovato una buona definizione di vecchio:


Chi ha cinque anni di speranza di vita e lo sa.


Sì, questa mi pare buona. Però è bello esserlo senza smanie o terrori, placidamente.

Questa placida vecchiaia senza rimpianti e senza rimorsi è un bel premio in attesa di verificare il futuro, perché non è poi certo che finisca tutto " con l'ultimo scurreggino"

come diciamo noi maremmani vecchi.


Ci possiamo fare anche due risate con un Vecchiezza è......


-Vecchiezza è:

tornare in banca a rinnovare la carta di credito e scoprire di averla rinnovata il giorno prima.

-Vecchiezza è:

dimenticare le chiavi di casa e pisciarsi addosso.

-Vecchiezza è :

non raccogliere cosa cade: troppo faticoso.

-Vecchiezza è:

trovare come tutto si sia fatto pesante, robusto, ostile.

-Vecchiezza è:

non riuscire ad aprire il pacchetto di crackers.

-Vecchiezza è:

andare a vedere quattro volte su Google come si scrive crackers.


Ed ecco gli immortali versi dell'inno alla Festa delle Matricole ( in latino, con traduzione )


Gaudeamur igitur

iuvenes dum suuuumus!

Post iucunda iuventute

in molesta senectute...


Godiamo sempre

finché siamo giovani

Chi non gode nel tempo giocondo

Quando è vecchio lo piglia nel c........


Terminerò con una mia poesia semiseria:




Viene la Morte da me ogni mattina
giusto per fare insieme colazione.
Ha gli occhi grigi pieni di attenzione
mentre gira il caffè nella tazzina.



Bella donna la Morte, la miseria!
niente ossa o ciarpame, veste bene
e non fosse pel cipiglio che si tiene
la diresti una femmina in carriera.



Mi guarda fisso e invariabilmente
prima di prendersi di gusto il caffè nero
mi fa : ti piglio di sicuro, cavaliero.
Gira le spalle e se ne va silente.

O sora Morte, non ti sprecare tanto
me lo sono segnato il memorare.
Lo so che nullo omo po’ scappare
Come dice Francesco tanto santo.






Pero’ una promessa vera te la faccio
Visto che rompi il cazzo ogni mattina:
Mi trovo una bimba amorevole e carina
E insieme ti freghiamo lo sghignazzo.







( eh? niente male! )



Paolo

giovedì 30 maggio 2013

Luccicanza





La cerco  ostinata 
refrattaria e contraria 
al dissenso e al nonsenso
...nelle parole d'amore 
che prima di tingersi di rosso 
sono bianche 
come cere di moccoli 
disciolti di preghiere 
come la neve di Maggio 
che cadendo dai pioppi 
confonde il paesaggio 
e trasale di pallido il germogliare 

Nell'alveare che brulica di vita 
tra i tronchi spessi senza radici 
delle anime infelici 
ingannate d'affettività abortita 

Nel suono bianco di latte 
del pianto di un bambino 
che affamato tace 
all'odore della madre 
che gli si fa vicino 

Sui baffi bianchi di un gatto 
che passa ignaro 
tra le note 
della mia canzone 
zigzagando 
stupefatto le parole
mentre 
con un salto 
già segue 
un altro cornicione

giovedì 23 maggio 2013

per chi viaggia in direzione ostinata e contraria


"Io vedo che quando allargo le braccia cadono i muri..."
Don Andrea Gallo



Nella sua chiesa avevo riconosciuto la mia chiesa.
Torna presto ...
Grazie don Gallo.

martedì 21 maggio 2013

Voc'e notte



Oggi dedico il mio post alla voce di Roberto Murolo e alla poesia/canzone di Eduardo Nicolardi.
Ho copiato ed incollato un articolo esaustivo e preciso (cosa che io non avrei saputo fare, non conoscendo la lingua napoletana) trovato sul sito "Il brigantino- il portale del sud".
Una melodia dolce e triste accompagna questa serenata. L'avevo sentita tantissime volte godendola così, per la musicalità delle parole che accompagnano una struggente melodia. Le avvertivo come parole d'amore, tristi, malinconiche ma senza sapere di più. Ho cercato risposta in internet e... ecco qua, adesso so. 
Ciò che ho trovato mi è sembrato così bello che ho pensato di portarlo qui e dividerlo con voi.









“Voce ‘e Notte” una vera poesia

Il testo della Canzone “Voce ‘e notte”, divenuta canzone, è stata scritta agli inizi del '900 dal giovane poeta Eduardo Nicolardi, che aveva perso l’amata, andata in sposa, per volere dei genitori di lei, per motivi di posizione economica ad un'altro uomo, un ricco settantacinquenne.

Illustrato il contesto in cui nasce la poesia, la analizziamo per godercela come merita. La struttura della Poesia è in tre strofe di otto endecasillabi, con rima alternata nella prima metà e baciata nella seconda. La riporto intera con la traduzione all’impronta per farla capire meglio, quella letteraria le fa perdere la forza.



Voce ‘e notte

Si 'sta voce te scéta 'int''a nuttata,

mentre t'astrigne 'o sposo tujo vicino...

Statte scetata, si vuó' stá scetata,

ma fa' vedé ca duorme a suonno chino...

Nun ghí vicino ê llastre pe' fá 'a spia,

pecché nun puó sbagliá 'sta voce è 'a mia

E' 'a stessa voce 'e quanno tutt'e duje,

scurnuse, nce parlávamo cu 'o "vvuje".



Si 'sta voce te canta dint''o core

chello ca nun te cerco e nun te dico;

tutt''o turmiento 'e nu luntano ammore,

tutto ll'ammore 'e nu turmiento antico...

Si te vène na smania 'e vulé bene,

na smania 'e vase córrere p''e vvéne,

nu fuoco che t'abbrucia comm'a che,

vásate a chillo...che te 'mporta 'e me?



Si 'sta voce, che chiagne 'int''a nuttata,

te sceta 'o sposo, nun avé paura...

Vide ch'è senza nomme 'a serenata,

dille ca dorme e che se rassicura...

Dille accussí: "Chi canta 'int'a 'sta via

o sarrá pazzo o more 'e gelusia!

Starrá chiagnenno quacche 'nfamitá...

Canta isso sulo...Ma che canta a fá?!


Una voce nella notte

Se questa voce ti sveglia nella notte,

mentre ti stringi al tuo sposo, vicino…..

Resta sveglia, se davvero lo preferisci,

ma fingi di dormire profondamente.

Non andare alla finestra, per vedere.

perchè non puoi confonderti, 


questa è la mia voce,

la stessa voce di quando noi due,

timidamente, ci parlavamo con il voi.



Se questa voce canta nel tuo cuore

Ciò che non riesco, né tento di dirti:

tutto il tormento per un perduto amore,

tutto l’amore per un tormento antico.

Se senti un gran desiderio di amare,

una voglia di baci scorrere nelle vene,

un fuoco che brucia l’anima ed il cuore,

baciati quel tizio, che t’importa di me!



Se questa voce, piangente nella notte,

sveglia il tuo sposo, non aver timore,

vedi che la serenata è senza dedica,

digli di dormire sicuro, che non è per te!

Digli così: “Chi canta in questo vicolo

forse è pazzo o lo strugge la gelosia!

Forse piange qualche grave malefatta...

Nessuno lo ascolta …ma chi glielo fa fare?!

Commento

Il testo della Canzone “Voce ‘e notte” è una delle più belle poesie scritte in napoletano, dalle Fabulae Atellanae ad oggi, scritta dal giovane poeta Eduardo Nicolardi, per un amore svanito con l’amata data in sposa dai genitori di lei, per motivi di posizione economica ad un ricco settantacinquenne.

In letteratura l’amore realizzato crea i grandi prosatori, perchè il sogno d’amore si logora nella vita quotidiana, mentre un amore perduto o impossibile crea i grandi poeti, perché l’amore resta un sogno, inattaccabile, anzi si sublima con il passare degli anni. Anche se Nicolardi, per la morte del rivale, sposò poi la sua amata, realizzando il loro sogno d'amore, a noi è restata una delle più belle poesie (e canzoni) di tutti i tempi. Il commento riguarderà solo la storia umana, lasciando da parte il Nicolardi.

Essa nasce da un episodio che si ripete sempre nel tessuto umano della città di Napoli ed è ancora un “uso” della borghesia mercantile, in maggior parte composta da persone non “indigene napoletane” ma da “immigrati, anche interni, del Regno delle due Sicilie”. Queste famiglie ricorrono al “sensale” per trovare alle loro figlie nubili, per marito, una persona a reddito fisso, anche basso, quale impiegato statale o simili, meglio una Guardia di Finanza “Forestiera”, o impiegato del Comune o Aziende Comunali, gente notoriamente scelte non per merito personale, ma in base alle loro appartenenze o raccomandazioni.

Se la ragazza è innamorata, poco importa, si manda via il pretendente innamorato. Questi esclusi, i miserabili di turno, quasi sempre si realizzano nella vita con le proprie forze, se lontani da Napoli, superando in “posizione sociale” chi li ha rifiutati, poiché il Destino, Signore del Mondo, non lo fanno i”sensali” né i ricchi parvenu (pezzenti sagliuti). Illustrato il contesto in cui nasce la poesia, la analizziamo per godercela come merita.

I primi in due versi ci presentano lo scenario ed i protagonisti, la Voce e la Sposa. La Voceresterà sempre e solo una “voce”, non si saprà mai cosa canta o dice o impreca, né chi ne svolge il ruolo, è solo una Voce nella notte in un vicolo semibuio. La Sposa è bene individuata ed è la vera protagonista.

Gli altri versi della prima strofa “statte scetata..…scurnuse, nce parlavamo cu‘o vvuje”consigliano alla sposa cosa fare, perché la Voce è sicuro che la Sposa non può averlo dimenticato, perché quella “voce” è sempre e solo la voce dal tono timido che le diceva parole d’amore, parlandole con il voi. La voce non avrà mai il minimo dubbio che il suo amore lo abbia dimenticato.

La seconda strofa è il vero centro della storia. La sua recitazione deve rendere bene i sentimenti che esprime, sottotono per i primi due versi, in crescendo per i rimanenti fino acumm’a chè, quindi una pausa poi sottovoce l’ultimo verso, che indicare rassegnazione. “Si stà voce ti parla int’o core, chelle ca nun te cerco e nun te rico: tutt’o turmiento ‘e nu luntano amore, tutto l’ammore ‘e nu turmiento antico" è il messaggio della “voce”, che non tenta nemmeno di dire, perché parla al cuore, il suo tormento per l’amore svanito, l’amore che conserva per questo tormento, antico cioè radicato nella sua anima, tutto per non un motivo non preciso. Forse la Voce era lontano “Fore”, o militare o forse navigava, forse perché povero e la madre benestante di Lei ha combinato un matrimonio di casta a cui Lei non ha saputo o voluto sottrarsi. Avrà Ella preferito l’agiatezza all’amore? La voce ricorda i sentimenti che le procurava “si siente n’core na smania ‘e vulè bene, na smania ‘e vase scorrere p’e vene, nu fuoco che t’abbrucia comm’a cchè!" A questo punto la Voce capisce che è tutto inutile, pensa che la Sposa ha ricordato e rivissuto un sentimento tanto forte e tanto impossibile, per cui è meglio per tutti che quella “smania” sia rivolta a chi le dovrà restare vicino per tutta la vita, e, rassegnato dice Vasate a chillo, che te mporta ‘e me! E’ qui la grandezza dell’autore, capisce che il Destino vince tutto e che potrebbe far del male alla persona amata, che il vero amore è non far soffrire la persona amata, e pensa “chè sia felice, anche senza di me!”

La terza strofa sviluppa questo concetto. La voce, resosi conto del possibile male che poteva arrecare all’unico suo impossibile amore, consiglia la Sposa su come fare. Questa strofa merita di essere recitata in tono pacato spegnendosi nell’ultimo verso. “Si sta voce che canta int’a nuttata, te scete ‘o sposo,…. nun avè appaura, vire ca senza nomme è ‘a serenata, rille cà rorme… cà s’arrassicura. Poi suggerisce le parole che definiscono la Voce: “chi canta int’a sta via, o sarrà pazzo o more ‘e gelusia….. starà chiagnenno quacche ‘nfamità, Cant’isso sulo…ma che canta ‘affà". La Voce, il vinto dalla vita, svanisce nella notte nella nebbiolina dell’alone sula luce dei fanali del vicolo, che torna nel silenzio interrotto da na voce ‘e notte senza poter sapere cosa abbia cantato o gridato o imprecato o pianto.


domenica 12 maggio 2013

Il mio lamento non è più canto d'anima ferita














Mi sono immaginata aquila
mentre volavo verso il sole
e del sole avevo la luce dentro agli occhi
e degli occhi lo sguardo dentro al cuore

e il cuore mi ha tradita

Il mio lamento
non è più canto
d'anima ferita
ma il cigolare lento
dell'ultima inferriata
serrata
tra me e la vita

Auguri mamma





venerdì 19 aprile 2013

Beni culturali



Martina Colombari fa la restauratrice nella fiction "il Restauratore"





Questo è il mio lavoro.



Amo il mio lavoro, lo amo a tal punto da sentirmi quasi in colpa nel definirlo, il mio lavoro.
Purtroppo oggi è difficile lavorare.  Mancano i soldi e la cultura non è pane. Siamo con i sassi alle porte. Tutti costretti a stringere cinture e denti per soddisfare i bisogni primari.

-Del braccio di Ferdinando III di Lorena, spezzato dai vandali, se ne può fare  a meno... -

I soldi mancano ai privati e mancano agli Enti preposti (la chiudo qui, non mi va di polemizzare). Diciamo che i soldi degli sponsor si trovano in qualche modo, ma difficilmente sponsorizzano restauri per beni di minor richiamo, di minor impatto mediatico. Non sono enti di beneficienza e il loro impegno economico deve avere un ritorno d'immagine. E' vero che il nostro Paese è colmo, ricco, strabordante di bellezze architettoniche, paesaggistiche, di dipinti, affreschi, sculture... sono la risorsa più grande, oltre a quella umana. La nostra risorsa più grande.
E' anche vero però, che c'è  un patrimonio culturale intermedio che si sta velocemente ormai, polverizzando. E' il tessuto del nostro quotidiano, la bellezza delle nostre città, dei nostri paesaggi. Non sta dentro ai musei, ma è godimento e bellezza per chi, come noi ha la fortuna di viverci. Rappresenta un "patrimonio in affido" da conservare nel rispetto di chi, attratto da tutto ciò, ci fa visita e nel rispetto di chi, domani, ci vivrà al posto nostro. Facciamo qualcosa.

Anto

Dal 2012 




"Il comma 46 dell'art. 23 della legge 15 luglio 2011 n. 111 ha operato un ampliamento delle finalità della destinazione del 5 per mille dell'imposta sui redditi delle persone fisiche, inserendo, tra le scelte che il contribuente può compiere, anche il finanziamento delle attività di tutela, promozione e valorizzazione dei beni culturali e paesaggistici.

Nella dichiarazione dei redditi del 2012 è stato inserito un sesto, apposito riquadro, in modo da consentire ai contribuenti, che intendano compiere questa scelta, di destinare il beneficio del 5 per mille al sostegno delle attività di tutela, promozione e valorizzazione dei beni culturali e paesaggistici.

La scelta, da parte del contribuente, di tale destinazione della quota del 5 per mille dell'imposta sui redditi, può essere effettuata mediante la semplice sottoscrizione (firma) e senza la necessità di ulteriori specificazioni (in ordine al codice fiscale del contribuente o alla denominazione del Ministero), e ciò al fine di facilitare al massimo la compilazione.




Così come esiste una salute di natura 'fisica' che è necessario preservare attraverso la cura del corpo, esiste una salute di natura 'spirituale', un benessere dell'anima legato anche alla possibilità di fruire pienamente delle bellezze dell'impareggiabile patrimonio culturale e paesaggistico nazionale. Tale patrimonio è un bene genuinamente 'nostro': ci appartiene e spetta a ciascuno di noi mantenerlo in buono stato. Il restauro è premessa irrinunciabile a un'altrettanto importante attività per il nostro Paese, ovvero la valorizzazione e la promozione di un capitale unico al mondo; una risorsa strategica per l'Italia di oggi e di domani.

Ogni singolo cittadino, con la sua firma, può dunque contribuire direttamente a questa preziosa azione a favore del patrimonio culturale e paesaggistico." (da Youtube)










giovedì 18 aprile 2013

Dittico d'amore


Parte 1

Dalla memoria 
immemore 
risalgo

Estranea a me stessa
nulla è più del nulla
racchiuso nella mente

... se non l'eco
svigorito e adulatore
di un mare infingardo
che  lecca la sabbia
nell'oscurità





Parte 2

Io non ho passato
ne ho troppi
e tu hai vissuto con me
ogni mia vita

Tra i colori della seta
mi hai spogliata
del rosso millenario dell'amore

Nel fumo acre delle taverne
m'hai presa come sposa

Ti ho disegnato sulla pelle
la cabala e le rune
sotto le volte acute
delle cattedrali di Francia

Dal mio viso d'animale
uno sguardo selvatico
fiuta il tuo sguardo
prima che il transito dei secoli
lo vesta d'umano
e ci divida ancora

Ma anche senza occhi
so che tu ci sei
quando sussurri
al palato della mia pelle

se voglio ancora morire

mercoledì 17 aprile 2013

Giuseppe Berto

Locandina del film  del 1950 per la regia di Claudio Gora tratto dall'omonimo  libro di Berto 




Seguendo la memoria che giorni fa, nel post su Pirandello, mi portò a ricordare la mia prima esperienza scolastica di teatro a tredici anni, mi sono imbattuta in un nuovo ricordo. L'esame di maturità.
No, non proprio l'esame di maturità, ma un autore che mi lega a quella circostanza.
... preparavo l'esame orale di Italiano erano gli ultimi giorni, ormai mancava pochissimo, forse una settimana o forse meno. C'era da scegliere un autore da portare come argomento a piacere e la maggior parte dei miei compagni avevano preparato Ungaretti e Montale.
Indecisa come sempre, oscillavo da un autore all'altro. Porto questo, no questo, no, no, questo! Fino alla fatidica ultima settimana. Mi ricordai così di lui, Giuseppe Berto.
Avevo letto "Il cielo è rosso" , l'anno precedente, durante la lunga estate nella Romagna di mia nonna. Il suo modo di scrivere mi  aveva catturata e non fu poca cosa pensandoci oggi; 17 anni e il mare davanti. Eppure mi estraniava da tutto il racconto di quelle giovani vite, giovani come me e così diversi da me. Ho amato così tanto quella storia  da aver conservato quel libro ancora oggi (lo vedete? Lì dietro, sulla libreria...) .
All'epoca non c'era wikipedia ( non sono Matusalemme ma ... non c'era nemmeno il pc! Gli unici erano i grossi elaboratori IBM che facevano capolino nelle grandi imprese. Sorrido pensando all'ipad su cui mio figlio studia!) e trovare elementi per poter preparare una tesina su un contemporaneo fu davvero un'impresa. Non chiedetemi come ma ci riuscii.
Fiat esame!
Presentare Giuseppe Berto fu un gesto d'amore nei confronti di quell'autore. Mi aveva regalato una lettura tutta d'un fiato. Cercando e cercando poi, per la tesina, avevo scoperto un uomo al di là delle sue parole. scoperto tematiche sconosciute, mi ero confrontata e scontrata con le sue scelte politiche. Con la sua anarchia di destra ma anche con  il suo atteggiamento senza compromessi. La sua emarginazione dalla classe dei letterati della sua epoca.   La sua vita, la sua storia. La sua malattia così profonda, quell'inquietudine, il male oscuro che lo segnò. Uno scrittore così lontano da me, eppure, così vicino a me nell'animo.
L'esame fu un successo, ma questa è tutta un'altra storia...

Anto







iuseppe Berto nacque il 27 dicembre 1914 a Mogliano Veneto. Qui frequentò il ginnasio presso il collegio Salesiano, terminando invece gli studi classi al liceo statale di Treviso. Alla fine del liceo si arruolò nell’esercito, partecipando a diverse campagne militari in Africa. Contemporaneamente si era iscritto alla facoltà di Lettere dell’università di Padova, sebbene con poca convinzione.
Laureatosi in tutta fretta per potersi arruolare all’ingresso dell’Italia nel secondo conflitto, venne scartato alla leva e dovette ripiegare sulla meno selettiva Milizia Volontaria per la Sicurezza Nazionale e fu inviato a combattere nuovamente In Africa. Fu fatto prigioniero dagli Alleati, internato in un campo di prigionia statunitense a Hereford, in Texas. Durante la prigionia ebbe l'occasione di conoscere personaggi quali Gaetano Tumiati e Alberto Burri. Iniziò a scrivere, e al suo ritorno in Italia le bozze dei suoi primi lavori confluirono nel suo romanzo Il cielo è rosso, edito da Longanesi nel 1946. Il romanzo si rivelò un enorme successo, anche all’estero, e oltre ai riconoscimenti nazionali (Premio Firenze 1948), ricevette anche il plauso di scrittori stranieri del calibro di Errnest Hemingway.
Le opere successive Il brigante (1948) e Le opere di Dio (1951) non ottennero lo stesso successo. Unitamente a questo, l’ostracismo di cui verrà fatto oggetto dall’establishment culturale dell’epoca, che lo marchiò con l’ appellativo di “fascista”, acuirono in lui una forte depressione (probabilmente latente), cui contribuivano anche le insoddisfazioni personali nella sua professione di sceneggiatore cinematografico. L’ingresso in analisi, resosi necessario a tale punto della sua esistenza, divenne il nucleo e il motore de Il male oscuro (1964), la sua opera più nota. In questo romanzo, iniziato su consiglio del suo analista, Berto affrontò molte tematiche strettamente autobiografiche, riguardanti in particolar modo il rapporto con il padre, vissuto in modo estremamente conflittuale. Da allora la critica gli riconobbe spesso dei debiti con la poetica dello stream of consciousness joyciano, benché questo sia un paragone che rischia di ridurre la peculiarità di questo testo, considerato tra i capolavori italiani e mondiali di questo secolo.
Negli anni seguenti, Berto continuò la sua attività di sceneggiatore anche per la RAI, senza trascurare la letteratura: le opere successive, tra cui citiamo La fantarca (1965), La cosa buffa(1966) e Anonimo veneziano (1971), resa celebre dal film che ne venne tratto, non ebbero la stessa incisività de Il male oscuro, e non riuscirono a spezzare l’isolamento dello scrittore dalla vita culturale italiana. Morì di cancro, nell’indifferenza (ma solo in Italia), a Roma, il 1° novembre 1978.


INCIPIT:

Il cielo è rosso

Il fiume era un corso d'acqua pigro e non molto lungo, che nasceva dalla palude, proprio dove cominciava la grande pianura. Di li si potevano vedere i monti imbevuti di azzurro, e più vicina l'ultima linea dei colli, che erano di varia forma, alcuni alti e a punta come coni, altri bassi e tondi, come delle gobbe. E sui colli si vedevano prati e case e alberi di castagne e filari di viti, e la distanza dava a tutte queste cose un'apparenza lieve e anche un po' malinconica, quasi che non fossero fatte per gli uomini.

Il male oscuro

Penso che questa storia della mia lunga lotta col padre, che un tempo ritenevo insolita per non dire unica, non sia in fondo tanto straordinaria se come sembra può venire comodamente sistemata dentro schemi e teorie psicologiche già esistenti.

 La cosa buffa 


In quel tempo di mezzo inverno benché si recasse ogni pomeriggio di sole sulla terrazza del Caffè alle Zattere, vale a dire in un luogo per niente spiacevole e anzi rallegrato dalle scarse cose liete che si possono trovare in una città umida qual è Venezia durante la brutta stagione, Antonio aveva soprattutto voglia di morire.


Anonimo veneziano


Sfumata in un residuo di nebbia che non ce la faceva né a dissiparsi né a diventare pioggia, un po' disfatta da un torpido scirocco più atmosfera che vento, assopita in un passato di grandezza e splendore e sicuramente anche d'immodestia confinante col peccato, la città era piena di attutiti rumori, di colori stagnanti nel culmine d'una marea pigra.



Rai International

Le angosce d'un anarchico di destra
"Nipotino tormentato di D’Annunzio, Berto è stato il più grande contestatore e, probabilmente, la più grande vittima dell’establishment letterario in questo dopoguerra": è la tesi esplicitamente avanzata dal giornalista Dario Biagi nella premessa al suo bel libro "Vita scandalosa di Giuseppe Berto" (Bollati Boringhieri, pp.272, L.30.000), dove viene ripercorso l’iter artistico ed esistenziale d’uno scrittore tanto dotato quanto pervicacemente non allineato, che pagò questa sua diversità con l’emarginazione dai salotti buoni della letteratura dell’epoca. Dopo il folgorante esordio nel romanzo de "Il cielo è rosso" (1947), ove il protagonista s’immola in guisa cristologica per scontare l’orribilità della guerra, Berto si allontana dal grande successo di pubblico e si dedica con qualche ritrosia al mestiere di sceneggiatore, praticato al solo fine di sbarcare il lunario. Collabora, in codesta veste, con molti intellettuali dell’epoca tra cui Alberto Moravia, che non lo stimò e con il quale egli ebbe un memorabile scontro nel ‘62 in occasione della consegna del premio Formentor ad una giovanissima Dacia Maraini, con tanto di corollario giudiziario: sono, questi, gli episodi che lo costringono ai margini degli ambienti radicali allora vincenti nell’ambito delle lettere e ad un sofferto ruolo di paria scontento.
A seguito d’una penosa fase di depressione, iniziata nel 1954 e segnata da una lunga terapia psicanalitica, egli torna alla ribalta dieci anni più tardi con "Il male oscuro", romanzo sperimentale debitore della scrittura joyciana eppur personale ed originalissimo nella struttura: i critici lo stroncano, ma esso vince nello stesso anno i premi Viareggio e Campiello, è esaltato alla radio da Carlo Emilio Gadda e salutato dalla prestigiosa "New York Review of Books" come unico libro di avanguardia italiano.
I testi successivi sapranno di maniera, a scorno del suo ritorno alla ribalta con il lacrimogeno "Anonimo veneziano" (1971), più noto nella versione in celluloide diretta da Enrico Maria Salerno; nel febbraio del ‘78, lo scrittore per il quale Hemingway dichiarò pubblicamente - nel ‘58, intervistato da Montale a Venezia - la sua stima, si spegne a Roma: nell’indifferenza generale, dimenticato da tutti.
F.T.
"Vita scandalosa di Giuseppe Berto" di Dario Biagi
Dario BiagiVita scandalosa di Giuseppe Berto
Bollati Boringhieri
1999
Pagine 272
Euro 15,49
http://www.italica.rai.it/principali/argomenti/libri/berto.htm
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Non sia mai ch'io ponga impedimenti all'unione di anime fedeli; Amore non è Amore se muta quando scopre un mutamento o tende a svanire quando l'altro s'allontana. Oh no! Amore è un faro sempre fisso che sovrasta la tempesta e non vacilla mai; è la stella-guida di ogni sperduta barca, il cui valore è sconosciuto, benché nota la distanza. Amore non è soggetto al Tempo, pur se rosee labbra e gote dovran cadere sotto la sua curva lama; Amore non muta in poche ore o settimane, ma impavido resiste al giorno estremo del giudizio: se questo è errore e mi sarà provato, io non ho mai scritto, e nessuno ha mai amato. W. Shakespeare

J.W. GOETHE

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Si dovrebbe, almeno ogni giorno, ascoltare qualche canzone, leggere una bella poesia, vedere un bel quadro, e, se possibile, dire qualche parola ragionevole. Johann Wolfgang Goethe

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