POESIE

venerdì 30 dicembre 2016

ARIA DI CASA MIA

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Cecilia. Chiamarsi così le era stato gradito fin da bambina. Il suono che faceva la lingua quando gli altri lo pronunciavano le pareva segno di simpatia verso di lei. Anche quando, raramente, ma normalmente, le accadeva di venire rimproverata, tutte quelle c da pronunciare fungevano da frangiflutti e scemavano ogni sonora onda dirompente fino alla quasi dissoluzione del rimprovero stesso.




Erano le due del 24 Agosto. Stava finendo di preparare il sacco con i panini. Una ciotola con un po' di frutta a dadini, due pacchetti di wafers, un piccolo termos di caffè.

Elisabetta sarebbe passata di lì a minuti. Iniziavano le sospirate vacanze. 
Da quando aveva trovato lavoro in Francia, tornava sempre più raramente a casa dai suoi, nelle Marche. Aveva dei nuovi amici, colleghi e spesso si tratteneva a Lione anche per qualche festa comandata rinunciando a tornare ad Arquata.

Era arrivata il quindici Agosto, per la felicità di tutti. Cene, pranzi, zii, nonni. Baci, baci, carezze,
e lei, sinceramente felice, si faceva trasportare di qua e di là, girare e rigirare come una trottola. Lo metteva in conto ogni volta, era il pegno da pagare ad ogni ritorno.

Le piaceva dormire nel suo letto. Un grande letto matrimoniale. Con le palle di ferro agli angoli ed un disegno di fiori nel centro della testata.

Era il letto matrimoniale di sua nonna. Aveva dormito lì con lei quando era rimasta vedova e poi, quando anche sua nonna aveva raggiunto il marito, era diventato il letto suo.

Era alto, con quattro guanciali e d'inverno, coperte su coperte, le garantivano il caldo per la notte.

Aveva studiato a l'Università e per tutti se lei diceva che qualcosa era giusto così, sarebbe stato proprio giusto così. Si sentiva lusingata e al tempo stesso imbarazzata. Sapeva di non essere diversa da milioni di altri studenti nel resto del mondo, ma per la sua piccola comunità, lei era un riferimento: la saggia Cecilia. Sapeva che per molti tra i suoi compaesani, aver visto New York, Londra, Parigi e la maggior parte delle capitali europee era cosa non comune. Al ritorno da ogni viaggio portava qualcosa di tipico da mangiare tutti assieme. Erano poco più di un migliaio di anime in tutto e tutti, ma proprio tutti, si conoscevano e c'era sempre un buon motivo per festeggiare e i suoi ritorni, erano uno di quei buoni motivi.

Le piaceva viaggiare e la laurea in relazioni internazionali, le aveva dato, in tal senso, molte opportunità. Era diventata anche una collezionista di aria. Collezionava l'aria di ogni luogo. La raccoglieva in un barattolino di vetro. Sigillava con una cordicella il tappo e con della cera lacca, fissava tutto. Una grande etichetta riportava l'ora - il giorno - il luogo - e talvolta, l'evento che accompagnava quell'aria. Le emozioni, i colori, le sensazioni. Il titolo di una canzone; era un diario sensoriale.

Così c'era l'aria di New York a Times Square e quella di Londra a Piccadilly Circus, l'aria di Parigi sulla Tour Eiffel.
C'era l'aria del Sasso Barisano a Matera e quella calda dell'Etna in eruzione.


Ed aggiungeva con un tratto di pennarello uno sbaffo di colore blu o oro, a seconda dell'importanza delle sensazioni in quel momento.

Annotazioni brevi, che scorrevano con lo scorrere felice della sua vita.

Sentì vibrare il cellulare, Elisabetta era sotto casa. Silenziosamente caricò lo zaino sulle spalle e col sacco dei viveri, scese le scale. Era ormai quasi in fondo quando sentì aprire la porta di camera di sua madre. Nel triangolo luminoso della porta aperta vide i suoi genitori farle un cenno con la mano e sentì sua madre dire - Mi raccomando, fate attenzione con la macchina. Chiama appena arrivi.

Lei rispose inviando un bacio e annuendo con la testa portò il dito indice sulla cima del naso in segno di silenzio, non voleva svegliare suo fratello, altrimenti avrebbe ricominciato la lagna del - mi ci porti anche a me -.

L'aria fresca della notte l'accolse e subito pensò che forse avrebbe dovuto raccogliere anche quella. L'avrebbe chiamata - L'aria di Arquata la notte prima delle tre in partenza per l'aeroporto di Roma -.

Elisabetta la stava aspettando e con lei, tante vacanze e tanta aria cubana da raccogliere. Arquata by night, poteva aspettare.

Salì in macchina e immediatamente fu assalita dalla felicità dirompente della sua amica,
che con la scusa della  paura di un  colpo di sonno, non si zittiva.
Pensò quindi di allungare la mano verso lo stereo ed accese la radio. Erano appena passate le tre e trenta, quando la strada, all'improvviso, si aprì davanti a loro.
Furono solo urla. La macchina con un sussulto, si spense. Intorno rumore di crolli e ancora, incontenibili urla. A qualche chilometro c'era il paese di Accumoli. Tutto era completamente buio. Scesero di macchina. I cellulari non avevano più linea. Prese dalla disperazione le due ragazze si abbracciarono sgomente. Diedero fondo a tutta la loro razionalità e al loro coraggio.
Si guardarono e senza parole si dissero

- Torniamo a casa.

La macchina andò in moto subito mentre con i fari tentavano di vedere come fosse la situazione intorno. L'asfalto era sollevato in più punti di molti centimetri e dal costone che fiancheggiava la strada erano caduti molti massi. Incredule e spaventate si sentivano miracolate. Fecero marcia indietro e poi, ripresero la strada verso Arquata, a passo d'uomo.

Il buio era spaventoso. Le luci dei paesi intorno erano spente nel raggio di chilometri.

Lei non parlava ed Elisabetta guidava in preda ad un pianto silenzioso e interrotto solo da esclamazioni di incredulità.

Ci misero molto a tornare indietro, sentivano animali ululare e latrare disperati. D'improvviso si parò loro di fronte un uomo che sbracciando intimava di fermarsi. Lo riconobbero, era Ugo, il postino che abitava da solo poco fuori paese. Accostarono l'auto, aprirono la portiera e Cecilia in un lampo saltò dietro e lo fece salire al suo posto, accanto ad Elisabetta.

- E' tutto distrutto, tutto

- Arquata e' crollata.
Disse Ugo in un soffio di fiato.
- Grazie a Dio siete passate voi. La mia macchina è sepolta sotto il tetto del garage e stavo cercando di raggiungere il paese a piedi.

Il cuore di Cecilia si arrestò per trenta secondi.
Le due ragazze vivevano a due case di distanza l'una dall'altra. Erano state bambine insieme, insieme tutte le scuole fino all'Università. Innamorate degli stessi ragazzi, amiche degli stessi amici. Per anni le loro vite erano state quasi a fotocopia l'una dell'altra. E ne erano felici. Era una sorellanza fortissima che le faceva stare insieme in ogni momento possibile; ed ora, insieme ancora una volta ad affrontare un evento così devastante ed imprevisto.

Per strada c'erano tutti i loro compaesani. Macerie e grida e pianti.

Si tenevano per mano mentre correvano verso le loro case. Ugo, le trattenne con forza.

- Non si può andare là, è troppo pericoloso. C'è rischio di altre scosse e di nuovi crolli.

Cecilia si sentì chiamare; era sua madre che le correva incontro. Con lei c'erano suo padre e suo fratello. Scoppiarono in un pianto guaritore mentre scioglievano i loro cuori in un abbraccio.

- Elisabetta, i tuoi genitori stanno bene. Sono in fondo alla strada, siamo tutti radunati là.

- Le nostre case sono crollate. Per fortuna siamo riusciti a scappare prima che tutto cadesse giù. 
Disse la mamma di Cecilia, rincuorando per quanto possibile Elisabetta.

Iniziava ad albeggiare e la luce impietosa del giorno che nasceva, svelava lentamente tutto il dramma di quella comunità. C'erano i morti allineati a terra coperti con teli e coperte. E i sopravvissuti, accanto a loro, che piangevano senza lacrime mentre i soccorsi cercavano fra le macerie ogni più debole segno di vita.

Dagli squarci delle case crollate si vedeva la vita fermata. L'immagine di ciò che un attimo prima era la quotidianità ed ora era solo devastazione.

Vide ciò che rimaneva della sua stanza, messo a vista dal muro crollato. Il letto di ferro battuto, la tenda rosa che riparava la luce da una finestra che non c'era più. Più in basso, sulla montagna di macerie, i suoi libri, le foto sparse ovunque. Tra tutto ciò riconobbe i vetri dei suoi amati barattoli. L'aria del mondo si era sparsa, in quella notte tremenda, con l'aria del suo paese. Arquata, New York, Parigi... un groppo alla gola le straziava il fiato. Tutto era crollato intorno e dentro lei.

Stava cercando nella borsa un fazzoletto per asciugare le lacrime quando sentì la forma di uno dei suoi barattoli. Lo tirò fuori incredula. Sull'etichetta c'era scritto: - Aria di casa mia -.



Antonella Borghini







sabato 24 dicembre 2016

Babbo Natale Esiste. Punto.


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Nel 1897 una bambina scrisse al New York Sun dicendo che i suoi amici le avevano detto che Babbo Natale era una invenzione. Non esisteva. Voleva che il giornale le dicesse la verità.
E il Sun, con un editoriale che oggi nessun giornalista avrebbe più il coraggio di scrivere, rispose: «Cara Virginia, i tuoi amici si sbagliano. Sono vittime dello scetticismo dei nostri scettici tempi. Credono solo alle cose che vedono. Eppure, Virginia, Babbo Natale esiste. Esiste allo stesso modo in cui esistono l'amore, la generosità, la devozione. E tu sai che queste cose esistono, abbondano, e sono le cose che danno alla tua vita la sua bellezza e la sua gioia. Perché le cose più reali sono quelle che né i bambini né i grandi riescono a vedere».

Tiziano Terzani, Un altro giro di giostra, p. 237-238




e con questo ... Auguri di Buon Natale amici dell'Isola di E'riu, passanti occasionali o lettori curiosi.

giovedì 22 dicembre 2016

TESTAMENTO DEL PINO LORICATO









Seme su seme

ho fecondato la più sterile petraia

e da quelle pietre

di radice in radice

con la lentezza primigenia

di chi sa di molte vite

ho varcato il limite al silenzio

dove alberi e genti

s'incontrano col cielo



Ho lasciato al faggio

il più facile pendio

e la mia verde chioma

ho ceduto quale alcova

ad un'innamorata Cincia Mora



Quando l'avorio dei miei rami

sarà scolpito dai fulmini

e avvolto in un tempo senza tempo

mi donerò alla forza cedevole del vento



Saranno i miei contorti morti fusti

incorruttibile memoria del mio animo guerriero

che resteranno angeli - guardiani

di queste ardue terre


quale pegno d'amore alla mia gente

mercoledì 14 dicembre 2016

Se avesse un nome


Se avesse un nome
sarebbe inaspettato
questo silenzio
fitto di lacrime restie
che come da vena tagliata
sgorga

Che m'attraversa la gola
e come lisca soffoca
me e in me
ogni parola

lunedì 12 dicembre 2016

MARAM AL- MASRI

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Maram al-Masri è nata nel 1962 a Lattakia (Siria), sulle rive del Mediterraneo, ad appena venti miglie marine dall’isola di Cipro. Vive a Parigi dal 1982. Dopo un primo libro pubblicato nel 1984 a Damasco dal titolo “Ti minaccio con una colomba bianca”, presso la casa editrice del Ministero dell’ Educazione, ritorna alla poesia con “Ciliegia rossa su piastrelle bianche”, pubblicato a Tunisi dalle Edizioni L’Oro del Tempo, nel 1997, e salutato con entusiasmo dalla critica dei paesi arabi.
Il premio del Forum culturale libanese in Francia, al quale partecipò il poeta libanese Adonis e destinato a premiare le creazioni letterarie arabe, le è stato attribuito nel marzo 1998.
Questo libro è stato tradotto in spagnolo, in francese, in corso e in inglese (Gran Bretagna e Stati Uniti).
Molte sue poesie sono state tradotte e pubblicate in riviste, in spagnolo, francese, inglese, tedesco, italiano, corso e turco.
Il suo terzo libro “Ti guardo”, pubblicato originariamente a Beirut nel 2000 (e poi in Francia e in Spagna) è stato pubblicato nell'agosto del 2009 da Multimedia Edizioni (traduzione dall'arabo di Marianna Salvioli). Il suo libro "Les âmes aux pieds nus", pubblicato in Francia da Le Temps des Cerises è stato pubblicato col titolo "Anime scalze" nel 2011 dalla Multimedia Edizioni / Casa della poesia che nel 2014 dà alle stampe "Arriva nuda la libertà" (traduzione dall'arabo di Bianca Carlino).

La sua poesia è inserita nel volume "Non ho peccato abbastanza. Antologie di poetesse arabe contemporanee" (Mondadori, 2007).
Maram al-Masri ha partecipato a numerosi festival internazionali di poesia in tutto il mondo e per Casa della poesia nel 2004 a "Il cammino delle comete" e a "Sidaja", nel 2005 a “Napolipoesia nel Parco” e agli “Incontri di Sarajevo”. Nel 2007 e nel 2009 ha preso parte a "VersoSud", Reggio Calabria.
È stata ripetutamente ospite di Casa della poesia in letture e festival.




Maram ha così spiegato, in un’intervista a Samir Galal Mohammed del 2014, la chiave interpretativa della sua scrittura: «Scrivere è imparare a conoscere se stessi, nella propria nudità, nei pensieri più intimi. Scrivere, per me, è come morire davanti a una persona che ti osserva senza muoversi. È come annegare mentre una nave ti passa vicino, senza vederti. Scrivere significa essere quella nave che salverà chi sta annegando, è stare sull’orlo di una scogliera e aggrapparsi a un filo d’erba. Quando scrivo, il mio io è quello dell’altro, e questa convinzione mi aiuta a liberare me stessa, a mettermi a nudo. Tuttavia, far valere la mia poesia e cercare di meritare il corrispettivo titolo, mi mette in pericolo - è uno scandalo che implica tanta sofferenza». Lo scandalo della verità che, come il dolore, è spada piantata nella carne della vita, a separarla dall’effimero.



LE DONNE COME ME

Le donne come me
non sanno parlare;
la parola le rimane
di traverso in gola
come una lisca
che preferiscono inghiottire.
Le donne come me
sanno soltanto piangere
a lacrime restie
che improvvisamente
rompono e sgorgano
come una vena tagliata.
Le donne come me
sopportano gli schiaffi,
senza osare renderli.
Tremano di rabbia
e la reprimono.
Come leoni in gabbia,
le donne come me
sognano
di libertà…


DELITTO

Che
meraviglioso delitto
ho commesso?
Ho goduto
di un corpo
che mi ha donato
un fiume inebriante
e una ribellione di vita.


BUSSANO



Bussano.
Chi sarà?
Nascondo la polvere della mia solitudine
sotto il tappeto,
aggiusto il mio sorriso,
ed apro.

ANIME SCALZE

Le ho viste.
Loro,
i loro volti dai lividi celati.
Loro,
gli ematomi nascosti tra le cosce,
Loro,
i loro sogni rapiti, le loro parole azzittite
Loro,
i loro sorrisi affaticati.
Le ho viste
tutte
passare nella strada
anime scalze,
che si guardano dietro,
temendo di essere seguite
dai piedi della tempesta,
ladre di luna
attraversano,
camuffate da donne normali.
Nessuno le può riconoscere
tranne quelle
che sono come loro.



LUI HA DUE DONNE


Lui ha due donne:
una che dorme nel suo letto
e una che dorme nel letto dei suoi sogni.
Lui ha due donne che lo amano:
una che invecchia al suo fianco
e una che gli offre i fianchi
per poi occultarsi.

Lui ha due donne:
una nel cuore della sua casa
e una nella casa del suo cuore.


sabato 10 dicembre 2016

Nasce la casa editrice Tessere






Nasce la casa editrice Tessere




Nasce la nuova casa editrice "Tessere" che, a fianco dei libri, tenterà di produrre, con il sostegno dei soci dell'omonima associazione culturale, anche "iniziative di qualità capaci di far riflettere, diffondere il sapere, far crescere la consapevolezza". La nuova editrice, promossa dal giornalista fiorentino Daniele Pugliese, nasce nel giorno della "Dichiarazione universale dei diritti dell'umanità": con lui lo storico Gian Luca Corradi, l'organizzatrice culturale Linda Coppitz, la nutrizionista Antonella Blanco e l'esperta di moda Fabiana Conti. Fulcro dell'iniziativa un sito internet - www.tessere.org - che mira a diventare una rivista "attraverso la quale promuovere le migliori e più interessanti produzioni culturali nel campo dell'editoria, della musica, dello spettacolo, dell'attività convegnistica, ma anche di leggere 'con occhio culturale' i fatti quotidiani e i fenomeni sociali e politici in un'epoca troppo votata al superficiale e al sensazionale".

ANSA 10-12-2016 17:14

La Notte Santa - Guido Gozzano









- Consolati, Maria, del tuo pellegrinare!
Siam giunti. Ecco Betlemme ornata di trofei.
Presso quell'osteria potremo riposare,
ché troppo stanco sono e troppo stanca sei.

Il campanile scocca
lentamente le sei.

- Avete un po' di posto, o voi del Caval Grigio?
Un po' di posto per me e per Giuseppe?
- Signori, ce ne duole: è notte di prodigio;
son troppi i forestieri; le stanze ho piene zeppe

Il campanile scocca
lentamente le sette.

- Oste del Moro, avete un rifugio per noi?
Mia moglie più non regge ed io son così rotto!
- Tutto l'albergo ho pieno, soppalchi e ballatoi:
Tentate al Cervo Bianco, quell'osteria più sotto.

Il campanile scocca
lentamente le otto.

- O voi del Cervo Bianco, un sottoscala almeno
avete per dormire? Non ci mandate altrove!
- S'attende la cometa. Tutto l'albergo ho pieno
d'astronomi e di dotti, qui giunti d'ogni dove.

Il campanile scocca
lentamente le nove.

- Ostessa dei Tre Merli, pietà d'una sorella!
Pensate in quale stato e quanta strada feci!
- Ma fin sui tetti ho gente: attendono la stella.
Son negromanti, magi persiani, egizi, greci...

Il campanile scocca
lentamente le dieci.

- Oste di Cesarea... - Un vecchio falegname?
Albergarlo? Sua moglie? Albergarli per niente?
L'albergo è tutto pieno di cavalieri e dame
non amo la miscela dell'alta e bassa gente.

Il campanile scocca
le undici lentamente.

La neve! - ecco una stalla! - Avrà posto per due?
- Che freddo! - Siamo a sosta - Ma quanta neve, quanta!
Un po' ci scalderanno quell'asino e quel bue...
Maria già trascolora, divinamente affranta...

Il campanile scocca
La Mezzanotte Santa.

È nato!
Alleluja! Alleluja!

È nato il Sovrano Bambino.
La notte, che già fu sì buia,
risplende d'un astro divino.
Orsù, cornamuse, più gaje
suonate; squillate, campane!
Venite, pastori e massaie,
o genti vicine e lontane!

Non sete, non molli tappeti,
ma, come nei libri hanno detto
da quattro mill'anni i Profeti,
un poco di paglia ha per letto.
Per quattro mill'anni s'attese
quest'ora su tutte le ore.
È nato! È nato il Signore!
È nato nel nostro paese!
Risplende d'un astro divino
La notte che già fu sì buia.
È nato il Sovrano Bambino.

È nato!
Alleluja! Alleluja!

LA BUONA NOVELLA - DE ANDRE'




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Cappella Scrovegni - Padova -
GIOTTO- PARTICOLARE DELLA " PRESENTAZIONE DI MARIA AL TEMPIO"


... da cui tutto ebbe inizio.


Il Protovangelo, uno dei vangeli apocrifi,  afferma, nel capitolo sesto, che all'età di un anno Maria viene presentata ai sacerdoti del Tempio dai suoi due genitori, Anna e Gioacchino; pochi anni dopo viene fatta accedere all'interno, prendendo parte alla vita sacerdotale, fino al momento dell'incontro con Giuseppe.

Nei primi autori cristiani, come nel già citato protovangelo o nel libro sulla natività di Maria (capitolo VI), viene ricordato che Maria venne introdotta nel Tempio all'età di tre anni, come i suoi genitori avevano promesso a Dio, purché gli concedesse di concepire un figlio.






LA BUONA NOVELLA DE ANDRE'

Attraverso i Vangeli apocrifi, scelti come traccia da seguire per elaborare la trama del disco, emerge la vocazione umana e terrena, quindi provocatoria e rivoluzionaria della figura storica di Gesù di Nazareth, già narrata in Si chiamava Gesù. In questo album la figura di Cristo è narrata attraverso quella dei personaggi che hanno a che fare con lui e la sua storia, mentre appare direttamente come protagonista solo nella canzone Via della Croce.

La narrazione, introdotta da un Laudate Dominum, inizia raccontando L'infanzia di Maria: la piccola Maria vive un'infanzia terribile segregata nel tempio ("dicono fosse un angelo a raccontarti le ore, a misurarti il tempo fra cibo e Signore"); l'impurità delle prime mestruazioni ("ma per i sacerdoti fu colpa il tuo maggio, la tua verginità che si tingeva di rosso") provocò il suo allontanamento e la scelta forzata di uno sposo; il matrimonio avviene con un uomo buono ma vecchio, il falegname Giuseppe ("la diedero in sposa a dita troppo secche per chiudersi su una rosa") che la sposa per dovere e la deve poi lasciare per quattro anni per lavoro.

Ne Il ritorno di Giuseppe si può cogliere la fatica della vita di Giuseppe; nel suo ritorno a casa porta una bambola per Maria, e la trova implorante affetto e attenzione. Il sogno di Maria riporta la scena nel tempio. In un sogno l'angelo che usava farle visita la porta in volo lontano "là dove il giorno si perde"; lì le dà la notizia della futura nascita di un bimbo; il testo allude ad un concepimento più terreno di quello raccontato dai vangeli canonici. Al risveglio Maria capisce di essere incinta ("parole confuse nella mia mente, svanite in un sogno ma impresse nel ventre") e si scioglie in pianto.

La maternità inaspettata ("ave alle donne come te Maria, femmine un giorno e poi madri per sempre"), si esprime in Ave Maria, un omaggio alla donna nel momento del concepimento.

Dalla letizia che traspare in Ave Maria il passaggio a Maria nella bottega d'un falegname è drastico: il ritmo dato dalla pialla e dal martello scandiscono il dolore straziante del falegname che costruisce la croce ("tre croci, due per chi disertò per rubare, la più grande per chi guerra insegnò a disertare") con la quale il figlio di Maria ed i due ladroni verranno crocifissi.

Via della croce è una delle canzoni in cui De André lascia trasparire i suoi pensieri e i suoi sentimenti anarchici: "il potere vestito d'umana sembianza ormai ti considera morto abbastanza". Infine, sotto la croce stessa: "non fossi stato figlio di Dio t'avrei ancora per figlio mio" dice la madre al figlio. Questo aspetto è completamente trascurato dai Vangeli canonici.

Non appena i tre condannati vengono crocifissi, le loro rispettive Tre Madri stanno adagiate sotto le croci per confortarli. Le due donne dicono a Maria che non ha alcuna ragione di piangere così "forte", dal momento che sa che suo figlio, al contrario dei loro, "alla vita, nel terzo giorno, [...] farà ritorno". La canzone si conclude con le parole di Maria che spiegano il motivo della sua tristezza: "non fossi stato figlio di Dio/t'avrei ancora per figlio mio".

Ne Il testamento di Tito vengono invece elencati i dieci comandamenti, analizzati dall'inedito punto di vista di Tito, il ladrone pentito crocifisso accanto a Gesù; i nomi dei ladroni variano da vangelo a vangelo (Dimaco/Gesta Tito/Disma): Tito è il ladrone buono nel vangelo arabo dell'infanzia (l'altro è chiamato Dimaco). Per quanto riguarda la musica, la prima strofa incomincia semplicemente con la voce ed un leggero accompagnamento con la chitarra, crescendo sempre più in strumenti e accompagnamenti fino all'ultima strofa. "È insieme ad Amico Fragile - dichiarò De André - la mia miglior canzone. Dà un'idea di come potrebbero cambiare le leggi se fossero scritte da chi il potere non ce l'ha. È un altro di quei pezzi scritti col cuore, senza paura di apparire retorici, che riesco a cantare ancora oggi, senza stancarmene."

L'opera termina con una sorta di canto liturgico (Laudate hominem) che incita a lodare l'uomo, e non in quanto figlio di un dio, ma in quanto figlio di un altro uomo, quindi fratello.




FABRIZIO DE ANDRE' ESPRIME IL SENSO DELL'ALBUM " LA BUONA NOVELLA":


« Quando scrissi "La buona novella" era il 1969. Si era quindi in piena lotta studentesca e le persone meno attente - che sono poi sempre la maggioranza di noi - compagni, amici, coetanei, considerarono quel disco come anacronistico. Mi dicevano: "Ma come? Noi andiamo a lottare nelle università e fuori dalle università contro abusi e soprusi e tu invece ci vieni a raccontare la storia - che peraltro già conosciamo - della predicazione di Gesù Cristo." Non avevano capito che in effetti La Buona Novella voleva essere un'allegoria - era una allegoria - che si precisava nel paragone fra le istanze migliori e più sensate della rivolta del '68 e istanze, da un punto di vista spirituale sicuramente più elevate ma da un punto di vista etico sociale direi molto simili, che un signore 1969 anni prima aveva fatto contro gli abusi del potere, contro i soprusi dell'autorità, in nome di un egalitarismo e di una fratellanza universali. Si chiamava Gesù di Nazareth e secondo me è stato ed è rimasto il più grande rivoluzionario di tutti i tempi. Non ho voluto inoltrarmi in percorsi, in sentieri, per me difficilmente percorribili, come la metafisica o addirittura la teologia, prima di tutto perché non ci capisco niente; in secondo luogo perché ho sempre pensato che se dio non esistesse bisognerebbe inventarselo. Il che è esattamente quello che ha fatto l'uomo da quando ha messo i piedi sulla terra. Ho quindi preso spunto dagli evangelisti cosiddetti apocrifi. Apocrifo vuol dire falso, in effetti era gente vissuta: era viva, in carne ed ossa. Solo che la Chiesa mal sopportava, fino a qualche secolo fa, che fossero altre persone non di confessione cristiana ad occuparsi, appunto, di Gesù. Si tratta di scrittori, di storici, arabi, armeni, bizantini, greci, che nell'accostarsi all'argomento, nel parlare della figura di Gesù di Nazareth, lo hanno fatto direi addirittura con deferenza, con grande rispetto. Tant'è vero che ancora oggi proprio il mondo dell'Islam continua a considerare, subito dopo Maometto, e prima ancora di Abramo, Gesù di Nazaret il più grande profeta mai esistito. Laddove invece il mondo cattolico continua a considerare Maometto qualcosa di meno di un cialtrone. E questo direi che è un punto che va a favore dell'Islam. L'Islam quello serio, non facciamoci delle idee sbagliate. »
(Dal concerto al teatro Brancaccio, 14 febbraio 1998)


A Gesù Bambino - Umberto Saba


La notte è scesa
e brilla la cometa
che ha segnato il cammino.
Sono davanti a Te, Santo Bambino!
Tu, Re dell’universo,
ci hai insegnato
che tutte le creature sono uguali,
che le distingue solo la bontà,
tesoro immenso,
dato al povero e al ricco.
Gesù, fa’ ch’io sia buono,
che in cuore non abbia che dolcezza.
Fa’ che il tuo dono
s’accresca in me ogni giorno
e intorno lo diffonda,
nel Tuo nome.

sabato 3 dicembre 2016

Biografia di Luigi Maione (in arte Maione)


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Compositore e arrangiatore, chitarrista autodidatta, si è perfezionato in armonia e composizione con Filippo Daccò e in chitarra con Giorgio Cocilovo, Gigi Cifarelli, Gaudenzio Gazzola.

Autore di testi, ha ottenuto vari riconoscimenti sia come poeta (Roma 1982, Premio Internazionale di Poesia Poeti del ‘900 C. Capodieci) che come cantautore (Sanremo, Teatro Ariston, Tenco 1995).





Nella sua lunga attività professionale ha partecipato a diverse trasmissioni televisive (RAI, Mediaset, TMC, Videomusic, Telelombardia), inciso nell’ambito della musica leggera, ideato e realizzato jingle pubblicitari (Oscar Mondadori, L’Unità), contributi musicali per colonne sonore (ha suonato in Pane e Tulipani, Agata e la tempesta), spettacoli teatrali e musicali (Zingaro Incanto, Sentiero Color Cenere, Harem 2009 con KesiaElwin, Walid Hussein, Mohamed Antr).
Ha inciso con Mamud Band, Massimo Cavallaro (per Antonio Albanese).

Fin da ragazzo partecipa, prima come cantante, poi cantautore e chitarrista elettrico, a numerosissime manifestazioni, rassegne folk e rock- festival dell’area vesuviana, maturando un solido bagaglio live.

Trasferitosi a Roma, poi a Milano, continua ad affinare il suo percorso musicale abbracciando nuovi generi e operando, come musicista e arrangiatore, in diverse formazioni in Italia e all’estero, soprattutto nell’area della musica salsa (Stoccolma, Festival latino-americano, 1987; Milano, Palatrussardi, 1988).

Intanto continua la sua attività di cantautore: è di questo periodo l’avvio del suo primo progetto di contaminazione musicale, il gruppo latin-rock-mediterraneo Partenope Latina (sette elementi tra cui tromba, chitarra elettrica, batteria e percussioni), con cui presenta esclusivamente pezzi di propria composizione (1988-91).

Dopo una breve incursione nel mondo della musica leggera torna ad approfondire il suo personale discorso musicale fino all’incontro con le sonorità balcaniche, zingare, klezmer, segnando l’inizio della collaborazione, dal ‘95 in poi, con Maurizio Dehò e Gian Pietro Marazza.

Francesco Guccini - Vorrei











venerdì 2 dicembre 2016





Filippo Palizzi, "La fanciulla sulla roccia a Sorrento”,1871 olio su tela, cm 55x80.
Conservato presso la Fondazione Internazionale Balzan, Milano.



Subito sotto il profilo della roccia, l'autore scrisse questa epigrafe:

"Egli mi pose a giacere su questa roccia, mi dice di guardarti da mattina a sera e dirti sempre: sii felice. Felice."

GIUSEPPE DE NITTIS - " LA MODERNITE' ELEGANTE "














DE NITTIS, Giuseppe. - Nacque a Barletta (Bari) il 25 febbr. 1846 da Raffaele e da Teresa Buracchia. Visse gli anni della sua prima giovinezza nella città natale con i fratelli, dopo la morte di entrambi i genitori. Compiuti i primi studi con G. B. Calò e con V. Dattoli, iniziò a dipingere trovando ispirazione nella natura, con quell'istintiva gioia e dedizione che saranno le doti primarie del suo operare. Quindicenne, entrò all'istituto delle belle arti di Napoli, dove studiò sotto la guida di G. Smargiassi e di G. Mancinelli. Nel 1863 ne venne espulso per indisciplina. Da allora abbandonò la scuola e divenne maestro di se stesso, come scriverà poi nel Taccuino, rivelando la sua reattività e intransigenza nei confronti della scuola e dell'ambiente napoletano, allora dominato dal verismo aneddotico di F. Palizzi e dalla pittura di D. Morelli (Pica, G. D. ..., 1914, p.19).

Improntata, inizialmente, ad una illetterata sincerità, l'opera del D. non tardò a dare i suoi frutti; Profilo di donna (Milano, coll. Lusvardi), che data il 1863, segnò l'ingresso dei pittore in quella "scuola di Portici" che, formatasi attorno ad A. Cecioni, a F. Rossano, a M. De Gregorio, praticava una pittura aderente al vero, attenta alla resa dei valori atmosferici, alla soluzione tonale dei rapporti cromatici.

Nel 1864 partecipò alla terza mostra della Promotrice Salvator Rosa di Napoli con due piccoli studi intitolati Lavvicinarsi del temporale (Valdagno, coll. Marzotto), ampiamente lodati dal Cecioni (1894), che d'ora innanzi diverrà sua guida attenta e severa, pronta a valorizzare la sua più intima ispirazione poetica: "finezza ed eleganza erano le caratteristiche del suo talento ... io gli dicevo sempre che era chiamato a rendere il lato elegante della natura" (p. 362). L'Ofantino, eseguito nel 1866 (Firenze, coll. privata: cfr. Piceni, 1979, tav.3), realizza nell'effetto dei colori traslucidi, nell'esattezza formale un puntiglioso mimetismo naturalistico, in cui si intravede qualche accento nord europeo riecheggiante i modi di Pitloo (Pittaluga-Piceni 1963, p. 19). Passaggio degli Appennini e Casale dei dintorni di Napoli(Napoli, Museo di Capodimonte), comparsi alla Promotrice del 1866, furono acquistati da Vittorio Emanuele II per la reggia di Capodimonte, fatto questo che accrebbe la notorietà del giovane pittore. Sulle rive dell'Ofanto (Firenze, Galleria naz. d'arte moderna), Marina grigia (ripr. in Pittaluga-Piceni, 1963, n. 24), entrambe del 1867, sono tavole di piccolo formato, appunti veloci, in cui si delineano nitide vedute paesaggistiche (cfr. Ojetti, 1929).

Ancora le lodi del Cecioni introdussero il D. nell'ambito del caffè Michelangelo, là dove T. Signorini, S, Lega, C. Banti, G. Fattori discutevano intorno alla nuova tecnica della "macchia" preparando nuovi destini per la pittura italiana. Nevicata, Una diligenza in tempo di pioggia, ricordate dal Cecioni (1894, p. 364) e oggi scomparse, vennero esposte alla Promotrice fiorentina del 1867, suscitando grande consenso nel pubblico. In Una diligenza in tempo di pioggia il Martelli (1878) notò "una fattura finitissima e al contempo delicata" (p. 125), dove la definizione "finitissima" sottolineava l'importanza che in quella pittura vi trovava il disegno, più che la tecnica di contrasto cromatico propria dei macchiaioli. Allo stesso modo, M. Pittaluga scorse in comune con essi più un atteggiamento polemico nei confronti dell'Accademia che una convergenza poetica vera e propria (1963, p. 25).

Il soggiorno del D. a Firenze si protrasse per alcune settimane, ma un'altra meta lo aspettava. Dopo un lungo peregrinare per l'Italia, nel 1867 giunse a Parigi. Qui lavorò intensamente sotto la protezione del mercante M. Goupil e si indirizzò presso un gruppo di artisti tra cui era diffuso il gusto di una pittura in costume, di un'arte alla moda, specchio della gaiezza mondana e della grazia un po' frivola della società parigina. Tra tutti predilesse M. Fortuny, E. Meissonier e L. Gerôme, di cui si disse allievo. Dopo una breve parentesi napoletana nel 1868, di ritorno nella capitale francese, espose al Salon del 1869: Visita all'antiquario del 1869 (Filadelfia, coll. J. G. Johnson) è uno studio di artificiosa eleganza, dove l'eccessiva abilità di composizione diminuisce la sincerità evocativa del maestro. In. Passa il treno del 1869 (Barletta, Galleria De Nittis) il D. torna ad immergersi nelle vastità malinconiche e silenti della campagna pugliese; così nel novembre del 1870, di nuovo in Puglia a causa della guerra franco-prussiana, dipinse alcuni paesaggi evocanti uno spazio liricizzato, tra cui i più rappresentativi sono: Tratturodi Puglia (Milano, coll. Mainardi), Strada del Tavoliere(Milano, coll. Carraro).

Tornato a Parigi nel 1872, il D. si presentò al Salon di quell'anno con La strada da Brindisi a Barletta (già New York, coll. Andersen; cfr. Pittaluga-Piceni, 1963, n. 207), quadro di minuscole dimensioni, ampiamente lodato dal Mantz (1886, p. 8) e dal Claretie (1885, p. 363). Nel 1874 espose al Salon due quadri, Guidando al Bois (Milano, coll. Crespi), Che freddo!(Milano, Brera, coll. Jucker). Il primo, di stampo degasiano nella soluzione disegnativa, non ebbe successo, mentre fu ben accolto il secondo: ironica rappresentazione di signore infreddolite, in cui al solito cliché di bellezza mondana è aggiunto un pizzico di humour, nella resa delle vesti lievemente scomposte dal vento.

Introdotto da Degas, il D. partecipò nel 1874 alla prima esposizione degli impressionisti. La sua pittura apparve finita, precisa e, anche se accresciuta di valori cromoluministici, si distinse dalle restanti opere (Lavagnino, 1956, p. 739); "la macchia di colore ... non era per lui un problema di conoscenza, ... di 'visione' ... ma semplicemente una questione di charme" (Maltese, 1960, p.228). Fu il senso vivo della contemporaneità a condurlo incontro agli impressionisti; pittore volubile, ne tradusse a suo modo i suggerimenti: studiò il taglio e l'impaginazione della pittura giapponese, gli effetti cinematici di Degas, amò le dissolvenze materiche di Monet (Piceni, 1979, p.23). Sempre nel 1874 si recò a Londra., e da allora vi fece ritorno ogni anno. Piccadilly (Milano, coll. Marzotto) del 1875, WaterlooBridge (Busto Arsizio, coll. Bernocchi) del 1876, Domenica a Londra (Cadenabbia, coll. P. Schort Guaita; Milano, coll. Bianchi) e Westminster(Valdagno, coll. Marzotto) del 1878 sono attente rappresentazioni d'ambiente, fedeli interpretazioni di vita cittadina (Bénédite, 1926, p. 32).

Brevi soggiorni in Italia tra il 1875 e il 1880 gli consentirono di attingere alla fonte originaria della sua ispirazione; Sulla strada di Castellammare (Milano. coll. Lodigiani) del 1875, Pranzo a Posillipo (Milano, Galleria d'arte moderna, Raccolta Grassi) del 1879 sono una felice sintesi tra impressione e finitezza, mentre di una più immediata impressione sono Ritorno dalle corse (Filadelfia, Museum of Art) del 1875, Cantieri (Barletta, Galleria De Nittis) del 1876. L'opera completa dei D. apparve per la prima volta nel 1878 alla Esposizione universale di Parigi, e gli valse la Legion d'onore.

Il D. intraprese anche l'esperienza della scultura: nel 1879 portò a termine un progetto per il monumento a Vittorio Emanuele II, che tuttavia non venne mai realizzato (bozzetto e progetto si trovano a Barletta, Galleria De Nittis).

Acquarellista e acquafortista, si dedicò tardi ai pastelli; tecnica questa che predilesse nei ritratti quasi tutti eseguiti tra il 1882 e il 1883.

I più noti di essi, La femme aux pompons (Milano, Galleria d'arte moderna), Giornata d'inverno (Barletta, Galleria De Nittis), Caffè in veranda (coll. priv., ripr. in Pittaluga-Piceni, 1963, tav. LIX), Sarah Bernhardt (Milano, coll. Jucker) tutti datati il 1882 e Colazione in giardino (Barletta, Galleria De Nittis) del 1884, negli ingrandimenti, nella rapidità degli scorci, come nel taglio ricalcano un modello assai caro a E. Manct (Piceni, 1979, p. 23). Quando era al massimo della popolarità, nel 1883, il governo francese acquistò per il Museo del Lussemburgo Le rovine delle Tuileries (Parigi, Musée national d'art moderne), terminato nel 1882.

Circondato dalla Parigi mondana ed elegante, il D. frequentò le personalità più note dell'ambiente artistico-letterario quali Manet, Degas, i fratelli Goncourt, Zola, Daudet. Fu autore molto prolifico (il catalogo Pittaluga-Piceni del 1963 annovera 742 opere, a cui se ne aggiungono altre 208, comparse nel catalogo Piceni del 1982).

Apprezzato dalla critica più affermata, il D. morì all'età di 38 anni a Saint-Gérmain-en-Laye il 23 ag. 1884; nell'aprile 1869 aveva sposato Léotine Gruville.

Come scrisse L. Chirtani nel suo necrologio (1884), il D., pur rimanendo lontano dal modo drammatico di intendere il rapporto tra pittura e realtà proprio degli impressionisti, fu interprete fedelissimo e appassionato delle forme più svariate e cangianti della vita moderna.

(di Maria Virginia Cardi)
Giuseppe De Nittis, Colazione all’aperto, 1883-1884, Olio su tela, cm. 81x117, Barletta, Pinacoteca Giuseppe De Nittis (foto Pierluigi Siena, Roma)




Giuseppe De Nittis, Figura di donna, 1880, Olio su tela, cm. 79x38, Barletta, Pinacoteca Giuseppe De Nittis (foto Pierluigi Siena, Roma)
Giuseppe De Nittis, Figura di donna, 1880
Giuseppe De Nittis, Figura di donna, 1880, Olio su tela, cm. 79x38, Barletta, Pinacoteca Giuseppe De Nittis (foto Pierluigi Siena, Roma)


Giuseppe De Nittis, Figura di donna, 1880, Olio su tela, cm. 79x38, Barletta, Pinacoteca Giuseppe De Nittis, particolare (foto Flavia Molinari)

giovedì 1 dicembre 2016

Sara Teasdale



I Am Not Yours

I am not yours, not lost in you,
Not lost, although I long to be
Lost as a candle lit at noon,
Lost as a snowflake in the sea.


You love me, and I find you still
A spirit beautiful and bright,
Yet I am I, who long to be
Lost as a light is lost in light.


Oh plunge me deep in love—put out
My senses, leave me deaf and blind,
Swept by the tempest of your love,
A taper in a rushing wind.









Non sono tua

Non sono tua, tu non mi sai annullare,
anche se a questo il mio essere anela:
perdermi come fuoco di candela
a mezzogiorno accesa, o neve in mare.

Tu m’ami certo, e ancor mi seduce
il tuo spirito ardende, vivo sole;
pure, io resto io, colei che vuole
perdersi come lume in pura luce.

Oh, nell’amore fammi sprofondare,
strazia i miei sensi, fammi diventare
sorda e cieca in tempesta di tormenti,
tenue fiaccola tra maligni venti

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Non sia mai ch'io ponga impedimenti all'unione di anime fedeli; Amore non è Amore se muta quando scopre un mutamento o tende a svanire quando l'altro s'allontana. Oh no! Amore è un faro sempre fisso che sovrasta la tempesta e non vacilla mai; è la stella-guida di ogni sperduta barca, il cui valore è sconosciuto, benché nota la distanza. Amore non è soggetto al Tempo, pur se rosee labbra e gote dovran cadere sotto la sua curva lama; Amore non muta in poche ore o settimane, ma impavido resiste al giorno estremo del giudizio: se questo è errore e mi sarà provato, io non ho mai scritto, e nessuno ha mai amato. W. Shakespeare

J.W. GOETHE

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Si dovrebbe, almeno ogni giorno, ascoltare qualche canzone, leggere una bella poesia, vedere un bel quadro, e, se possibile, dire qualche parola ragionevole. Johann Wolfgang Goethe

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