POESIE

venerdì 30 dicembre 2016

ARIA DI CASA MIA

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Cecilia. Chiamarsi così le era stato gradito fin da bambina. Il suono che faceva la lingua quando gli altri lo pronunciavano le pareva segno di simpatia verso di lei. Anche quando, raramente, ma normalmente, le accadeva di venire rimproverata, tutte quelle c da pronunciare fungevano da frangiflutti e scemavano ogni sonora onda dirompente fino alla quasi dissoluzione del rimprovero stesso.




Erano le due del 24 Agosto. Stava finendo di preparare il sacco con i panini. Una ciotola con un po' di frutta a dadini, due pacchetti di wafers, un piccolo termos di caffè.

Elisabetta sarebbe passata di lì a minuti. Iniziavano le sospirate vacanze. 
Da quando aveva trovato lavoro in Francia, tornava sempre più raramente a casa dai suoi, nelle Marche. Aveva dei nuovi amici, colleghi e spesso si tratteneva a Lione anche per qualche festa comandata rinunciando a tornare ad Arquata.

Era arrivata il quindici Agosto, per la felicità di tutti. Cene, pranzi, zii, nonni. Baci, baci, carezze,
e lei, sinceramente felice, si faceva trasportare di qua e di là, girare e rigirare come una trottola. Lo metteva in conto ogni volta, era il pegno da pagare ad ogni ritorno.

Le piaceva dormire nel suo letto. Un grande letto matrimoniale. Con le palle di ferro agli angoli ed un disegno di fiori nel centro della testata.

Era il letto matrimoniale di sua nonna. Aveva dormito lì con lei quando era rimasta vedova e poi, quando anche sua nonna aveva raggiunto il marito, era diventato il letto suo.

Era alto, con quattro guanciali e d'inverno, coperte su coperte, le garantivano il caldo per la notte.

Aveva studiato a l'Università e per tutti se lei diceva che qualcosa era giusto così, sarebbe stato proprio giusto così. Si sentiva lusingata e al tempo stesso imbarazzata. Sapeva di non essere diversa da milioni di altri studenti nel resto del mondo, ma per la sua piccola comunità, lei era un riferimento: la saggia Cecilia. Sapeva che per molti tra i suoi compaesani, aver visto New York, Londra, Parigi e la maggior parte delle capitali europee era cosa non comune. Al ritorno da ogni viaggio portava qualcosa di tipico da mangiare tutti assieme. Erano poco più di un migliaio di anime in tutto e tutti, ma proprio tutti, si conoscevano e c'era sempre un buon motivo per festeggiare e i suoi ritorni, erano uno di quei buoni motivi.

Le piaceva viaggiare e la laurea in relazioni internazionali, le aveva dato, in tal senso, molte opportunità. Era diventata anche una collezionista di aria. Collezionava l'aria di ogni luogo. La raccoglieva in un barattolino di vetro. Sigillava con una cordicella il tappo e con della cera lacca, fissava tutto. Una grande etichetta riportava l'ora - il giorno - il luogo - e talvolta, l'evento che accompagnava quell'aria. Le emozioni, i colori, le sensazioni. Il titolo di una canzone; era un diario sensoriale.

Così c'era l'aria di New York a Times Square e quella di Londra a Piccadilly Circus, l'aria di Parigi sulla Tour Eiffel.
C'era l'aria del Sasso Barisano a Matera e quella calda dell'Etna in eruzione.


Ed aggiungeva con un tratto di pennarello uno sbaffo di colore blu o oro, a seconda dell'importanza delle sensazioni in quel momento.

Annotazioni brevi, che scorrevano con lo scorrere felice della sua vita.

Sentì vibrare il cellulare, Elisabetta era sotto casa. Silenziosamente caricò lo zaino sulle spalle e col sacco dei viveri, scese le scale. Era ormai quasi in fondo quando sentì aprire la porta di camera di sua madre. Nel triangolo luminoso della porta aperta vide i suoi genitori farle un cenno con la mano e sentì sua madre dire - Mi raccomando, fate attenzione con la macchina. Chiama appena arrivi.

Lei rispose inviando un bacio e annuendo con la testa portò il dito indice sulla cima del naso in segno di silenzio, non voleva svegliare suo fratello, altrimenti avrebbe ricominciato la lagna del - mi ci porti anche a me -.

L'aria fresca della notte l'accolse e subito pensò che forse avrebbe dovuto raccogliere anche quella. L'avrebbe chiamata - L'aria di Arquata la notte prima delle tre in partenza per l'aeroporto di Roma -.

Elisabetta la stava aspettando e con lei, tante vacanze e tanta aria cubana da raccogliere. Arquata by night, poteva aspettare.

Salì in macchina e immediatamente fu assalita dalla felicità dirompente della sua amica,
che con la scusa della  paura di un  colpo di sonno, non si zittiva.
Pensò quindi di allungare la mano verso lo stereo ed accese la radio. Erano appena passate le tre e trenta, quando la strada, all'improvviso, si aprì davanti a loro.
Furono solo urla. La macchina con un sussulto, si spense. Intorno rumore di crolli e ancora, incontenibili urla. A qualche chilometro c'era il paese di Accumoli. Tutto era completamente buio. Scesero di macchina. I cellulari non avevano più linea. Prese dalla disperazione le due ragazze si abbracciarono sgomente. Diedero fondo a tutta la loro razionalità e al loro coraggio.
Si guardarono e senza parole si dissero

- Torniamo a casa.

La macchina andò in moto subito mentre con i fari tentavano di vedere come fosse la situazione intorno. L'asfalto era sollevato in più punti di molti centimetri e dal costone che fiancheggiava la strada erano caduti molti massi. Incredule e spaventate si sentivano miracolate. Fecero marcia indietro e poi, ripresero la strada verso Arquata, a passo d'uomo.

Il buio era spaventoso. Le luci dei paesi intorno erano spente nel raggio di chilometri.

Lei non parlava ed Elisabetta guidava in preda ad un pianto silenzioso e interrotto solo da esclamazioni di incredulità.

Ci misero molto a tornare indietro, sentivano animali ululare e latrare disperati. D'improvviso si parò loro di fronte un uomo che sbracciando intimava di fermarsi. Lo riconobbero, era Ugo, il postino che abitava da solo poco fuori paese. Accostarono l'auto, aprirono la portiera e Cecilia in un lampo saltò dietro e lo fece salire al suo posto, accanto ad Elisabetta.

- E' tutto distrutto, tutto

- Arquata e' crollata.
Disse Ugo in un soffio di fiato.
- Grazie a Dio siete passate voi. La mia macchina è sepolta sotto il tetto del garage e stavo cercando di raggiungere il paese a piedi.

Il cuore di Cecilia si arrestò per trenta secondi.
Le due ragazze vivevano a due case di distanza l'una dall'altra. Erano state bambine insieme, insieme tutte le scuole fino all'Università. Innamorate degli stessi ragazzi, amiche degli stessi amici. Per anni le loro vite erano state quasi a fotocopia l'una dell'altra. E ne erano felici. Era una sorellanza fortissima che le faceva stare insieme in ogni momento possibile; ed ora, insieme ancora una volta ad affrontare un evento così devastante ed imprevisto.

Per strada c'erano tutti i loro compaesani. Macerie e grida e pianti.

Si tenevano per mano mentre correvano verso le loro case. Ugo, le trattenne con forza.

- Non si può andare là, è troppo pericoloso. C'è rischio di altre scosse e di nuovi crolli.

Cecilia si sentì chiamare; era sua madre che le correva incontro. Con lei c'erano suo padre e suo fratello. Scoppiarono in un pianto guaritore mentre scioglievano i loro cuori in un abbraccio.

- Elisabetta, i tuoi genitori stanno bene. Sono in fondo alla strada, siamo tutti radunati là.

- Le nostre case sono crollate. Per fortuna siamo riusciti a scappare prima che tutto cadesse giù. 
Disse la mamma di Cecilia, rincuorando per quanto possibile Elisabetta.

Iniziava ad albeggiare e la luce impietosa del giorno che nasceva, svelava lentamente tutto il dramma di quella comunità. C'erano i morti allineati a terra coperti con teli e coperte. E i sopravvissuti, accanto a loro, che piangevano senza lacrime mentre i soccorsi cercavano fra le macerie ogni più debole segno di vita.

Dagli squarci delle case crollate si vedeva la vita fermata. L'immagine di ciò che un attimo prima era la quotidianità ed ora era solo devastazione.

Vide ciò che rimaneva della sua stanza, messo a vista dal muro crollato. Il letto di ferro battuto, la tenda rosa che riparava la luce da una finestra che non c'era più. Più in basso, sulla montagna di macerie, i suoi libri, le foto sparse ovunque. Tra tutto ciò riconobbe i vetri dei suoi amati barattoli. L'aria del mondo si era sparsa, in quella notte tremenda, con l'aria del suo paese. Arquata, New York, Parigi... un groppo alla gola le straziava il fiato. Tutto era crollato intorno e dentro lei.

Stava cercando nella borsa un fazzoletto per asciugare le lacrime quando sentì la forma di uno dei suoi barattoli. Lo tirò fuori incredula. Sull'etichetta c'era scritto: - Aria di casa mia -.



Antonella Borghini







sabato 24 dicembre 2016

Babbo Natale Esiste. Punto.


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Nel 1897 una bambina scrisse al New York Sun dicendo che i suoi amici le avevano detto che Babbo Natale era una invenzione. Non esisteva. Voleva che il giornale le dicesse la verità.
E il Sun, con un editoriale che oggi nessun giornalista avrebbe più il coraggio di scrivere, rispose: «Cara Virginia, i tuoi amici si sbagliano. Sono vittime dello scetticismo dei nostri scettici tempi. Credono solo alle cose che vedono. Eppure, Virginia, Babbo Natale esiste. Esiste allo stesso modo in cui esistono l'amore, la generosità, la devozione. E tu sai che queste cose esistono, abbondano, e sono le cose che danno alla tua vita la sua bellezza e la sua gioia. Perché le cose più reali sono quelle che né i bambini né i grandi riescono a vedere».

Tiziano Terzani, Un altro giro di giostra, p. 237-238




e con questo ... Auguri di Buon Natale amici dell'Isola di E'riu, passanti occasionali o lettori curiosi.

giovedì 22 dicembre 2016

TESTAMENTO DEL PINO LORICATO









Seme su seme

ho fecondato la più sterile petraia

e da quelle pietre

di radice in radice

con la lentezza primigenia

di chi sa di molte vite

ho varcato il limite al silenzio

dove alberi e genti

s'incontrano col cielo



Ho lasciato al faggio

il più facile pendio

e la mia verde chioma

ho ceduto quale alcova

ad un'innamorata Cincia Mora



Quando l'avorio dei miei rami

sarà scolpito dai fulmini

e avvolto in un tempo senza tempo

mi donerò alla forza cedevole del vento



Saranno i miei contorti morti fusti

incorruttibile memoria del mio animo guerriero

che resteranno angeli - guardiani

di queste ardue terre


quale pegno d'amore alla mia gente

mercoledì 14 dicembre 2016

Se avesse un nome


Se avesse un nome
sarebbe inaspettato
questo silenzio
fitto di lacrime restie
che come da vena tagliata
sgorga

Che m'attraversa la gola
e come lisca soffoca
me e in me
ogni parola

lunedì 12 dicembre 2016

MARAM AL- MASRI

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Maram al-Masri è nata nel 1962 a Lattakia (Siria), sulle rive del Mediterraneo, ad appena venti miglie marine dall’isola di Cipro. Vive a Parigi dal 1982. Dopo un primo libro pubblicato nel 1984 a Damasco dal titolo “Ti minaccio con una colomba bianca”, presso la casa editrice del Ministero dell’ Educazione, ritorna alla poesia con “Ciliegia rossa su piastrelle bianche”, pubblicato a Tunisi dalle Edizioni L’Oro del Tempo, nel 1997, e salutato con entusiasmo dalla critica dei paesi arabi.
Il premio del Forum culturale libanese in Francia, al quale partecipò il poeta libanese Adonis e destinato a premiare le creazioni letterarie arabe, le è stato attribuito nel marzo 1998.
Questo libro è stato tradotto in spagnolo, in francese, in corso e in inglese (Gran Bretagna e Stati Uniti).
Molte sue poesie sono state tradotte e pubblicate in riviste, in spagnolo, francese, inglese, tedesco, italiano, corso e turco.
Il suo terzo libro “Ti guardo”, pubblicato originariamente a Beirut nel 2000 (e poi in Francia e in Spagna) è stato pubblicato nell'agosto del 2009 da Multimedia Edizioni (traduzione dall'arabo di Marianna Salvioli). Il suo libro "Les âmes aux pieds nus", pubblicato in Francia da Le Temps des Cerises è stato pubblicato col titolo "Anime scalze" nel 2011 dalla Multimedia Edizioni / Casa della poesia che nel 2014 dà alle stampe "Arriva nuda la libertà" (traduzione dall'arabo di Bianca Carlino).

La sua poesia è inserita nel volume "Non ho peccato abbastanza. Antologie di poetesse arabe contemporanee" (Mondadori, 2007).
Maram al-Masri ha partecipato a numerosi festival internazionali di poesia in tutto il mondo e per Casa della poesia nel 2004 a "Il cammino delle comete" e a "Sidaja", nel 2005 a “Napolipoesia nel Parco” e agli “Incontri di Sarajevo”. Nel 2007 e nel 2009 ha preso parte a "VersoSud", Reggio Calabria.
È stata ripetutamente ospite di Casa della poesia in letture e festival.




Maram ha così spiegato, in un’intervista a Samir Galal Mohammed del 2014, la chiave interpretativa della sua scrittura: «Scrivere è imparare a conoscere se stessi, nella propria nudità, nei pensieri più intimi. Scrivere, per me, è come morire davanti a una persona che ti osserva senza muoversi. È come annegare mentre una nave ti passa vicino, senza vederti. Scrivere significa essere quella nave che salverà chi sta annegando, è stare sull’orlo di una scogliera e aggrapparsi a un filo d’erba. Quando scrivo, il mio io è quello dell’altro, e questa convinzione mi aiuta a liberare me stessa, a mettermi a nudo. Tuttavia, far valere la mia poesia e cercare di meritare il corrispettivo titolo, mi mette in pericolo - è uno scandalo che implica tanta sofferenza». Lo scandalo della verità che, come il dolore, è spada piantata nella carne della vita, a separarla dall’effimero.



LE DONNE COME ME

Le donne come me
non sanno parlare;
la parola le rimane
di traverso in gola
come una lisca
che preferiscono inghiottire.
Le donne come me
sanno soltanto piangere
a lacrime restie
che improvvisamente
rompono e sgorgano
come una vena tagliata.
Le donne come me
sopportano gli schiaffi,
senza osare renderli.
Tremano di rabbia
e la reprimono.
Come leoni in gabbia,
le donne come me
sognano
di libertà…


DELITTO

Che
meraviglioso delitto
ho commesso?
Ho goduto
di un corpo
che mi ha donato
un fiume inebriante
e una ribellione di vita.


BUSSANO



Bussano.
Chi sarà?
Nascondo la polvere della mia solitudine
sotto il tappeto,
aggiusto il mio sorriso,
ed apro.

ANIME SCALZE

Le ho viste.
Loro,
i loro volti dai lividi celati.
Loro,
gli ematomi nascosti tra le cosce,
Loro,
i loro sogni rapiti, le loro parole azzittite
Loro,
i loro sorrisi affaticati.
Le ho viste
tutte
passare nella strada
anime scalze,
che si guardano dietro,
temendo di essere seguite
dai piedi della tempesta,
ladre di luna
attraversano,
camuffate da donne normali.
Nessuno le può riconoscere
tranne quelle
che sono come loro.



LUI HA DUE DONNE


Lui ha due donne:
una che dorme nel suo letto
e una che dorme nel letto dei suoi sogni.
Lui ha due donne che lo amano:
una che invecchia al suo fianco
e una che gli offre i fianchi
per poi occultarsi.

Lui ha due donne:
una nel cuore della sua casa
e una nella casa del suo cuore.


sabato 10 dicembre 2016

Nasce la casa editrice Tessere






Nasce la casa editrice Tessere




Nasce la nuova casa editrice "Tessere" che, a fianco dei libri, tenterà di produrre, con il sostegno dei soci dell'omonima associazione culturale, anche "iniziative di qualità capaci di far riflettere, diffondere il sapere, far crescere la consapevolezza". La nuova editrice, promossa dal giornalista fiorentino Daniele Pugliese, nasce nel giorno della "Dichiarazione universale dei diritti dell'umanità": con lui lo storico Gian Luca Corradi, l'organizzatrice culturale Linda Coppitz, la nutrizionista Antonella Blanco e l'esperta di moda Fabiana Conti. Fulcro dell'iniziativa un sito internet - www.tessere.org - che mira a diventare una rivista "attraverso la quale promuovere le migliori e più interessanti produzioni culturali nel campo dell'editoria, della musica, dello spettacolo, dell'attività convegnistica, ma anche di leggere 'con occhio culturale' i fatti quotidiani e i fenomeni sociali e politici in un'epoca troppo votata al superficiale e al sensazionale".

ANSA 10-12-2016 17:14

La Notte Santa - Guido Gozzano









- Consolati, Maria, del tuo pellegrinare!
Siam giunti. Ecco Betlemme ornata di trofei.
Presso quell'osteria potremo riposare,
ché troppo stanco sono e troppo stanca sei.

Il campanile scocca
lentamente le sei.

- Avete un po' di posto, o voi del Caval Grigio?
Un po' di posto per me e per Giuseppe?
- Signori, ce ne duole: è notte di prodigio;
son troppi i forestieri; le stanze ho piene zeppe

Il campanile scocca
lentamente le sette.

- Oste del Moro, avete un rifugio per noi?
Mia moglie più non regge ed io son così rotto!
- Tutto l'albergo ho pieno, soppalchi e ballatoi:
Tentate al Cervo Bianco, quell'osteria più sotto.

Il campanile scocca
lentamente le otto.

- O voi del Cervo Bianco, un sottoscala almeno
avete per dormire? Non ci mandate altrove!
- S'attende la cometa. Tutto l'albergo ho pieno
d'astronomi e di dotti, qui giunti d'ogni dove.

Il campanile scocca
lentamente le nove.

- Ostessa dei Tre Merli, pietà d'una sorella!
Pensate in quale stato e quanta strada feci!
- Ma fin sui tetti ho gente: attendono la stella.
Son negromanti, magi persiani, egizi, greci...

Il campanile scocca
lentamente le dieci.

- Oste di Cesarea... - Un vecchio falegname?
Albergarlo? Sua moglie? Albergarli per niente?
L'albergo è tutto pieno di cavalieri e dame
non amo la miscela dell'alta e bassa gente.

Il campanile scocca
le undici lentamente.

La neve! - ecco una stalla! - Avrà posto per due?
- Che freddo! - Siamo a sosta - Ma quanta neve, quanta!
Un po' ci scalderanno quell'asino e quel bue...
Maria già trascolora, divinamente affranta...

Il campanile scocca
La Mezzanotte Santa.

È nato!
Alleluja! Alleluja!

È nato il Sovrano Bambino.
La notte, che già fu sì buia,
risplende d'un astro divino.
Orsù, cornamuse, più gaje
suonate; squillate, campane!
Venite, pastori e massaie,
o genti vicine e lontane!

Non sete, non molli tappeti,
ma, come nei libri hanno detto
da quattro mill'anni i Profeti,
un poco di paglia ha per letto.
Per quattro mill'anni s'attese
quest'ora su tutte le ore.
È nato! È nato il Signore!
È nato nel nostro paese!
Risplende d'un astro divino
La notte che già fu sì buia.
È nato il Sovrano Bambino.

È nato!
Alleluja! Alleluja!

LA BUONA NOVELLA - DE ANDRE'




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Cappella Scrovegni - Padova -
GIOTTO- PARTICOLARE DELLA " PRESENTAZIONE DI MARIA AL TEMPIO"


... da cui tutto ebbe inizio.


Il Protovangelo, uno dei vangeli apocrifi,  afferma, nel capitolo sesto, che all'età di un anno Maria viene presentata ai sacerdoti del Tempio dai suoi due genitori, Anna e Gioacchino; pochi anni dopo viene fatta accedere all'interno, prendendo parte alla vita sacerdotale, fino al momento dell'incontro con Giuseppe.

Nei primi autori cristiani, come nel già citato protovangelo o nel libro sulla natività di Maria (capitolo VI), viene ricordato che Maria venne introdotta nel Tempio all'età di tre anni, come i suoi genitori avevano promesso a Dio, purché gli concedesse di concepire un figlio.






LA BUONA NOVELLA DE ANDRE'

Attraverso i Vangeli apocrifi, scelti come traccia da seguire per elaborare la trama del disco, emerge la vocazione umana e terrena, quindi provocatoria e rivoluzionaria della figura storica di Gesù di Nazareth, già narrata in Si chiamava Gesù. In questo album la figura di Cristo è narrata attraverso quella dei personaggi che hanno a che fare con lui e la sua storia, mentre appare direttamente come protagonista solo nella canzone Via della Croce.

La narrazione, introdotta da un Laudate Dominum, inizia raccontando L'infanzia di Maria: la piccola Maria vive un'infanzia terribile segregata nel tempio ("dicono fosse un angelo a raccontarti le ore, a misurarti il tempo fra cibo e Signore"); l'impurità delle prime mestruazioni ("ma per i sacerdoti fu colpa il tuo maggio, la tua verginità che si tingeva di rosso") provocò il suo allontanamento e la scelta forzata di uno sposo; il matrimonio avviene con un uomo buono ma vecchio, il falegname Giuseppe ("la diedero in sposa a dita troppo secche per chiudersi su una rosa") che la sposa per dovere e la deve poi lasciare per quattro anni per lavoro.

Ne Il ritorno di Giuseppe si può cogliere la fatica della vita di Giuseppe; nel suo ritorno a casa porta una bambola per Maria, e la trova implorante affetto e attenzione. Il sogno di Maria riporta la scena nel tempio. In un sogno l'angelo che usava farle visita la porta in volo lontano "là dove il giorno si perde"; lì le dà la notizia della futura nascita di un bimbo; il testo allude ad un concepimento più terreno di quello raccontato dai vangeli canonici. Al risveglio Maria capisce di essere incinta ("parole confuse nella mia mente, svanite in un sogno ma impresse nel ventre") e si scioglie in pianto.

La maternità inaspettata ("ave alle donne come te Maria, femmine un giorno e poi madri per sempre"), si esprime in Ave Maria, un omaggio alla donna nel momento del concepimento.

Dalla letizia che traspare in Ave Maria il passaggio a Maria nella bottega d'un falegname è drastico: il ritmo dato dalla pialla e dal martello scandiscono il dolore straziante del falegname che costruisce la croce ("tre croci, due per chi disertò per rubare, la più grande per chi guerra insegnò a disertare") con la quale il figlio di Maria ed i due ladroni verranno crocifissi.

Via della croce è una delle canzoni in cui De André lascia trasparire i suoi pensieri e i suoi sentimenti anarchici: "il potere vestito d'umana sembianza ormai ti considera morto abbastanza". Infine, sotto la croce stessa: "non fossi stato figlio di Dio t'avrei ancora per figlio mio" dice la madre al figlio. Questo aspetto è completamente trascurato dai Vangeli canonici.

Non appena i tre condannati vengono crocifissi, le loro rispettive Tre Madri stanno adagiate sotto le croci per confortarli. Le due donne dicono a Maria che non ha alcuna ragione di piangere così "forte", dal momento che sa che suo figlio, al contrario dei loro, "alla vita, nel terzo giorno, [...] farà ritorno". La canzone si conclude con le parole di Maria che spiegano il motivo della sua tristezza: "non fossi stato figlio di Dio/t'avrei ancora per figlio mio".

Ne Il testamento di Tito vengono invece elencati i dieci comandamenti, analizzati dall'inedito punto di vista di Tito, il ladrone pentito crocifisso accanto a Gesù; i nomi dei ladroni variano da vangelo a vangelo (Dimaco/Gesta Tito/Disma): Tito è il ladrone buono nel vangelo arabo dell'infanzia (l'altro è chiamato Dimaco). Per quanto riguarda la musica, la prima strofa incomincia semplicemente con la voce ed un leggero accompagnamento con la chitarra, crescendo sempre più in strumenti e accompagnamenti fino all'ultima strofa. "È insieme ad Amico Fragile - dichiarò De André - la mia miglior canzone. Dà un'idea di come potrebbero cambiare le leggi se fossero scritte da chi il potere non ce l'ha. È un altro di quei pezzi scritti col cuore, senza paura di apparire retorici, che riesco a cantare ancora oggi, senza stancarmene."

L'opera termina con una sorta di canto liturgico (Laudate hominem) che incita a lodare l'uomo, e non in quanto figlio di un dio, ma in quanto figlio di un altro uomo, quindi fratello.




FABRIZIO DE ANDRE' ESPRIME IL SENSO DELL'ALBUM " LA BUONA NOVELLA":


« Quando scrissi "La buona novella" era il 1969. Si era quindi in piena lotta studentesca e le persone meno attente - che sono poi sempre la maggioranza di noi - compagni, amici, coetanei, considerarono quel disco come anacronistico. Mi dicevano: "Ma come? Noi andiamo a lottare nelle università e fuori dalle università contro abusi e soprusi e tu invece ci vieni a raccontare la storia - che peraltro già conosciamo - della predicazione di Gesù Cristo." Non avevano capito che in effetti La Buona Novella voleva essere un'allegoria - era una allegoria - che si precisava nel paragone fra le istanze migliori e più sensate della rivolta del '68 e istanze, da un punto di vista spirituale sicuramente più elevate ma da un punto di vista etico sociale direi molto simili, che un signore 1969 anni prima aveva fatto contro gli abusi del potere, contro i soprusi dell'autorità, in nome di un egalitarismo e di una fratellanza universali. Si chiamava Gesù di Nazareth e secondo me è stato ed è rimasto il più grande rivoluzionario di tutti i tempi. Non ho voluto inoltrarmi in percorsi, in sentieri, per me difficilmente percorribili, come la metafisica o addirittura la teologia, prima di tutto perché non ci capisco niente; in secondo luogo perché ho sempre pensato che se dio non esistesse bisognerebbe inventarselo. Il che è esattamente quello che ha fatto l'uomo da quando ha messo i piedi sulla terra. Ho quindi preso spunto dagli evangelisti cosiddetti apocrifi. Apocrifo vuol dire falso, in effetti era gente vissuta: era viva, in carne ed ossa. Solo che la Chiesa mal sopportava, fino a qualche secolo fa, che fossero altre persone non di confessione cristiana ad occuparsi, appunto, di Gesù. Si tratta di scrittori, di storici, arabi, armeni, bizantini, greci, che nell'accostarsi all'argomento, nel parlare della figura di Gesù di Nazareth, lo hanno fatto direi addirittura con deferenza, con grande rispetto. Tant'è vero che ancora oggi proprio il mondo dell'Islam continua a considerare, subito dopo Maometto, e prima ancora di Abramo, Gesù di Nazaret il più grande profeta mai esistito. Laddove invece il mondo cattolico continua a considerare Maometto qualcosa di meno di un cialtrone. E questo direi che è un punto che va a favore dell'Islam. L'Islam quello serio, non facciamoci delle idee sbagliate. »
(Dal concerto al teatro Brancaccio, 14 febbraio 1998)


A Gesù Bambino - Umberto Saba


La notte è scesa
e brilla la cometa
che ha segnato il cammino.
Sono davanti a Te, Santo Bambino!
Tu, Re dell’universo,
ci hai insegnato
che tutte le creature sono uguali,
che le distingue solo la bontà,
tesoro immenso,
dato al povero e al ricco.
Gesù, fa’ ch’io sia buono,
che in cuore non abbia che dolcezza.
Fa’ che il tuo dono
s’accresca in me ogni giorno
e intorno lo diffonda,
nel Tuo nome.

sabato 3 dicembre 2016

Biografia di Luigi Maione (in arte Maione)


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Compositore e arrangiatore, chitarrista autodidatta, si è perfezionato in armonia e composizione con Filippo Daccò e in chitarra con Giorgio Cocilovo, Gigi Cifarelli, Gaudenzio Gazzola.

Autore di testi, ha ottenuto vari riconoscimenti sia come poeta (Roma 1982, Premio Internazionale di Poesia Poeti del ‘900 C. Capodieci) che come cantautore (Sanremo, Teatro Ariston, Tenco 1995).





Nella sua lunga attività professionale ha partecipato a diverse trasmissioni televisive (RAI, Mediaset, TMC, Videomusic, Telelombardia), inciso nell’ambito della musica leggera, ideato e realizzato jingle pubblicitari (Oscar Mondadori, L’Unità), contributi musicali per colonne sonore (ha suonato in Pane e Tulipani, Agata e la tempesta), spettacoli teatrali e musicali (Zingaro Incanto, Sentiero Color Cenere, Harem 2009 con KesiaElwin, Walid Hussein, Mohamed Antr).
Ha inciso con Mamud Band, Massimo Cavallaro (per Antonio Albanese).

Fin da ragazzo partecipa, prima come cantante, poi cantautore e chitarrista elettrico, a numerosissime manifestazioni, rassegne folk e rock- festival dell’area vesuviana, maturando un solido bagaglio live.

Trasferitosi a Roma, poi a Milano, continua ad affinare il suo percorso musicale abbracciando nuovi generi e operando, come musicista e arrangiatore, in diverse formazioni in Italia e all’estero, soprattutto nell’area della musica salsa (Stoccolma, Festival latino-americano, 1987; Milano, Palatrussardi, 1988).

Intanto continua la sua attività di cantautore: è di questo periodo l’avvio del suo primo progetto di contaminazione musicale, il gruppo latin-rock-mediterraneo Partenope Latina (sette elementi tra cui tromba, chitarra elettrica, batteria e percussioni), con cui presenta esclusivamente pezzi di propria composizione (1988-91).

Dopo una breve incursione nel mondo della musica leggera torna ad approfondire il suo personale discorso musicale fino all’incontro con le sonorità balcaniche, zingare, klezmer, segnando l’inizio della collaborazione, dal ‘95 in poi, con Maurizio Dehò e Gian Pietro Marazza.

Francesco Guccini - Vorrei











venerdì 2 dicembre 2016





Filippo Palizzi, "La fanciulla sulla roccia a Sorrento”,1871 olio su tela, cm 55x80.
Conservato presso la Fondazione Internazionale Balzan, Milano.



Subito sotto il profilo della roccia, l'autore scrisse questa epigrafe:

"Egli mi pose a giacere su questa roccia, mi dice di guardarti da mattina a sera e dirti sempre: sii felice. Felice."

GIUSEPPE DE NITTIS - " LA MODERNITE' ELEGANTE "














DE NITTIS, Giuseppe. - Nacque a Barletta (Bari) il 25 febbr. 1846 da Raffaele e da Teresa Buracchia. Visse gli anni della sua prima giovinezza nella città natale con i fratelli, dopo la morte di entrambi i genitori. Compiuti i primi studi con G. B. Calò e con V. Dattoli, iniziò a dipingere trovando ispirazione nella natura, con quell'istintiva gioia e dedizione che saranno le doti primarie del suo operare. Quindicenne, entrò all'istituto delle belle arti di Napoli, dove studiò sotto la guida di G. Smargiassi e di G. Mancinelli. Nel 1863 ne venne espulso per indisciplina. Da allora abbandonò la scuola e divenne maestro di se stesso, come scriverà poi nel Taccuino, rivelando la sua reattività e intransigenza nei confronti della scuola e dell'ambiente napoletano, allora dominato dal verismo aneddotico di F. Palizzi e dalla pittura di D. Morelli (Pica, G. D. ..., 1914, p.19).

Improntata, inizialmente, ad una illetterata sincerità, l'opera del D. non tardò a dare i suoi frutti; Profilo di donna (Milano, coll. Lusvardi), che data il 1863, segnò l'ingresso dei pittore in quella "scuola di Portici" che, formatasi attorno ad A. Cecioni, a F. Rossano, a M. De Gregorio, praticava una pittura aderente al vero, attenta alla resa dei valori atmosferici, alla soluzione tonale dei rapporti cromatici.

Nel 1864 partecipò alla terza mostra della Promotrice Salvator Rosa di Napoli con due piccoli studi intitolati Lavvicinarsi del temporale (Valdagno, coll. Marzotto), ampiamente lodati dal Cecioni (1894), che d'ora innanzi diverrà sua guida attenta e severa, pronta a valorizzare la sua più intima ispirazione poetica: "finezza ed eleganza erano le caratteristiche del suo talento ... io gli dicevo sempre che era chiamato a rendere il lato elegante della natura" (p. 362). L'Ofantino, eseguito nel 1866 (Firenze, coll. privata: cfr. Piceni, 1979, tav.3), realizza nell'effetto dei colori traslucidi, nell'esattezza formale un puntiglioso mimetismo naturalistico, in cui si intravede qualche accento nord europeo riecheggiante i modi di Pitloo (Pittaluga-Piceni 1963, p. 19). Passaggio degli Appennini e Casale dei dintorni di Napoli(Napoli, Museo di Capodimonte), comparsi alla Promotrice del 1866, furono acquistati da Vittorio Emanuele II per la reggia di Capodimonte, fatto questo che accrebbe la notorietà del giovane pittore. Sulle rive dell'Ofanto (Firenze, Galleria naz. d'arte moderna), Marina grigia (ripr. in Pittaluga-Piceni, 1963, n. 24), entrambe del 1867, sono tavole di piccolo formato, appunti veloci, in cui si delineano nitide vedute paesaggistiche (cfr. Ojetti, 1929).

Ancora le lodi del Cecioni introdussero il D. nell'ambito del caffè Michelangelo, là dove T. Signorini, S, Lega, C. Banti, G. Fattori discutevano intorno alla nuova tecnica della "macchia" preparando nuovi destini per la pittura italiana. Nevicata, Una diligenza in tempo di pioggia, ricordate dal Cecioni (1894, p. 364) e oggi scomparse, vennero esposte alla Promotrice fiorentina del 1867, suscitando grande consenso nel pubblico. In Una diligenza in tempo di pioggia il Martelli (1878) notò "una fattura finitissima e al contempo delicata" (p. 125), dove la definizione "finitissima" sottolineava l'importanza che in quella pittura vi trovava il disegno, più che la tecnica di contrasto cromatico propria dei macchiaioli. Allo stesso modo, M. Pittaluga scorse in comune con essi più un atteggiamento polemico nei confronti dell'Accademia che una convergenza poetica vera e propria (1963, p. 25).

Il soggiorno del D. a Firenze si protrasse per alcune settimane, ma un'altra meta lo aspettava. Dopo un lungo peregrinare per l'Italia, nel 1867 giunse a Parigi. Qui lavorò intensamente sotto la protezione del mercante M. Goupil e si indirizzò presso un gruppo di artisti tra cui era diffuso il gusto di una pittura in costume, di un'arte alla moda, specchio della gaiezza mondana e della grazia un po' frivola della società parigina. Tra tutti predilesse M. Fortuny, E. Meissonier e L. Gerôme, di cui si disse allievo. Dopo una breve parentesi napoletana nel 1868, di ritorno nella capitale francese, espose al Salon del 1869: Visita all'antiquario del 1869 (Filadelfia, coll. J. G. Johnson) è uno studio di artificiosa eleganza, dove l'eccessiva abilità di composizione diminuisce la sincerità evocativa del maestro. In. Passa il treno del 1869 (Barletta, Galleria De Nittis) il D. torna ad immergersi nelle vastità malinconiche e silenti della campagna pugliese; così nel novembre del 1870, di nuovo in Puglia a causa della guerra franco-prussiana, dipinse alcuni paesaggi evocanti uno spazio liricizzato, tra cui i più rappresentativi sono: Tratturodi Puglia (Milano, coll. Mainardi), Strada del Tavoliere(Milano, coll. Carraro).

Tornato a Parigi nel 1872, il D. si presentò al Salon di quell'anno con La strada da Brindisi a Barletta (già New York, coll. Andersen; cfr. Pittaluga-Piceni, 1963, n. 207), quadro di minuscole dimensioni, ampiamente lodato dal Mantz (1886, p. 8) e dal Claretie (1885, p. 363). Nel 1874 espose al Salon due quadri, Guidando al Bois (Milano, coll. Crespi), Che freddo!(Milano, Brera, coll. Jucker). Il primo, di stampo degasiano nella soluzione disegnativa, non ebbe successo, mentre fu ben accolto il secondo: ironica rappresentazione di signore infreddolite, in cui al solito cliché di bellezza mondana è aggiunto un pizzico di humour, nella resa delle vesti lievemente scomposte dal vento.

Introdotto da Degas, il D. partecipò nel 1874 alla prima esposizione degli impressionisti. La sua pittura apparve finita, precisa e, anche se accresciuta di valori cromoluministici, si distinse dalle restanti opere (Lavagnino, 1956, p. 739); "la macchia di colore ... non era per lui un problema di conoscenza, ... di 'visione' ... ma semplicemente una questione di charme" (Maltese, 1960, p.228). Fu il senso vivo della contemporaneità a condurlo incontro agli impressionisti; pittore volubile, ne tradusse a suo modo i suggerimenti: studiò il taglio e l'impaginazione della pittura giapponese, gli effetti cinematici di Degas, amò le dissolvenze materiche di Monet (Piceni, 1979, p.23). Sempre nel 1874 si recò a Londra., e da allora vi fece ritorno ogni anno. Piccadilly (Milano, coll. Marzotto) del 1875, WaterlooBridge (Busto Arsizio, coll. Bernocchi) del 1876, Domenica a Londra (Cadenabbia, coll. P. Schort Guaita; Milano, coll. Bianchi) e Westminster(Valdagno, coll. Marzotto) del 1878 sono attente rappresentazioni d'ambiente, fedeli interpretazioni di vita cittadina (Bénédite, 1926, p. 32).

Brevi soggiorni in Italia tra il 1875 e il 1880 gli consentirono di attingere alla fonte originaria della sua ispirazione; Sulla strada di Castellammare (Milano. coll. Lodigiani) del 1875, Pranzo a Posillipo (Milano, Galleria d'arte moderna, Raccolta Grassi) del 1879 sono una felice sintesi tra impressione e finitezza, mentre di una più immediata impressione sono Ritorno dalle corse (Filadelfia, Museum of Art) del 1875, Cantieri (Barletta, Galleria De Nittis) del 1876. L'opera completa dei D. apparve per la prima volta nel 1878 alla Esposizione universale di Parigi, e gli valse la Legion d'onore.

Il D. intraprese anche l'esperienza della scultura: nel 1879 portò a termine un progetto per il monumento a Vittorio Emanuele II, che tuttavia non venne mai realizzato (bozzetto e progetto si trovano a Barletta, Galleria De Nittis).

Acquarellista e acquafortista, si dedicò tardi ai pastelli; tecnica questa che predilesse nei ritratti quasi tutti eseguiti tra il 1882 e il 1883.

I più noti di essi, La femme aux pompons (Milano, Galleria d'arte moderna), Giornata d'inverno (Barletta, Galleria De Nittis), Caffè in veranda (coll. priv., ripr. in Pittaluga-Piceni, 1963, tav. LIX), Sarah Bernhardt (Milano, coll. Jucker) tutti datati il 1882 e Colazione in giardino (Barletta, Galleria De Nittis) del 1884, negli ingrandimenti, nella rapidità degli scorci, come nel taglio ricalcano un modello assai caro a E. Manct (Piceni, 1979, p. 23). Quando era al massimo della popolarità, nel 1883, il governo francese acquistò per il Museo del Lussemburgo Le rovine delle Tuileries (Parigi, Musée national d'art moderne), terminato nel 1882.

Circondato dalla Parigi mondana ed elegante, il D. frequentò le personalità più note dell'ambiente artistico-letterario quali Manet, Degas, i fratelli Goncourt, Zola, Daudet. Fu autore molto prolifico (il catalogo Pittaluga-Piceni del 1963 annovera 742 opere, a cui se ne aggiungono altre 208, comparse nel catalogo Piceni del 1982).

Apprezzato dalla critica più affermata, il D. morì all'età di 38 anni a Saint-Gérmain-en-Laye il 23 ag. 1884; nell'aprile 1869 aveva sposato Léotine Gruville.

Come scrisse L. Chirtani nel suo necrologio (1884), il D., pur rimanendo lontano dal modo drammatico di intendere il rapporto tra pittura e realtà proprio degli impressionisti, fu interprete fedelissimo e appassionato delle forme più svariate e cangianti della vita moderna.

(di Maria Virginia Cardi)
Giuseppe De Nittis, Colazione all’aperto, 1883-1884, Olio su tela, cm. 81x117, Barletta, Pinacoteca Giuseppe De Nittis (foto Pierluigi Siena, Roma)




Giuseppe De Nittis, Figura di donna, 1880, Olio su tela, cm. 79x38, Barletta, Pinacoteca Giuseppe De Nittis (foto Pierluigi Siena, Roma)
Giuseppe De Nittis, Figura di donna, 1880
Giuseppe De Nittis, Figura di donna, 1880, Olio su tela, cm. 79x38, Barletta, Pinacoteca Giuseppe De Nittis (foto Pierluigi Siena, Roma)


Giuseppe De Nittis, Figura di donna, 1880, Olio su tela, cm. 79x38, Barletta, Pinacoteca Giuseppe De Nittis, particolare (foto Flavia Molinari)

giovedì 1 dicembre 2016

Sara Teasdale



I Am Not Yours

I am not yours, not lost in you,
Not lost, although I long to be
Lost as a candle lit at noon,
Lost as a snowflake in the sea.


You love me, and I find you still
A spirit beautiful and bright,
Yet I am I, who long to be
Lost as a light is lost in light.


Oh plunge me deep in love—put out
My senses, leave me deaf and blind,
Swept by the tempest of your love,
A taper in a rushing wind.









Non sono tua

Non sono tua, tu non mi sai annullare,
anche se a questo il mio essere anela:
perdermi come fuoco di candela
a mezzogiorno accesa, o neve in mare.

Tu m’ami certo, e ancor mi seduce
il tuo spirito ardende, vivo sole;
pure, io resto io, colei che vuole
perdersi come lume in pura luce.

Oh, nell’amore fammi sprofondare,
strazia i miei sensi, fammi diventare
sorda e cieca in tempesta di tormenti,
tenue fiaccola tra maligni venti

venerdì 11 novembre 2016

Che della vita la vita si è dimenticata








Una frotta di case scosse


sui folti piani


di terre smosse






In questo paese di frontiera


dove si respira lo spavento


dove l'infanzia non sorride

e alle percosse disabita la via


che della vita

la vita

qui


s'è dimenticata











domenica 7 agosto 2016

kintsugi






Imperfetti
aneliamo alla bellezza
pensando di trovarla
nella perfezione

Ma ella si nasconde
nelle crepe
e tra le linee interrotte
di un disegno
fra i frammenti
dove persa é
la forma d'ogni trama
in ciò che adesso
è solo un vaso rotto

così come accade che un cuore
si spezzi per amore
o come pure ogni certezza
si  frammenti
o che il dolore
che ci procura una ferita
trasformi i nostri sogni
in cocci senza più valore

Ma se rinsaldi
e colmi ogni lacuna
solco o spacco
riunisci ogni pezzetto
e lasci che l'oro
prenda il posto del  dolore

in quell' intreccio casuale

di dorate cicatrici


sarai tu il vaso
irripetibile e migliore




giovedì 4 agosto 2016

L'Abissale




Io che ho cavalcato il lampo

seguendo l'Abissale

che nell'attimo breve

mi ha riconosciuta

mi sono conosciuta

nuda amazzone ferita

anticamente sua


Perchè è così che appare

la Folgore

travolgente nel chiarore

e per ciò

sicura


ma è nel buio

poi che se ne avvertirà il fragore

martedì 2 agosto 2016

In una notte mai scesa







Piuttosto è la Luna

impenetrabile d'ogni cosa

che smisura


dissocia i colori

come la schiuma iridescente

che fa l'onda mentre ricade sulla vita




piuttosto è lei che si dilegua

in una notte mai scesa

più nulla del suo volto

più nulla delle cose terrene




in certi istanti

la scorgerai

vi scorgerete

suono

musica delle parole




è la terra che lo chiede

in questa notte

dove il sogno fulgente

si perde

in un balbettio spaurito

se ne va

sabato 23 luglio 2016

Aspetto




Aspetto, passano i treni, il caso, gli sguardi.
Ma io non voglio i cieli nuovi.
Voglio stare dove sono già stato.
Con te, tornare.
Quale immensa novità tornare ancora,
ripetere, mai uguale, quello stupore infinito!
E finché tu non verrai, io rimarrò alle soglie
dei voli, dei sogni, delle scie.
Immobile.


Pedro Salinas


giovedì 21 luglio 2016

Una notte senza sonno




Lunga è la notte
adesso
che si è persa
in un gioco di specchi

Il duomo suona i rintocchi alle tre
e l'uomo al primo piano
sbatte il portone
andando a lavorare
alle quattro

tra l'una e le due il metronotte
scivola un biglietto
sbattendo la serranda
dell'assicurazione

alle cinque 
mentre l'aria è più fresca
il merlo sibila un richiamo

subito dopo mezzanotte
un gruppo di ragazzi
ridono sguaiati
e urlano nomi
sconosciuti

sono le sei
lo so
perché la bicicletta del dottore
cigola 
mentre lo accompagna
all'ospedale

sono le sette
dalle scale sale l'odore
del caffè


Il silenzio semina versi ovunque







Tutti i miei sogni

se ne stanno là

sul filo raro e prezioso

che lega

ma non stringe



E' l'emozione d'amore


che urla nel silenzio


ed è un bacio con la lingua


che oltrepassa la linea della bocca


ed arriva dritto al cuore


Il silenzio vale più delle parole

non si prostituisce

sulla bocca di tutti

rendendo ogni amore uguale

no

sull'amore si piega

l'amore protegge

s'insinua nei meandri profondi

(dove persino la poesia ha pudore)

e l'inonda di luce

martedì 19 luglio 2016

Spirale di Luna Calante





Ti dirò un segreto
che porto stretto chiuso nella mano

Un segreto mendicante
un cristallo brillante
che s'oscura di paura



Di ciò che vedi e scrivi
e leggi mentre scrivi
delle parole che non dici
dei tuoi gesti esatti
del tempo
che sempre più ti rassomiglia
che sempre più la sera
dalla tua finestra scorre o corre
in una nuova stagione di frutti
tra messi bionde o campi d'arare
o dell'onnipresente mare
che mi accoglie
che ti distoglie

Paura di una Luna oscura
che mi sporca gli occhi



Della verità
che sul fuoco sfrigola come acqua pura
(in apparente allegria)
mentre muore

sabato 16 luglio 2016

So che stai leggendo questa poesia




Adrienne Rich
Adrienne Rich


So che stai leggendo questa poesia
tardi, prima di lasciare il tuo ufficio
con l’unico lampione giallo e una finestra che rabbuia
nella spossatezza di un edificio dissolto nella quiete
quando l’ora di punta è da molto passata. So che stai leggendo
questa poesia in piedi, in una libreria lontana dall’oceano
in un giorno grigio agli inizi della primavera, deboli fiocchi sospinti
attraverso gli immensi spazi delle pianure intorno a te.
So che stai leggendo questa poesia
in una stanza in cui è accaduto troppo per poterlo sopportare,
spirali di lenzuola ristagnano sul letto
e la valigia aperta parla di fuga
ma non puoi andartene ora. So che stai leggendo questa poesia
mentre il metrò rallenta la corsa, prima di lanciarti su per le scale
verso un amore diverso
che la vita non ti ha mai concesso.
So che stai leggendo questa poesia alla luce
della televisione, dove scorrono sussulti di immagini mute,
mentre aspetti le ultime notizie sull’ intifada.
So che stai leggendo questa poesia in una sala d’aspetto
di occhi incontrati che non si incontrano, di identità con estranei.
So che stai leggendo questa poesia sotto il neon
nella noia stanca dei giovani che sono esclusi,
che si escludono, troppo presto.

So che stai leggendo questa poesia con la tua vista indebolita:
le tue lenti spesse dilatano le lettere oltre ogni significato e tuttavia continui a leggere
perché anche l’alfabeto è prezioso.
So che stai leggendo questa poesia in cucina,
mentre riscaldi il latte, con un bambino che ti piange sulla spalla e un libro in mano,
perché la vita è breve e anche tu hai sete.
So che stai leggendo questa poesia che non è nella tua lingua:
di alcune parole non conosci il significato, mentre altre ti fanno continuare a leggere
e io voglio sapere quali sono.
So che stai leggendo questa poesia in attesa di udire qualcosa, divisa tra amarezza e speranza,
per poi tornare ai compiti che non puoi rifiutare.
So che stai leggendo questa poesia perché non c’è altro da leggere,
lí dove sei approdata, nuda come sei.

Adrienne Rich

(Traduzione di Maria Luisa Vezzali)

da “Un atlante del mondo difficile, 1991”, in “Cartografie del silenzio (Poesie scelte 1951 – 1995)”, Crocetti, 2000


Chi era (chi è) Adrienne Rich



Nata nel 1929 a Baltimore, nel Maryland, Adrienne Rich fin da giovane inizia a scrivere (il primo libro viene pubblicato quando lei aveva solo 22 anni): la poesia non era solo musica, ma anche un mezzo di autodeterminazione personale. Scrivendo, cercava una risposta alle grandi domande della vita: “Chi sono io?”, “Che cos’è l’amore?”, “Che cos’è la verità?”. Negli anni ’50 si sposa con l’economista Alfred Conrad, da cui avrà tre figli.

Dai metri tradizionali, negli anni Sessanta passa a forme più aperte e sperimentali: questo mutamento coincide con le grandi proteste contro la guerra in Vietnam, con le rivendicazioni nei confronti del movimento femminista e di liberazione degli omosessuali. Nel 1974, riceve il «National Book Award for Poetry», accettato insieme ad altre due poetesse in nome di tutte le donne che vivono nel silenzio. Proprio in quegli anni, dopo la morte del marito, Adrienne si scopre omosessuale, e si unisce a Michelle Cliff, che resterà la sua compagna per tutta la vita. Con l’avvento della globalizzazione, i temi trattati nei suoi testi si allargheranno sempre più, e la poesia diventerà via via più dialogica: una polifonia di voci, le voci di coloro che vorrebbero farsi sentire, ma non trovano spazio nei grandi media.

Adrienne Rich credeva profondamente che l’impegno politico fosse necessario, per cambiare le storture di questo mondo. E non si trattava di un impegno ideale, teorico, ma di un’azione concreta, da svolgersi qui e adesso. Per questo, alla celeberrima frase di Virginia Woolf: “Come donna, non ho Paese. Come donna non voglio nessun Paese. Come donna, il mio Paese è il mondo intero”, rispondeva: “Come donna, io ho un Paese; come donna, non posso spogliarmi di quel Paese semplicemente condannando il suo governo, o dicendo tre volte ‘Come donna, il mio Paese è il mondo intero'”.

In questa vera intellettuale, una grande lucidità e un ragionamento filosofico rigoroso si coniugano a una forte passione. I suoi studi non erano mai disgiunti dall’attività pratica: l’impegno politico si riflette in lei anche nel comportamento quotidiano, nell’atteggiamento assunto tutti i giorni. Julia, la nipote di Adrienne, interviene solo per dare un breve spaccato di chi era sua nonna nel privato della casa: “Mi ricordo le nostre chiacchierate, parlavamo moltissimo. Fin da quando ero piccola, mi ascoltava in quanto essere umano, e mi parlava come se fossi già un’adulta. Aveva alte pretese su se stessa, sull’altro e sul mondo intero: era questa la sua più grande manifestazione di rispetto e amore”.

(Tratto da un articolo di Alice Facchini)

TI HA CHIESTO





Una ragazza ti ha chiesto: Che cosa è poesia?
Volevi dirle: Già il fatto che esisti, ah sì, che tu esisti,
e che nel tremore e stupore
che sono testimonianza del miracolo,
soffrendo mi ingelosisco della tua piena bellezza,
e che non posso baciarti e con te non mi posso giacere,
e che non ho nulla, e colui che è sprovvisto di doni
è costretto a cantare...


Ma non glielo hai detto, hai taciuto
e lei non ha udito quel canto...

Vladimír Holan


Traduzione di Angelo Maria Ripellino
da Una notte con Amleto, Einaudi, 1966

domenica 10 luglio 2016

archetipo









La mia ombra si confonde

e si raccoglie nella tua

Muovo la mano e vedo

la tua mano

muoversi in distanza

provo un passo

e vedo te

andare più lontano

L'ombra senza sorriso

non è mia né tua

è una sconfitta ingoiata

in quel perimetro scuro

dove tutto intorno si compie la luce

di un desiderio lontano




sabato 21 maggio 2016

FESTIVAL POIETIKA

DI GIACOMO GIOSSI

È un programma ricco e sorprendente quello che animerà da mercoledì 18 maggio fino a domenica 22 maggio la città di Campobasso che verrà attraversata dall’onda entusiasta e vitale del Festival Poietika. Alla sua seconda edizione, Poietika vede la luce sempre per merito dell’entusiasmo dell’ostinazione del direttore artistico Valentino Campo.


Dopo un 2015 che ha visto tra gli altri la partecipazione di poeti come Valerio Magrelli e Mariangela Gualtieri nel 2016 Campo rilancia con ospiti di livello e qualità che fanno di Festival Poietika un punto di riferimento culturale per tutto il Molise.
Valerio Magrelli
Valerio Magrelli




L’inaugurazione vedrà il teologo Vito Mancuso in un serrato confronto con Antonio Di Chiro. Nei giorni a seguire si potrà invece assistere all’i incontro con Emanuele Tonon che presenterà il suo intenso Fervore (Mondadori) e poi con Hamid

Ziarati su “Un paese mai nomijnato” e ancora con Giuseppe Genna e molti altri ancora. Evento clou il concerto di Dente, così come non mancherà nemmeno per la seconda edizione la poesia con un protagonista assoluto della poesia italiana come Milo De Angelis.


La parola che resiste è il sottotitolo del Festival, ma ancor di più è il filo conduttore di una manifestazione coraggiosa che porta temi cruciali e importanti nei luoghi storici e più prestigiosi di Campobasso. Una parola che resiste dunque, ma anche una parola che protegge. Un festival quindi che porta al centro la provincia quale vero e proprio paradigma culturale oggi troppo spesso dimenticato a favore di mode che in nome di una presunta internazionalizzazione non fanno altro che alimentare un conformismo quello sì provinciale e inutile ad un reale approfondimento culturale.


Anche attraverso festival come Poietika e grazie allo sforzo continui di agenti culturali (veri e propri agitatori intellettualli) che in Italia è possibile tenere viva una riflessione comune, costruire un discorso condiviso che porti al centro il pubblico. I lettori e gli autori dunque su un medesimo piano uno fronte all’altro in uno scambio magari vivace, magari alle volte complesso, ma sicuramente capace di generare nuova consapevolezza e senso di cittadinanza.


In un tempo tanto confuso e complesso riuscire a portare anche nei piccoli o medi centri una parola capace di resistere è un merito che va riconosciuto a Poietika come a molti altri eventi, magari meno noti e raffinati, ma che negli ultimi anni hanno promosso la lettura e l’approfondimento culturale spesso subentrando ad una proposta istituzionale pubblica che negli ultimi anni ha di molto perso il proprio ruolo e soprattutto la capacità di stare sul territorio.

sabato 23 aprile 2016

Il Grande Bardo




“But soft, what light through yonder window breaks?
It is the east and Juliet is the sun!
Arise, fair sun, and kill the envious moon,
Who is already sick and pale with grief
That thou her maid art far more fair than she.
Be not her maid, since she is envious;
Her vestal livery is but sick and green,
And none but fools do wear it. Cast it off.
It is my lady, O, it is my love!”

Romeo and Juliet, William Shakespeare

domenica 27 marzo 2016



PIERO BRESCIANI



Le note di otto e mezzo fanno ormai parte del nostro inconscio collettivo non tanto per la magistrale bravura della composizione di Nino Rota quanto perchè tutta la macchina felliniana è riuscita a far girare una giostra apparentemente arrugginita nel cortile dell’infanzia insieme alla trobettina di Govoni.

Un dipinto di Piero Bresciani ripercorre, con gentili volute cromatiche, lo stesso ottovolante onirico facendo del quadro una finestra affacciata sul parco meraviglioso del potenziale fantastico con piante zoomorfe con foglie lunari.

E’ un mondo a lungo inseguito, non solo nei nascondini più nascosti dell’infanzia, e può abbracciare sia” Alice nel paese delle meraviglie” che “l’isola che non c’è” di Piter Pan.

Sarebbe tuttavia uno sbaglio pensare alla produzione artistica di questo autore pietrasantino come ad una continua evasione lungo una traiettoria delle note di un flauto fiabesco.

Nessuna giostra riesce a girare se il palo non è ben piantato in terra.

L’elemento onirico rimane il glissato del racconto esterno:la struttura insegue forme solide con contrapposizioni a volte drammatiche serrate in una composta malinconia dai toni romantici.

“Dialettica del quotidiano”potrebbe essere una definizione per la creazione di questo genere pittorico:un ambulante bipede con la corona regale ed ali di ippogrifo.

L’essere e la voglia di trasformarsi.

L’essere e il dover essere (allo spettatore la scelta o l’indovinello della realtà reale) il “doppio onirico” che insegue il quotidiano.

Il silenzio implacabilmente geometrico esce dalle piazze di De Chirico per continuare la cavalcata dei cavalli che tentatno di cavalcare i cavallooni per raggiungere il mercato della vita.

A volte una lacrima silenziosa come un RE (nota) minore sembra mettere le ali della crisalide del quadro ma, niente paura, l’ottimismo cromatico la trasforma immediatamente in un caleidoscopio su cui tessere o rifrangere tutte le bizzarrie delle possibilità compositive.

Cristiano Mazzanti



Dati personali

Nasce a Pietrasanta (Lucca) il5 maggio 1945

Consegue il Diploma di Maturità artistica al Liceo Artistico di Carrara e il Diploma di Pittura rilasciato dall’Accademia di belle arti di Brera a Milano-

Ottenute le abilitazioni all’insegnamento di Disegno e Storia dell’Arte e all’insegnamento di Discipline Pittoriche, nel 1972 ottiene il suo primo incarico presso l’Istituto d’Arte di Pietrasanta dove svolge la sua professione di insegnante fino al 2004.

Parallelamente All’insegnamento si dedica alla pittura e alla grafica impegnandosi in una intensa attività espositiva e all’illustrazione.

Interessato a tutto ciò che permette di esprimersi, ha al suo attivo anche una serrata attività nel teatro amatoriale vernacolare che pratica con passione in qualità di commediografo oltre che di attore e regista.Riveste l’incarico di direttore artistico dell’associazione culturale “Teatro Pietrasanta” da lui fondata nell’anno 2000 con la quale fino ad oggi (2013) ha scritto 17 commedie, mettendone in scena 15.



venerdì 25 marzo 2016

(mia) fascinosa cima










E' un ricatto amoroso

quello che la montagna fa alla valle

quando si perde in lontananza




- un ricatto a me -




amata e lontana

(mia) fascinosa cima

che ti neghi agli occhi

e alla speranza

sabato 19 marzo 2016

Acmeismo




Acmeismo: da una nebbia mistica alla cruda realtà


Il Novecento è un secolo di cambiamenti, stravolgimenti, esperienze che annullano l’individuo, lo immergono in una dimensione in cui l’identità viene sgretolata. Eppure è anche un secolo di rinnovamento, tutti i dogmi sociali e politici cadono, si trasformano irreversibilmente, continua la scia dello sviluppo tecnologico di fine Ottocento. Qualcosa cambia nell’animo umano, e in alcuni […]


DI ANTONINO DE STEFANO - 11 MARZO 2013


Il Novecento è un secolo di cambiamenti, stravolgimenti, esperienze che annullano l’individuo, lo immergono in una dimensione in cui l’identità viene sgretolata. Eppure è anche un secolo di rinnovamento, tutti i dogmi sociali e politici cadono, si trasformano irreversibilmente, continua la scia dello sviluppo tecnologico di fine Ottocento. Qualcosa cambia nell’animo umano, e in alcuni paesi in particolare i primi decenni del XX secolo segnano in modo più netto una rottura con il passato. In Russia il susseguirsi dei movimenti rivoluzionari, l’esperienza bellica e il rovesciamento politico forgiano nell’ intellettuale russo un nuovo modo di approcciarsi alla realtà. Sono anni dolorosi e si può dire che la dimensione simbolica della poesia stia diventando qualcosa di marginale, di troppo estraneo alla vita reale della popolazione. Non serve più utilizzare simboli per riuscire a trasmettere i valori artistici, e la poesia si fa sempre più realistica, materialistica, legata all’uomo, alla natura, agli oggetti, riferendosi ad essi per quello che essi sono, senza bisogno di mediazione tra uomo e arte. L’acmesimo è la corrente che meglio rappresenta questa prospettiva sulla vita e che nasce in opposizione al simbolismo russo, di stampo francese all’inizio ( importante l’influenza di poeti come Verlaine e Rimbaud). Ritorna quindi l’esigenza di volgere lo sguardo al ‘sociale’, da cui era stato distolto dai simbolisti a causa della ricerca di una dimensione più individuale. Il termine ‘acmeismo’ deriva dal termine greco acmè che indica il vertice, l’apice, il punto più alto e inizialmente fu usato con un’ accezione polemica riguardo la presunta posizione elevata che i poeti acmeisti intendevano ricoprire. Uno degli esponenti più importanti, nonché fondatore, Nicolaj Gumilev battezzò il nuovo movimento ‘adamismo’, in quanto obiettivo principale , considerato virile e genuino, era quello di riabilitare la purezza della visione della realtà allontanandola dalla ‘nebbia’ simbolista, che attribuiva un’ aurea mistica alla poesia e che rendeva di difficile comprensione qualcosa che sarebbe dovuto essere alla portata di tutti. Le radici del movimento risalgono al 1911 quando Gumilev fondò la ‘Gilda dei poeti’, ma fu nell’anno seguente che sulla rivistaApollon comparve il manifesto del gruppo acmeista firmato dallo stesso Gumilev e Gorodekij. Del gruppo fece parte anche la poetessa russa Anna Achmatova, che per alcuni anni fu sposata con Gumilev. In lei il rapporto con la realtà è talmente stretto che nei suoi versi si trova solamente l’essenziale, il concreto nel senso più letterale, addirittura i verbi vengono eliminati oppure concessi in modica quantità. Un altro esemplare esponente fu Osip Mandel’stam, artista caratterizzato dall’andamento spezzato dei suoi versi, altisonanti e profondi, ma allo stesso tempo partoriti da materiali e oggetti modesti:





‘’Una fiamma disperde
la mia arida vita;
e accantono la pietra:
ora il legno mi ispira.


Esso è rozzo e leggero:
da un tronco vengon fuori
e midollo di quercia
e remi di pescatore.


Sotto, a configger pali!
Fate risuonare, o mazze,
un ligneo paradiso
di oggetti imponderabili!’’



Un ritorno incisivo alla dimensione concreta del reale, tutto ciò che è mondano, materiale è degno di essere considerato oggetto di poesia, proprio perché è ciò da cui l’essere umano è circondato nella maniera più oggettiva. La corrente acmeista si propone di mettere in poesia sentimenti ed emozioni del genere umano nella sua collettività, non più solamente come individuo, e si assiste alla rinuncia più assoluta della dimensione soggettiva tanto cara ai simbolisti. Il misticismo simbolico è abbattuto, viene pensato come un ostacolo da superare per godere appieno del rapporto tra il lettore e la poesia. L’esperienza del movimento fu relativamente breve, infatti si poté definire conclusa con la fucilazione di Gumilev nel 1921 (il poeta fu accusato di svolgere attività controrivoluzionaria). Il tentativo di contrapporsi al vecchio mito simbolista è accompagnato dall’atteggiamento temerario assunto dai poeti acmeisti. Gumilev intendeva infatti plasmare il nuovo poeta sottoforma di un uomo attaccato alla realtà,virile, temerario, impavido addirittura di fronte alla morte :

« Ma per tutto ciò che ho avuto e ancora voglio avere
per tutti i miei dolori, e le gioie, e le follie,
come tocca a ogni uomo pagherò
con la morte finale e irrevocabile »


L’adamismo è l’esempio di una poesia immediata, genuina, spontanea, che fuoriesce direttamente dall’animo per essere diffusa pressoché chiunque. Fu un’esperienza intensa ma breve, travolta come i suoi esponenti dalle aspre dinamiche dell’inizio del Novecento.

martedì 8 marzo 2016

Jeanne Hébuterne, la pittrice mancata



Per questo otto di marzo duemilasedici, mi piace dedicare il mio post a Jeanne Hébuterne.
Impossibile tralasciare il fatto che sia stata la moglie del grande Modigliani ma, vorrei che qui, in questo giorno di donne, fosse protagonista lei, la pittrice e non la musa.





"Jeanne Hébuterne, nata a Parigi il 6 aprile 1898, morta a Parigi il 25 gennaio 1920, compagna di Amedeo Modigliani, devota fino all'estremo sacrifizio." (Epitaffio).





Raramente nel corso della storia le donne hanno saputo e potuto liberamente seguire il loro corpo e la loro anima contemporaneamente. Alcune ne hanno seguito unicamente la loro anima, tralasciando gli affetti e la loro identità. Altre come Jeanne Hébuterne si sono lasciate andare in balia del proprio corpo, trascurando la fame della loro anima ed intelletto.
Nessuno saprebbe dire cosa sarebbe diventata Jeanne Hébuterne, se avesse assecondato la musa dell'arte.


Jeanne Hébuterne proveniva da una famiglia francese cattolica e conservatrice. Soprattutto votata all'arte.
Il fratello maggiore André era uno stimato e conosciuto pittore di paesaggi. Jeanne minuta, dai capelli castani con riflessi rossi e un incarnato etereo, era una ragazza intelligente, forte, seria, con grandi doti da pittrice e conoscitrice sensibile dell'arte.
Era stata allieva dell'Académie Colarossi, una scuola, centro importante della Belle Epoque che accettava studentesse e permetteva loro di dipingere modelli maschili nudi.
Ad un ballo mascherato di carnevale del 1917, conobbe Amedeo Modigliani (1884-1920), che la prese come compagna e musa fino alla morte.
Modigliani si trovava nell'ultima fase della sua vita e carriera artistica : era da poco uscito da una turbolenta relazione con la poetessa inglese Beatrice Hastings, malato e poco apprezzato nella scena artistica parigina.
Nonostante l'opposizione familiare, nel luglio dello stesso anno, Jeanne andò a vivere con Modigliani, affittando uno studio a Montparnasse.
Qui condussero un'esistenza bohémienne, in ristrettezze economiche, mangiando nei café degli artisti, frequentando le mostre. Dipingevano insieme o per lo più era Modigliani che dipingeva Jeanne mentre lei suonava il violino. L'artista italiano ne riconosceva lo spiccato talento ma la giovane donna sottometteva il suo genio a quello più rivoluzionario del compagno. Soprattutto credeva nelle sue opere.
Nel marzo del 1919 scoprì di essere incinta e durante le ultime fasi della Grande Guerra, si rifugiarono nel sud della Francia.
Modigliani ritrasse innumerevoli volte la donna durante le fasi della gravidanza, con il volto pieno di dolcezza e il ventre che aumentava.
Eppure l'esistenza dei due peggiorava di giorno in giorno, dopo la nascita della piccola Jeanne*, il pittore era ritornato alle sue sregolatezze, intrattenendo relazioni con altre donne, perdendosi nelle viziose strade di Parigi, dipingendo sempre con forsennatezza.
Jeanne di nuovo incinta nell'aprile del 1919, era un dipinto sbiadito, imparagonabile ai ritratti dei primi anni della loro collaborazione. Si era data tutta a Modigliani, per la sopravvivenza sua e della sua arte.
Ma lei continuava a disegnare, a dipingere nei pochi momenti di quiete, a riprendere i colori e dare sfogo ad una molteplicità di opere dalle tante interpretazioni.



La Hébuterne amava ritrarre le figure femminili e in particolare la sua. Diversamente dai dolci dipinti dai toni scuri e linee allungate che le faceva Modigliani, Jeanne si ritraeva nel suo spirito più deciso, forte, gli occhi maliziosi e fermi, lo chignon alto o con due trecce abbandonate sulle spalle, una vasta gamma di colori accesi di gusto orientaleggiante. Pur influenzata dal pittore italiano, si notano nelle sue opere divagazioni gauguiniane e post-impressioniste.
Nella "Natura Morta" in un ambiente disadorno e minimale, si intravedono un pianoforte chiuso con sopra uno spartito lasciato aperto.



Di fronte un mazzo di fiori ancora incartato e a rendere ancora più angoscioso il tema, la presenza di candelieri vuoti. Tutto eseguito con una grande qualità espressiva.
Ma è nella "Sucida", tra gli ultimi lavori della donna, si scorge tutto il suo dramma intimo. Jeanne si dipinge nella sua camera, in un letto di un bianco disturbante, il corpo reclinato in una posa sgraziata.
Si è appena pugnalata mentre nel petto sgorgano le prime gocce di sangue, il ventre gonfio (era alla seconda gravidanza); il colore rosso dei capelli, del sangue, della gonna e il bordo del letto dominano la scena.



Ma un triste inizio vuole una fine ancora più tragica.
Amedeo Modigliani consumato dalla tubercolosi e dall'alcol, fu trovato una mattina di gennaio del 1920 inerme nel proprio letto. Accanto a lui la compagna al nono mese di gravidanza.
Il ventiquattro, Modigliani morì nel letto di un ospedale, circondato dagli amici.
Jeanne rimase calma ed impassibile alla sua morte, guardando a lungo il suo uomo.
Due giorni dopo, però, alle quattro del mattino, si gettò dal quinto piano della casa, "questa ragazza, così piena di talento, così assoluta nel suo amore per Modigliani morì sul colpo."**

Quella di Jeanne Hébuterne è ancora oggi una storia che si può raccontare attraverso i capolavori di Modigliani : il volto a forma di cuore, gli occhi azzurri, l'aria pensosa; l'anima invece è nei suoi autoritratti.
Ventiquattro anni dopo un operaio trovandosi nell'atelier di André Hébuterne, reperì inaspettatamente alcune tele di Jeanne, volutamente abbandonate prima della morte.

(dal Web)

*Jeanne Modigliani (1918-1984), divenne in seguito una storica dell'arte.
** Cit. "Modigliani", Rizzoli Editore.



Fonti :

"Storia delle Altre", Elizabeth Abbott, Mondadori 2011
"Modigliani", Rizzoli 2004


















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