POESIE

venerdì 19 aprile 2013

Beni culturali



Martina Colombari fa la restauratrice nella fiction "il Restauratore"





Questo è il mio lavoro.



Amo il mio lavoro, lo amo a tal punto da sentirmi quasi in colpa nel definirlo, il mio lavoro.
Purtroppo oggi è difficile lavorare.  Mancano i soldi e la cultura non è pane. Siamo con i sassi alle porte. Tutti costretti a stringere cinture e denti per soddisfare i bisogni primari.

-Del braccio di Ferdinando III di Lorena, spezzato dai vandali, se ne può fare  a meno... -

I soldi mancano ai privati e mancano agli Enti preposti (la chiudo qui, non mi va di polemizzare). Diciamo che i soldi degli sponsor si trovano in qualche modo, ma difficilmente sponsorizzano restauri per beni di minor richiamo, di minor impatto mediatico. Non sono enti di beneficienza e il loro impegno economico deve avere un ritorno d'immagine. E' vero che il nostro Paese è colmo, ricco, strabordante di bellezze architettoniche, paesaggistiche, di dipinti, affreschi, sculture... sono la risorsa più grande, oltre a quella umana. La nostra risorsa più grande.
E' anche vero però, che c'è  un patrimonio culturale intermedio che si sta velocemente ormai, polverizzando. E' il tessuto del nostro quotidiano, la bellezza delle nostre città, dei nostri paesaggi. Non sta dentro ai musei, ma è godimento e bellezza per chi, come noi ha la fortuna di viverci. Rappresenta un "patrimonio in affido" da conservare nel rispetto di chi, attratto da tutto ciò, ci fa visita e nel rispetto di chi, domani, ci vivrà al posto nostro. Facciamo qualcosa.

Anto

Dal 2012 




"Il comma 46 dell'art. 23 della legge 15 luglio 2011 n. 111 ha operato un ampliamento delle finalità della destinazione del 5 per mille dell'imposta sui redditi delle persone fisiche, inserendo, tra le scelte che il contribuente può compiere, anche il finanziamento delle attività di tutela, promozione e valorizzazione dei beni culturali e paesaggistici.

Nella dichiarazione dei redditi del 2012 è stato inserito un sesto, apposito riquadro, in modo da consentire ai contribuenti, che intendano compiere questa scelta, di destinare il beneficio del 5 per mille al sostegno delle attività di tutela, promozione e valorizzazione dei beni culturali e paesaggistici.

La scelta, da parte del contribuente, di tale destinazione della quota del 5 per mille dell'imposta sui redditi, può essere effettuata mediante la semplice sottoscrizione (firma) e senza la necessità di ulteriori specificazioni (in ordine al codice fiscale del contribuente o alla denominazione del Ministero), e ciò al fine di facilitare al massimo la compilazione.




Così come esiste una salute di natura 'fisica' che è necessario preservare attraverso la cura del corpo, esiste una salute di natura 'spirituale', un benessere dell'anima legato anche alla possibilità di fruire pienamente delle bellezze dell'impareggiabile patrimonio culturale e paesaggistico nazionale. Tale patrimonio è un bene genuinamente 'nostro': ci appartiene e spetta a ciascuno di noi mantenerlo in buono stato. Il restauro è premessa irrinunciabile a un'altrettanto importante attività per il nostro Paese, ovvero la valorizzazione e la promozione di un capitale unico al mondo; una risorsa strategica per l'Italia di oggi e di domani.

Ogni singolo cittadino, con la sua firma, può dunque contribuire direttamente a questa preziosa azione a favore del patrimonio culturale e paesaggistico." (da Youtube)










giovedì 18 aprile 2013

Dittico d'amore


Parte 1

Dalla memoria 
immemore 
risalgo

Estranea a me stessa
nulla è più del nulla
racchiuso nella mente

... se non l'eco
svigorito e adulatore
di un mare infingardo
che  lecca la sabbia
nell'oscurità





Parte 2

Io non ho passato
ne ho troppi
e tu hai vissuto con me
ogni mia vita

Tra i colori della seta
mi hai spogliata
del rosso millenario dell'amore

Nel fumo acre delle taverne
m'hai presa come sposa

Ti ho disegnato sulla pelle
la cabala e le rune
sotto le volte acute
delle cattedrali di Francia

Dal mio viso d'animale
uno sguardo selvatico
fiuta il tuo sguardo
prima che il transito dei secoli
lo vesta d'umano
e ci divida ancora

Ma anche senza occhi
so che tu ci sei
quando sussurri
al palato della mia pelle

se voglio ancora morire

mercoledì 17 aprile 2013

Giuseppe Berto

Locandina del film  del 1950 per la regia di Claudio Gora tratto dall'omonimo  libro di Berto 




Seguendo la memoria che giorni fa, nel post su Pirandello, mi portò a ricordare la mia prima esperienza scolastica di teatro a tredici anni, mi sono imbattuta in un nuovo ricordo. L'esame di maturità.
No, non proprio l'esame di maturità, ma un autore che mi lega a quella circostanza.
... preparavo l'esame orale di Italiano erano gli ultimi giorni, ormai mancava pochissimo, forse una settimana o forse meno. C'era da scegliere un autore da portare come argomento a piacere e la maggior parte dei miei compagni avevano preparato Ungaretti e Montale.
Indecisa come sempre, oscillavo da un autore all'altro. Porto questo, no questo, no, no, questo! Fino alla fatidica ultima settimana. Mi ricordai così di lui, Giuseppe Berto.
Avevo letto "Il cielo è rosso" , l'anno precedente, durante la lunga estate nella Romagna di mia nonna. Il suo modo di scrivere mi  aveva catturata e non fu poca cosa pensandoci oggi; 17 anni e il mare davanti. Eppure mi estraniava da tutto il racconto di quelle giovani vite, giovani come me e così diversi da me. Ho amato così tanto quella storia  da aver conservato quel libro ancora oggi (lo vedete? Lì dietro, sulla libreria...) .
All'epoca non c'era wikipedia ( non sono Matusalemme ma ... non c'era nemmeno il pc! Gli unici erano i grossi elaboratori IBM che facevano capolino nelle grandi imprese. Sorrido pensando all'ipad su cui mio figlio studia!) e trovare elementi per poter preparare una tesina su un contemporaneo fu davvero un'impresa. Non chiedetemi come ma ci riuscii.
Fiat esame!
Presentare Giuseppe Berto fu un gesto d'amore nei confronti di quell'autore. Mi aveva regalato una lettura tutta d'un fiato. Cercando e cercando poi, per la tesina, avevo scoperto un uomo al di là delle sue parole. scoperto tematiche sconosciute, mi ero confrontata e scontrata con le sue scelte politiche. Con la sua anarchia di destra ma anche con  il suo atteggiamento senza compromessi. La sua emarginazione dalla classe dei letterati della sua epoca.   La sua vita, la sua storia. La sua malattia così profonda, quell'inquietudine, il male oscuro che lo segnò. Uno scrittore così lontano da me, eppure, così vicino a me nell'animo.
L'esame fu un successo, ma questa è tutta un'altra storia...

Anto







iuseppe Berto nacque il 27 dicembre 1914 a Mogliano Veneto. Qui frequentò il ginnasio presso il collegio Salesiano, terminando invece gli studi classi al liceo statale di Treviso. Alla fine del liceo si arruolò nell’esercito, partecipando a diverse campagne militari in Africa. Contemporaneamente si era iscritto alla facoltà di Lettere dell’università di Padova, sebbene con poca convinzione.
Laureatosi in tutta fretta per potersi arruolare all’ingresso dell’Italia nel secondo conflitto, venne scartato alla leva e dovette ripiegare sulla meno selettiva Milizia Volontaria per la Sicurezza Nazionale e fu inviato a combattere nuovamente In Africa. Fu fatto prigioniero dagli Alleati, internato in un campo di prigionia statunitense a Hereford, in Texas. Durante la prigionia ebbe l'occasione di conoscere personaggi quali Gaetano Tumiati e Alberto Burri. Iniziò a scrivere, e al suo ritorno in Italia le bozze dei suoi primi lavori confluirono nel suo romanzo Il cielo è rosso, edito da Longanesi nel 1946. Il romanzo si rivelò un enorme successo, anche all’estero, e oltre ai riconoscimenti nazionali (Premio Firenze 1948), ricevette anche il plauso di scrittori stranieri del calibro di Errnest Hemingway.
Le opere successive Il brigante (1948) e Le opere di Dio (1951) non ottennero lo stesso successo. Unitamente a questo, l’ostracismo di cui verrà fatto oggetto dall’establishment culturale dell’epoca, che lo marchiò con l’ appellativo di “fascista”, acuirono in lui una forte depressione (probabilmente latente), cui contribuivano anche le insoddisfazioni personali nella sua professione di sceneggiatore cinematografico. L’ingresso in analisi, resosi necessario a tale punto della sua esistenza, divenne il nucleo e il motore de Il male oscuro (1964), la sua opera più nota. In questo romanzo, iniziato su consiglio del suo analista, Berto affrontò molte tematiche strettamente autobiografiche, riguardanti in particolar modo il rapporto con il padre, vissuto in modo estremamente conflittuale. Da allora la critica gli riconobbe spesso dei debiti con la poetica dello stream of consciousness joyciano, benché questo sia un paragone che rischia di ridurre la peculiarità di questo testo, considerato tra i capolavori italiani e mondiali di questo secolo.
Negli anni seguenti, Berto continuò la sua attività di sceneggiatore anche per la RAI, senza trascurare la letteratura: le opere successive, tra cui citiamo La fantarca (1965), La cosa buffa(1966) e Anonimo veneziano (1971), resa celebre dal film che ne venne tratto, non ebbero la stessa incisività de Il male oscuro, e non riuscirono a spezzare l’isolamento dello scrittore dalla vita culturale italiana. Morì di cancro, nell’indifferenza (ma solo in Italia), a Roma, il 1° novembre 1978.


INCIPIT:

Il cielo è rosso

Il fiume era un corso d'acqua pigro e non molto lungo, che nasceva dalla palude, proprio dove cominciava la grande pianura. Di li si potevano vedere i monti imbevuti di azzurro, e più vicina l'ultima linea dei colli, che erano di varia forma, alcuni alti e a punta come coni, altri bassi e tondi, come delle gobbe. E sui colli si vedevano prati e case e alberi di castagne e filari di viti, e la distanza dava a tutte queste cose un'apparenza lieve e anche un po' malinconica, quasi che non fossero fatte per gli uomini.

Il male oscuro

Penso che questa storia della mia lunga lotta col padre, che un tempo ritenevo insolita per non dire unica, non sia in fondo tanto straordinaria se come sembra può venire comodamente sistemata dentro schemi e teorie psicologiche già esistenti.

 La cosa buffa 


In quel tempo di mezzo inverno benché si recasse ogni pomeriggio di sole sulla terrazza del Caffè alle Zattere, vale a dire in un luogo per niente spiacevole e anzi rallegrato dalle scarse cose liete che si possono trovare in una città umida qual è Venezia durante la brutta stagione, Antonio aveva soprattutto voglia di morire.


Anonimo veneziano


Sfumata in un residuo di nebbia che non ce la faceva né a dissiparsi né a diventare pioggia, un po' disfatta da un torpido scirocco più atmosfera che vento, assopita in un passato di grandezza e splendore e sicuramente anche d'immodestia confinante col peccato, la città era piena di attutiti rumori, di colori stagnanti nel culmine d'una marea pigra.



Rai International

Le angosce d'un anarchico di destra
"Nipotino tormentato di D’Annunzio, Berto è stato il più grande contestatore e, probabilmente, la più grande vittima dell’establishment letterario in questo dopoguerra": è la tesi esplicitamente avanzata dal giornalista Dario Biagi nella premessa al suo bel libro "Vita scandalosa di Giuseppe Berto" (Bollati Boringhieri, pp.272, L.30.000), dove viene ripercorso l’iter artistico ed esistenziale d’uno scrittore tanto dotato quanto pervicacemente non allineato, che pagò questa sua diversità con l’emarginazione dai salotti buoni della letteratura dell’epoca. Dopo il folgorante esordio nel romanzo de "Il cielo è rosso" (1947), ove il protagonista s’immola in guisa cristologica per scontare l’orribilità della guerra, Berto si allontana dal grande successo di pubblico e si dedica con qualche ritrosia al mestiere di sceneggiatore, praticato al solo fine di sbarcare il lunario. Collabora, in codesta veste, con molti intellettuali dell’epoca tra cui Alberto Moravia, che non lo stimò e con il quale egli ebbe un memorabile scontro nel ‘62 in occasione della consegna del premio Formentor ad una giovanissima Dacia Maraini, con tanto di corollario giudiziario: sono, questi, gli episodi che lo costringono ai margini degli ambienti radicali allora vincenti nell’ambito delle lettere e ad un sofferto ruolo di paria scontento.
A seguito d’una penosa fase di depressione, iniziata nel 1954 e segnata da una lunga terapia psicanalitica, egli torna alla ribalta dieci anni più tardi con "Il male oscuro", romanzo sperimentale debitore della scrittura joyciana eppur personale ed originalissimo nella struttura: i critici lo stroncano, ma esso vince nello stesso anno i premi Viareggio e Campiello, è esaltato alla radio da Carlo Emilio Gadda e salutato dalla prestigiosa "New York Review of Books" come unico libro di avanguardia italiano.
I testi successivi sapranno di maniera, a scorno del suo ritorno alla ribalta con il lacrimogeno "Anonimo veneziano" (1971), più noto nella versione in celluloide diretta da Enrico Maria Salerno; nel febbraio del ‘78, lo scrittore per il quale Hemingway dichiarò pubblicamente - nel ‘58, intervistato da Montale a Venezia - la sua stima, si spegne a Roma: nell’indifferenza generale, dimenticato da tutti.
F.T.
"Vita scandalosa di Giuseppe Berto" di Dario Biagi
Dario BiagiVita scandalosa di Giuseppe Berto
Bollati Boringhieri
1999
Pagine 272
Euro 15,49
http://www.italica.rai.it/principali/argomenti/libri/berto.htm
logorai.gif (2283 byte)



sabato 13 aprile 2013

Alzando gli occhi lui è là: pensiero


Si pone
come un'asse
stesa fra due corde
oscilla avanti
ricadendo indietro

Viene come il soffio
della primavera
a volte
a volte invece
si contorce
come la corda del funaio
che gira su sé stessa
senza forma 

Liscia le mani lungo i fianchi
le raccoglie alle ginocchia
fingendo di guardare altrove

Ma già lo sa
alzando gli occhi
lui è là

lunedì 8 aprile 2013

"L'UOMO DAL FIORE IN BOCCA" (Luigi Pirandello)

Mi è tornato in mente questo atto unico di Luigi Pirandello leggendo un post della mia amica Vilma (http://vilmabellucci.blogspot.it/.)
E' stato un ricordo bellissimo, un salto nel tempo a quando, per la prima ed unica volta, forse tredicenne, lo vidi a teatro con la scuola. Pensandoci ora forse non lo troverei adatto a quella età ma così andò, ed io ne rimasi folgorata. Non ci avevo mai fatto mente locale ma, adesso, proprio in questo momento, mentre le riflessioni e le immagini di quel giorno riaffiorano come se fosse accaduto in questo istante, posso dire sì, con certezza che da lì, proprio da quel giorno a teatro tutto ciò che oggi sono nel mio io, ha avuto inizio...
Chissà cosa ne penserebbe oggi la mia di allora insegnante di Italiano :)


Anto





Persone del dialogo

L'UOMO DAL FIORE IN BOCCA
UN PACIFICO AVVENTORE

N. B. -Verso la fine, ai luoghi indicati, sporgerà due volte il capo dal cantone un'ombra di donna, vestita
di nero, con un vecchio cappellino dalle piume piangenti.
Si vedranno in fondo gli alberi d'un viale, con le lampade elettriche che traspariranno di tra le foglie. Ai
due lati, le ultime case d'una via che immette in quel viale. Nelle case a sinistra sarà un misero Caffè
notturno con tavolini e seggiole sul marciapiede. Davanti alle case di destra, un lampione acceso. Allo
spigolo dell'ultima casa a sinistra, che farà cantone sul viale, un fanale anch'esso acceso. Sarà passata
da poco la mezzanotte. S'udrà da lontano, a intervalli, il suono titillante d'un mandolino.
Al levarsi della tela, l'Uomo dal fiore in bocca, seduto a uno dei tavolini, osserverà a lungo in silenzio
l'Avventore pacifico che, al tavolino accanto, succhierà con un cannuccio di paglia uno sciroppo di
menta.
L'UOMO DAL FIORE. 
Ah, lo volevo dire! Lei dunque un uomo pacifico è... Ha perduto il treno?
L'AVVENTORE. 
Per un minuto, sa? Arrivo alla stazione, e me lo vedo scappare davanti.
L'UOMO DAL FIORE. 
Poteva corrergli dietro!
L'AVVENTORE. 
Già. E` da ridere, lo so. Bastava, santo Dio, che non avessi tutti quegli impicci di
pacchi, pacchetti, pacchettini... Più carico d'un somaro! Ma le donne - commissioni... commissioni... -
non la finiscono più. Tre minuti, creda, appena sceso di vettura, per dispormi i nodini di tutti quei
pacchetti alle dita; due pacchetti per ogni dito.
L'UOMO DAL FIORE. 
Doveva esser bello! Sa che avrei fatto io? Li avrei lasciati nella vettura.
L'AVVENTORE.
E mia moglie? Ah sí le mie figliuole? E tutte le loro amiche?
L'UOMO DAL FIORE. 
Strillare! Mi ci sarei spassato un mondo.
L'AVVENTORE. 
Perché lei forse non sa che cosa diventano le donne in villeggiatura!
L'UOMO DAL FIORE. 
Ma sí che lo so. Appunto perché lo so.
Pausa
Dicono tutte che non avranno bisogno di niente.
L'AVVENTORE. 
Questo soltanto? Capaci anche di sostenere che ci vanno per risparmiare. Poi, appena arrivano in un paesello qua dei dintorni, piú brutto è, piú misero e lercio, e piú imbizzarriscono a pararlo con tutte le loro galanterie più vistose! Eh, le donne, caro signore! Ma del resto è la loro professione... -“Se tu facessi una capatina in città, caro! Avrei proprio bisogno di questo... di quest'altro... e potresti anche, se non ti secca (caro, il “se non ti secca”) ... e poi, giacché ci sei, passando di là...” - Ma come vuoi, cara mia, che in tre ore ti sbrighi tutte codeste faccende? - “Uh, ma che dici? Prendendo una vettura...” - Il guajo è che, dovendo trattenermi tre ore sole, sono venuto senza le chiavi di casa. 
L'UOMO DAL FIORE. 
Oh bella! E perciò?
L'AVVENTORE. 
Ho lasciato tutto quel monte di pacchi e pacchetti in deposito alla stazione; me ne sono andato a cenare in trattoria; poi, per farmi svaporar la stizza, a teatro. Si crepava dal caldo. All'uscita, dico, che faccio? Sono già le dodici; alle quattro prendo il primo treno; per tre orette di sonno, non vale la spesa. E me ne sono venuto qua. Questo caffè non chiude, è vero?
L'UOMO DAL FIORE. 
Non chiude, nossignore.
Pausa
E cosí ha lasciato tutti quei pacchetti in deposito alla stazione?
L'AVVENTORE. 
Perché me lo domanda? Non vi stanno forse sicuri? Erano tutti ben legati...
L'UOMO DAL FIORE. 
No, no, non dico!
Pausa
Eh, ben legati, me l'immagino: con quell'arte speciale che mettono i giovani di negozio nell'involtare la roba venduta...
Pausa
Che mani! Un bel foglio grande di carta doppia, rossa, levigata... ch'è per se stessa un piacere vederla... cosí liscia, che uno ci metterebbe la faccia per sentirne la fresca carezza... La stendono sul banco e poi con garbo disinvolto vi collocano su, in mezzo, la stoffa lieve, ben piegata. Levano prima da sotto, col dorso della mano, un lembo; poi, da sopra, vi abbassano l'altro e ci fanno anche, con svelta grazia, una rimboccaturina, come un di piú per amore dell'arte; poi ripiegano da un lato e dall'altro a triangolo e cacciano sotto le due punte; allungano una mano alla scatola dello spago; tirano per farne scorrere quanto basta a legare l'involto, e legano cosí rapidamente, che lei non ha neanche il tempo d'ammirar la loro bravura, che già si vede presentare il pacco col cappio pronto a introdurvi il dito.
L'AVVENTORE. 
Eh, si vede che lei ha prestato molta attenzione ai giovani di negozio.
L'UOMO DAL FIORE. 
Io? Caro signore, giornate intere ci passo. Sono capace di stare anche un'ora fermo a guardare dentro una bottega attraverso la vetrina. Mi ci dimentico. Mi sembra d'essere, vorrei essere veramente quella stoffa là di seta... quel bordatino... quel nastro rosso o celeste che le giovani di merceria, dopo averlo misurato sul metro, ha visto come fanno? Se lo raccolgono a numero otto intorno al pollice e al mignolo della mano sinistra, prima d'incartarlo.
Pausa
Guardo il cliente o la cliente che escono dalla bottega con l'involto appeso al dito o in mano o sotto il braccio... Li seguo con gli occhi, finché non li perdo di vista... immaginando... - uh, quante cose immagino! Lei non può farsene un'idea.
Pausa - Poi, cupo, come a se stesso:~
Ma mi serve. Mi serve questo.
L'AVVENTORE. 
Le serve? Scusi... che cosa?
L'UOMO DAL FIORE. 
Attaccarmi cosí - dico con l'immaginazione - alla vita. Come un rampicante attorno alle sbarre d'una cancellata. Pausa Ah, non lasciarla mai posare un momento l'immaginazione: - aderire, aderire con essa, continuamente, alla vita degli altri... - ma non della gente che conosco. No, no. A quella non potrei! Ne provo un fastidio, se sapesse, una nausea. Alla vita degli estranei, intorno ai quali la mia immaginazione può lavorare liberamente, ma non a capriccio, anzi tenendo conto delle minime apparenze scoperte in questo e in
quello. E sapesse quanto e come lavora! fino a quanto riesco ad addentrarmi! Vedo la casa di questo e di quello; ci vivo; mi ci sento proprio, fino ad avvertire... sa quel particolare alito che cova in ogni casa? Nella sua, nella mia. - Ma nella nostra, noi, non l'avvertiamo più, perché è l'alito stesso della nostra vita, mi spiego? Eh, vedo che lei dice di sí...
L'AVVENTORE. 
Sí, perché... dico, deve essere un bel piacere codesto che lei prova, immaginando tante cose...
L'UOMO DAL FIORE (con fastidio, dopo averci pensato un po'). 
Piacere? Io?
L'AVVENTORE.
Già... mi figuro...
L'UOMO DAL FIORE. 
Mi dica un po'. E` stato mai a consulto da qualche medico bravo?
L'AVVENTORE. 
Io no, perché ? Non sono mica malato!
L'UOMO DAL FIORE. Non s'allarmi! Glielo domando per sapere se ha mai veduto in casa di questi medici bravi la sala dove i clienti stanno ad aspettare il loro turno per essere visitati.
L'AVVENTORE. 
Ah, sí. Mi toccò una volta d'accompagnare una mia figliuola che soffriva di nervi.
L'UOMO DAL FIORE. 
Bene. Non voglio sapere. Dico, quelle sale...
Pausa
Ci ha fatto attenzione? Divano di stoffa scura, di foggia antica... quelle seggiole imbottite, spesso scompagne... quelle poltroncine... E` roba comprata di combinazione, roba di rivendita, messa lí per i clienti; non appartiene mica alla casa. Il signor dottore ha per sé, per le amiche della sua signora, un ben altro salotto, ricco, bello. Chi sa come striderebbe qualche seggiola, qualche poltroncina di quel salotto portata qua nella sala dei clienti a cui basta questo arredo cosi, alla buona, decente, sobrio. Vorrei sapere se lei, quando andò con la sua figliuola, guardò attentamente la poltrona o la seggiola su cui stette seduto, aspettando.
L'AVVENTORE. 
Io no, veramente...
L'UOMO DAL FIORE. 
Eh già; perché non era malato...
Pausa
Ma neanche i malati spesso ci badano, compresi come sono del loro male.
Pausa
Eppure, quante volte certuni stanno lí intenti a guardarsi il dito che fa segni vani sul bracciuolo lustro di quella poltrona su cui stan seduti! Pensano e non vedono.
Pausa
Ma che effetto fa, quando poi si esce dalla visita, riattraversando la sala, il rivedere la seggiola su cui poc'anzi, in attesa della sentenza sul nostro male ancora ignoto, stavamo seduti! Ritrovarla occupata da un altro cliente, anch'esso col suo male segreto; o là, vuota, impassibile, in attesa che un altro qualsiasi venga a occuparla.
Pausa
Ma che dicevamo? Ah, già... I1 piacere dell'immaginazione. - Chi sa perché, ho pensato subito a una seggiola di queste sale di medici, dove i clienti stanno in attesa del consulto!
L'AVVENTORE. 
Già... veramente...
L'UOMO DAL FIORE. 
Non vede la relazione? Neanche io.
Pausa
Ma è che certi richiami d'immagini, tra loro lontane, sono cosí particolari a ciascuno di noi; e determinati da ragioni ed esperienze cosí singolari, che l'uno non intenderebbe più l'altro se, parlando, non ci vietassimo di farne uso. Niente di piú illogico, spesso, di queste analogie.
Pausa
Ma la relazione, forse, può esser questa, guardi: - Avrebbero piacere quelle seggiole d'immaginare chi sia il cliente che viene a sedere su loro in attesa del consulto? che male covi dentro? dove andrà, che farà dopo la visita? - Nessun piacere. E cosí io: nessuno! Vengono tanti clienti, ed esse sono là, povere seggiole, per essere occupate. Ebbene, è anche un'occupazione simile la mia. Ora mi occupa questo, ora quello. In questo momento mi sta occupando lei, e creda che non provo nessun piacere del treno che ha perduto, della famiglia che lo aspetta in villeggiatura, di tutti i fastidi che posso supporre in lei.
L'AVVENTORE. 
Uh, tanti, sa!
L'UOMO DAL FIORE. 
Ringrazii Dio, se sono fastidi soltanto.
Pausa
C'è chi ha di peggio, caro signore.
Pausa
Io le dico che ho bisogno d'attaccarmi con l'immaginazione alla vita altrui, ma così, senza piacere, senza punto interessarmene, anzi... anzi... per sentirne il fastidio, per giudicarla sciocca e vana, la vita, cosicché veramente non debba importare a nessuno di finirla.
Con cupa rabbia:~
E questo è da dimostrare bene, sa? con prove ed esempi continui, a noi stessi, implacabilmente. Perché, caro signore, non sappiamo da che cosa sia fatto, ma c'è, c'è, ce lo sentiamo tutti qua, come un'angoscia nella gola, il gusto della vita, che non si soddisfa mai, che non si può mai soddisfare, perché la vita, nell'atto stesso che la viviamo, è cosí sempre ingorda di se stessa, che non si lascia assaporare. I1 sapore è nel passato, che ci rimane vivo dentro. I1 gusto della vita ci viene di là, dai ricordi che ci tengono legati. Ma legati a che cosa? A questa sciocchezza qua... a queste noje... a tante stupide illusioni... insulse occupazioni... Sí, sí. Questa che ora qua è una sciocchezza... questa che ora qua è una noja... e arrivo finanche a dire, questa che ora è per noi una sventura, una vera sventura... sissignori, a distanza di quattro, cinque, dieci anni, chi sa che sapore acquisterà... che gusto, queste lagrime... E la vita, perdio, al solo pensiero di perderla... specialmente quando si sa che è questione di giorni. . A questo punto dal cantone a destra sporgerà il capo a spiare la donna vestita di nero. Ecco... vede là? dico là, a quel cantone... vede quell'ombra di donna? - Ecco, s'è nascosta!
L'AVVENTORE. 
Come ? Chi. . . chi era ?...
L'UOMO DAL FIORE. 
Non l'ha vista? S'è nascosta.
L'AVVENTORE. 
Una donna?
L'UOMO DAL FIORE.
Mia moglie, già.
L'AVVENTORE. 
Ah! la sua signora ?
L'UOMO DAL FIORE (dopo una pausa). 
Mi sorveglia da lontano. E mi verrebbe, creda, d'andarla a prendere a calci. Ma sarebbe inutile. E` come una di quelle cagne sperdute, ostinate, che piú lei le prende a calci, e piú le si attaccano alle calcagna.
Pausa
Ciò che quella donna sta soffrendo per me, lei non se lo può immaginare. Non mangia, non dorme piú. Mi viene appresso, giorno e notte, cosí, a distanza. E si curasse almeno di spolverarsi quella ciabatta che tiene in capo, gli abiti. - Non pare piú una donna, ma uno strofinaccio. Le si sono impolverati per sempre anche i capelli, qua sulle tempie; e ha appena trentaquattro anni.
Pausa
Mi fa una stizza, che lei non può credere. Le salto addosso, certe volte, le grido in faccia: - Stupida! - scrollandola. Si piglia tutto. Resta lí a guardarmi con certi occhi... con certi occhi che, le giuro, mi fan venire qua alle dita una selvaggia voglia di strozzarla. Niente. Aspetta che mi allontani per rimettersi a seguirmi a distanza.
Di nuovo a questo punto, la donna sporgerà il capo.
Ecco, guardi... sporge di nuovo il capo dal cantone.
L'AVVENTORE. 
Povera signora!
L'UOMO DAL FIORE. 
Ma che povera signora! Vorrebbe, capisce? ch'io me ne stessi a casa, quieto, tranquillo, a coccolarmi in mezzo a tutte le sue più amorose e sviscerate cure; a godere dell'ordine perfetto di tutte le stanze, della lindura di tutti i mobili, di quel silenzio di specchio che c'era prima in casa mia, misurato dal tic-tac della pendola del salotto da pranzo. - Questo vorrebbe! Io domando ora a lei, per farle intendere l'assurdità... ma no, che dico l'assurdità! la màcabra ferocia di questa pretesa, le domando se crede possibile che le case d'Avezzano, le case di Messina, sapendo del terremoto che di lí a poco le avrebbe sconquassate, avrebbero potuto starsene tranquille sotto la luna, ordinate in fila lungo le strade e le piazze, obbedienti al piano regolatore della commissione edilizia municipale. Case, perdio, di pietra e travi, se ne sarebbero scappate! Immagini i cittadini di Avezzano, i cittadini di Messina, spogliarsi placidi placidi per mettersi a letto, ripiegare gli abiti, mettere le scarpe fuori dell'uscio, e cacciandosi sotto le coperte godere del candor fresco delle lenzuola di bucato, con la coscienza che fra poche ore sarebbero morti. - Le sembra possibile?
L'AVVENTORE. 
Ma forse la sua signora...
L'UOMO DAL FIORE. 
Mi lasci dire ! Se la morte, signor mio, fosse come uno di quegli insetti strani, schifosi, che qualcuno inopinatamente ci scopre addosso... Lei passa per via; un altro passante, all'improvviso, lo ferma e, cauto, con due dita protese le dice: “Scusi, permette? lei, egregio signore, ci ha la morte addosso ”. E con quelle due dita protese, la piglia e butta via... Sarebbe magnifica! Ma la morte non è come uno di questi insetti schifosi. Tanti che passeggiano disinvolti e alieni, forse ce l'hanno addosso; nessuno la vede; ed essi pensano quieti e tranquilli a ciò che faranno domani e doman l'altro.
Ora io,
Si alzerà.
caro signore, ecco... venga qua...
Lo farà alzare e lo condurrà sotto il lampione acceso.
qua sotto questo lampione... venga... le faccio vedere una cosa... Guardi, qua, sotto questo baffo... qua, vede che bel tubero violaceo? Sa come si chiama questo? Ah, un nome dolcissimo... più dolce d'una caramella: - Epitelioma, si chiama. Pronunzii, sentirà che dolcezza: epitelioma... La morte, capisce? è passata. M'ha ficcato questo fiore in bocca, e m'ha detto: - “Tientelo, caro: ripasserò fra otto o dieci mesi!”
Pausa
Ora mi dica lei, se con questo fiore in bocca, io me ne posso stare a casa tranquillo e quieto, come quella disgraziata vorrebbe.
Pausa
Le grido: - Ah sì, e vuoi che ti baci? - “Sì, baciami” - Ma sa che ha fatto? Con uno spillo, l'altra settimana, s'è fatto uno sgraffio qua, sul labbro, e poi m'ha preso la testa e mi voleva baciare... baciare in bocca... Perché dice che vuol morire con me.
Pausa
E` pazza...
Poi con ira:
A casa io non ci sto. Ho bisogno di starmene dietro le vetrine delle botteghe, io, ad ammirare la bravura dei giovani di negozio. Perché, lei capisce, se mi si fa un momento di vuoto dentro... lei lo capisce, posso anche ammazzare come niente tutta la vita in uno che non conosco... cavare la rivoltella e ammazzare uno che come lei, per disgrazia, abbia perduto il treno...
Riderà.
No no, non tema, caro signore: io scherzo!
Pausa
Me ne vado.
Pausa
Ammazzerei me, se mai...
Pausa
Ma ci sono, di questi giorni, certe buone albicocche... Come le mangia lei? con tutta la buccia, è vero? Si spaccano a metà; si premono con due dita, per lungo... come due labbra succhiose... Ah, che delizia! Riderà. - Pausa Mi ossequi la sua egregia signora e anche le sue figliuole in villeggiatura.
Pausa
Me le immagino vestite di bianco e celeste, in un bel prato verde in ombra...
Pausa
E mi faccia un piacere, domattina, quando arriverà. Mi figuro che il paesello disterà un poco dalla stazione. - All'alba, lei può fare la strada a piedi. - I1 primo cespuglietto d'erba su la proda. Ne conti i fili per me. Quanti fili saranno, tanti giorni ancora io vivrò.
Pausa
Ma lo scelga bello grosso, mi raccomando.
Riderà. Poi:~
Buona notte, caro signore.
E s'avvierà, canticchiando a bocca chiusa il motivetto del mandolino lontano, verso il cantone di destra; ma a un, certo punto, pensando che la moglie sta li ad aspettarlo, volterà e scantonerà dall'altra parte seguito con gli occhi dal pacifico avventore quasi basito.













GLI OCCHIALI

(poesia di Luigi Pirandello)

Avevo un giorno un pajo

d ’occhiali verdi; il mondo

vedevo verde e gajo,

e vivevo giocondo.

M ’abbatto a un messer tale

dall ’aria astratta e trista.

— «Verdi? — mi dice.

Ti sciuperai la vista.

Sú, prendi invece i miei:

vedrai le cose al vero!» —

Li presi. Gli credei.

E vidi tutto nero.


Ristucco in poco d ’ora

d ’un mondo cosi fatto,

buttai gli occhiali, e allora

non vidi nulla affatto.

mercoledì 3 aprile 2013


No
non mi pensare

Pensami 

Soltanto quando 
qualcuno
passandoti accanto
cercherà il tuo sguardo 
invano
e sfiorerà 
per caso 
la tua mano

Non mi cercare

Cercami 

Ma solo quando
scorrendo la cartina del mondo
sfiorerai col dito l'oceano immenso
una via nuova o una nuova scoperta

No
non immaginarmi
quando
avvertirai i sapori
di millenari amori
no...
Tu immagina di me
ciò che non ti ho dato
soltanto quando 
sì 
solo quando
il tuo orizzonte ampio
sarà un'unica linea 
d'alba e di tramonto

Chiamami 
oh certo...
quando!

Quando avrai dimenticato il mio nome
e mi scoprirai a te dentro
sì dentro
no
non nel sapore d'un bacio perduto
no
ma lì
dove ora tutto tace
fra le vene del cuore 
dove ho riposato

Nell'anima tua di lago
nel sogno della carne
nel pensiero impronunciato

Post più popolari

W. Shakespeare SONNET116

W. Shakespeare SONNET116
Non sia mai ch'io ponga impedimenti all'unione di anime fedeli; Amore non è Amore se muta quando scopre un mutamento o tende a svanire quando l'altro s'allontana. Oh no! Amore è un faro sempre fisso che sovrasta la tempesta e non vacilla mai; è la stella-guida di ogni sperduta barca, il cui valore è sconosciuto, benché nota la distanza. Amore non è soggetto al Tempo, pur se rosee labbra e gote dovran cadere sotto la sua curva lama; Amore non muta in poche ore o settimane, ma impavido resiste al giorno estremo del giudizio: se questo è errore e mi sarà provato, io non ho mai scritto, e nessuno ha mai amato. W. Shakespeare

J.W. GOETHE

J.W. GOETHE
Si dovrebbe, almeno ogni giorno, ascoltare qualche canzone, leggere una bella poesia, vedere un bel quadro, e, se possibile, dire qualche parola ragionevole. Johann Wolfgang Goethe

Elenco blog personale