POESIE

giovedì 28 febbraio 2013

voglio la speranza



Se tutto è compiuto
se il laccio che imbriglia le mani
è corda di chitarra
su cui cammino e taglio l'erba

Se l'erba che odora d'umiltà
di pietà 
mi stordisce
così come il tasto nero che si alterna al bianco
sotto le dita del pianista
che suona un profumo di declino

Se fosse il mugolare delle foglie
quando il sole le riscalda
o il vento 
a volare i cappelli
sulle cime degli alberi
canute e senza chiome
guardiani silenziosi dei caduti
e se fossero loro
i caduti
a sollevarsi dalle fosse
e a chiederci rispetto
delle loro morti
stanche morti
potremmo dire onore
se conoscessimo ancora
cosa vuole dire...

Addobbati come feste di natale
come strette di mano col sensale
per vendere al mercato
l'ultima coscienza
di sguardi ostili
 -d'indifferenza alla differenza-

Se fosse tutto ciò
che s'accumula in cantina
a farci sentir vivi e ricchi di passato
mentre 
nel nostro corpo 
langue
ciò che oggi non sarà mai stato
e ci convince del futuro
un fiato caldo 
dentro un bacio
mai leccato


Voglio che la speranza
...

La speranza 
che ogni brandello strappato
dalla carne fredda 
di un uomo ferito
(nell'anima)
che ogni fardello sopportato
a spalle curve
sfogliando il selciato
ad ampie pagine di sputo
camminando 
con la bocca impastata
salata 
da promesse rinnegate
e mai colmate 
dal cercare
...
sia saziata 
saziata dal cercare l'uomo

Tra gli sguardi disagiati 
dei rinnegati 
dei folli maledetti 
nei suoni stonati della vita smarrita
tra le lenzuola sfatte di cupidigia
tra le  parole dette e divorate a morsi
ingoiate nell'urlo
...che nulla vale più 
se non Amore

martedì 26 febbraio 2013

ITALIA



Metto la cartina fisica del paese in cui sono nata e in cui vivo, l'Italia. Quella politica, già solo per il nome, mi fa venire l'orticaria.

Sono confusa, delusa e amareggiata dall'esito elettorale.



 «Vado nell’orto, ho la lattuga che mi scappa da tutte le parti» disse ... Beppe Lucio Quinzio Cincinnato Grillo.

E dopo questa lucida e brillante affermazione vi  lascio il link di un blog al quale tengo molto:

http://leonardo.blogspot.it  ... Buona lettura.

martedì 5 febbraio 2013

Serendipità



Il termine serendipità è un neologismo indicante la sensazione che si prova quando si scopre una cosa non cercata e imprevista mentre se ne sta cercando un'altra. Famosa ed esplicativa è l'affermazione del ricercatore biomedico americano Julius Comroe che definisce così la serendipità: " La serendipità è cercare un ago in un pagliaio e trovarci la figlia del contadino."

La frase è perfetta e non a caso scaturisce dal pensiero di un uomo di scienza, sì perchè la serendipità comprende oltre al fatto di essere una sensazione, anche la tipicità casuale della scienza che, molte volte, ci ha regalato importanti scoperte mentre si stava cercando in tutt'altra direzione.

Su Wikipedia: " Portando alle estreme conseguenze il concetto di serendipità/casualità delle scoperte scientifiche, in contrapposizione al metodo dell'indagine sistematica, si può arguire che in ogni scoperta, come del resto in ogni aspetto della vita reale, deve essere insito qualche elemento di casualità: se il ricercatore sapesse già esattamente quello che sta cercando, non avrebbe bisogno di cercarlo, bensì gli basterebbe avere una conferma di una realtà che già prevede esista. In questo senso una nuova scoperta scientifica ottenuta mediante intuizione o serendipità da un ricercatore è cosa sostanzialmente diversa rispetto all'ottenimento di una conferma sperimentale di un evento mai prima osservato, ma previsto - da uno scienziato - in base all'estrapolazione di una teoria basata sull'interpretazione di altri eventi noti correlati. In questo caso infatti l'oggetto della ricerca sarebbe il tentativo di validare una teoria - cioè una rappresentazione astratta del mondo reale - quindi non la realtà in sé del mondo sottostante."

(Wikipedia)




Bene, definito scientificamente il concetto sono andata a cercare oltre. Io tutto sono tranne che una scienziata e volevo trovare (non casualmente) la radice più profonda di queste sensazioni. Cerca qua, cerca là sono arrivata a Serendip, al Re Jaffer e ai suoi tre figli principi.


"PELLEGRINAGGIO DI TRE GIUOVANI FIGLIOLI DEL RE DI SERENDIPPO”

antica favola Persiana tradotta  in italiano da Cristoforo Armeno nel 1548


Fu anticamente nelle parti orientali, nel paese di Serendippo, che un grande e potente re nominato Giaffer, ritrovandosi tre figliuoli maschi coltissimi, perché educati dai più grandi saggi del tempo, ma privi però di un'esperienza altrettanto importante di vita vissuta; decise, per provare oltre alla loro saggezza anche le loro attitudini pratiche, di cacciarli dal regno. "Deliberò, per farli compiutamente perfetti, che andassero a vedere del mondo, per apparare da diversi costumi e maniere di molte nationi con l'esperienza quello che colla lettione de' libri, e disciplina de' precettori s'erano di già fatti padroni".

Da poco giunti nel Paese di Bahrām, "potente imperadore", i principi si imbattono in un cammelliere disperato perché ha perduto il proprio animale. I tre pur non avendolo visto, dicono al poveretto di averlo incontrato "nel cammino, buon pezzo a dietro". Per rassicurare il cammelliere gli forniscono tre elementi: il cammello perduto è cieco da un occhio, "gli manca uno dente in bocca" ed è zoppo. Il buon uomo, ripercorre a ritroso la strada ma non riesce a ritrovare l'animale.

Il giorno seguente, ritornato sui suoi passi, incontra di nuovo i tre giovani e li accusa di averlo ingannato. Per dimostrare di non aver mentito i tre principi aggiungono altri tre elementi.

Dicono: il cammello aveva una soma, carica da un lato di miele e dall'altro di burro, portava una donna, e questa era incinta. Di fronte a questi particolari, il cammelliere, dà per certo che i tre abbiano davvero incontrato il suo animale ma, vista la ricerca infruttuosa, li accusa di averglielo rubato..

I nobili singalesi, imprigionati nelle segrete dell'imperatore Bahrām, affermano di aver inventato tutto per burlarsi del cammelliere ma le apparenze li inchiodano e sono così condannati a morte perché ladri. Fortunatamente un altro cammelliere, trovato il cammello e avendolo riconosciuto, lo riconduce al legittimo proprietario. Dimostrata in tal modo la propria innocenza, i tre vengono liberati non senza aver prima dato una adeguata spiegazione di come avessero fatto a descrivere l'animale senza averlo mai visto.

I tre rivelano che ciascun particolare del cammello è stato immaginato, grazie alla capacità di osservazione e alla sagacia. Che fosse cieco da un occhio era dimostrato dal fatto che, pur essendo l'erba migliore da un lato della strada, era stata brucata quella del lato opposto, quello che poteva essere visto dall’unico occhio buono dell’animale. Che fosse privo di un dente lo dimostrava l'erba mal tagliata che si poteva osservare lungo la via. Che fosse zoppo, poi, lo svelavano senza ombra di dubbio le impronte lasciate dall'animale sulla sabbia. Sulla spiegazione del carico i tre dissero di aver dedotto che il cammello portasse da un lato miele e dall'altro burro perché lungo la strada da una parte si accalcavano le formiche (amanti del grasso) e dall'altro le mosche (amanti del miele); aveva sul dorso una donna perché in una sosta il passeggero si era fermato ai lati della strada a urinare, e questa urina era stata odorata da uno dei principi per curiosità, venendo egli "assalito da una concupiscenza carnale" che può venire solo da urine di donna, aveva dedotto che il passeggero doveva essere di sesso femminile. Infine la donna doveva essere gravida, perché poco innanzi alle orme dei piedi c'erano quelle delle mani, usate dalla donna per rialzarsi a fatica visto "il carico del corpo".

Le spiegazioni dei tre principi stupiscono a tal punto Bahrām, , che decide di fare dei tre giovani sconosciuti i propri consiglieri. I tre principi in incognito offrono così i loro servigi all'imperatore, salvandogli anche la vita risolvendo situazioni difficili o prevedendo il futuro.

(Renzo Bragantini, Il riso sotto il velame, Firenze, Olschki, 1987.)




Come si vede, le scoperte fatte dai principi nascono dal caso, dall'osservazione e dalla sagacia, secondo le tre regole auree della serendipità.






« Quando si scrive una poesia è frequente la serendipità: miri a conquistare le Indie e raggiungi l'America. »

Andrea Zanzotto



Non credo che molti di noi sapessero il significato della parola serendipity prima dell’omonimo film, uscito nel 2002, che narrava la storia di due ragazzi che si erano innamorati credendo nell’incontro casuale ad opera del destino.
Horace Walpole nel 1745 coniò questa parola per indicare quel modo di viaggiare a caso, senza meta, dei principi di Serendip – l’antico nome dell’isola di Ceylon – che li portava sempre a scoprire qualcosa di bello e straordinario.
Nell’isola di Ceylon era diffusa la religione buddista, che lasciava molta libertà di interpretazione dei canoni e che indicava nella serenità e nella quiete mentale il principio fondamentale di tutta la pratica religiosa. La serendipità nasce proprio da questo substrato culturale e religioso.
Certo che sarebbe proprio bello se potessimo programmare la nostra vita seguendo il principio di serendipità! Niente piani particolareggiati, niente orari, né agenda, tutto il tempo della giornata a propria disposizione per scoprire il nostro mondo vicino e lontano, tutto il nostro vivere basato sul tempo presente.
Essere serendipici significa anche possedere una disposizione mentale tale da affrontare i problemi quotidiani con neutrale accettazione: dove c’è un problema esiste la soluzione, l’energia negativa sprigionata dalla rabbia o dal rancore non aiuta a risolvere un problema.
Vedere la soluzione prima del problema, ascoltare prima di parlare, significa affrontare la vita, la giornata, con ottimismo e fiducia nella propria ed altrui vita personale. Questa particolare disposizione mentale favorisce il verificarsi dei fenomeni di serendipità e i fenomeni di serendipità favoriscono l’instaurarsi di questa particolare condizione mentale. [...] facendo di ogni incontro, di ogni occasione una vera scoperta e un motivo di interesse. Bernardino del Boca diceva che ogni persona che incontriamo per la strada è un messaggero per i piani alti della nostra struttura superiore, quella di cui non abbiamo coscienza. Provare interesse per le persone che ci circondano e che incontriamo per la strada è un modo per uscire dal nostro radicato egoismo e dalla nostra abitudinaria indifferenza.
Affrontare la giornata come se fosse una scoperta, anche se sappiamo benissimo quello che ci aspetta, ci aiuta a non avere pregiudizi e a condizionare la mente verso quella positività che ci può far compiere quel salto di coscienza che ci può realmente cambiare la vita.
[...]. Se la nostra mente è affollata dai rancori, dalle preoccupazioni, dai timori e si lascia anche prendere dalla commiserazione non può che recarci danni di diversa natura, dall’ansia a quelli di natura psicofisica. Senza la calma e la quiete della mente non si possono percepire i messaggi dell’anima e di tutta la parte profonda della nostra personalità. La pratica della serendipità è un modo per giungere alla pace della mente e, di conseguenza al contatto con l’Anima.
La storia della nostra cultura è soprattutto una storia di idee e di concetti morali, idee e concetti che hanno profondamente plasmato gli individui e le società in cui sono vissuti. Il concetto di bellezza, ricercato da tutti i popoli della Terra e teorizzato soprattutto dai greci; il concetto di amore teorizzato e praticato dai cristiani; il concetto di tolleranza e di pace interiore sviluppati dalla cultura buddista, sono ormai dei concetti universali accettati da ogni essere umano, e la diffusione di questi concetti ha fatto in modo che in duemila anni di storia siano diventati dei valori, dei capisaldi morali e civili di ogni società umana.
[...] Chi pratica la serendipità sa che la vita è giusta così com’è; che non esistono ingiustizie anche se l’apparenza spesso ci inganna. La visione profonda delle cose, quella che “non ci sono ancora le parole per dire, ma che si riesce ad intuire”, ci dice che i principi di Serendip avevano capito.


(Fonte: Lo sciamano metropolitano Libro di Gian Paolo degli Agosti su Bernardino Del Boca)

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