POESIE

domenica 27 marzo 2016



PIERO BRESCIANI



Le note di otto e mezzo fanno ormai parte del nostro inconscio collettivo non tanto per la magistrale bravura della composizione di Nino Rota quanto perchè tutta la macchina felliniana è riuscita a far girare una giostra apparentemente arrugginita nel cortile dell’infanzia insieme alla trobettina di Govoni.

Un dipinto di Piero Bresciani ripercorre, con gentili volute cromatiche, lo stesso ottovolante onirico facendo del quadro una finestra affacciata sul parco meraviglioso del potenziale fantastico con piante zoomorfe con foglie lunari.

E’ un mondo a lungo inseguito, non solo nei nascondini più nascosti dell’infanzia, e può abbracciare sia” Alice nel paese delle meraviglie” che “l’isola che non c’è” di Piter Pan.

Sarebbe tuttavia uno sbaglio pensare alla produzione artistica di questo autore pietrasantino come ad una continua evasione lungo una traiettoria delle note di un flauto fiabesco.

Nessuna giostra riesce a girare se il palo non è ben piantato in terra.

L’elemento onirico rimane il glissato del racconto esterno:la struttura insegue forme solide con contrapposizioni a volte drammatiche serrate in una composta malinconia dai toni romantici.

“Dialettica del quotidiano”potrebbe essere una definizione per la creazione di questo genere pittorico:un ambulante bipede con la corona regale ed ali di ippogrifo.

L’essere e la voglia di trasformarsi.

L’essere e il dover essere (allo spettatore la scelta o l’indovinello della realtà reale) il “doppio onirico” che insegue il quotidiano.

Il silenzio implacabilmente geometrico esce dalle piazze di De Chirico per continuare la cavalcata dei cavalli che tentatno di cavalcare i cavallooni per raggiungere il mercato della vita.

A volte una lacrima silenziosa come un RE (nota) minore sembra mettere le ali della crisalide del quadro ma, niente paura, l’ottimismo cromatico la trasforma immediatamente in un caleidoscopio su cui tessere o rifrangere tutte le bizzarrie delle possibilità compositive.

Cristiano Mazzanti



Dati personali

Nasce a Pietrasanta (Lucca) il5 maggio 1945

Consegue il Diploma di Maturità artistica al Liceo Artistico di Carrara e il Diploma di Pittura rilasciato dall’Accademia di belle arti di Brera a Milano-

Ottenute le abilitazioni all’insegnamento di Disegno e Storia dell’Arte e all’insegnamento di Discipline Pittoriche, nel 1972 ottiene il suo primo incarico presso l’Istituto d’Arte di Pietrasanta dove svolge la sua professione di insegnante fino al 2004.

Parallelamente All’insegnamento si dedica alla pittura e alla grafica impegnandosi in una intensa attività espositiva e all’illustrazione.

Interessato a tutto ciò che permette di esprimersi, ha al suo attivo anche una serrata attività nel teatro amatoriale vernacolare che pratica con passione in qualità di commediografo oltre che di attore e regista.Riveste l’incarico di direttore artistico dell’associazione culturale “Teatro Pietrasanta” da lui fondata nell’anno 2000 con la quale fino ad oggi (2013) ha scritto 17 commedie, mettendone in scena 15.



venerdì 25 marzo 2016

(mia) fascinosa cima










E' un ricatto amoroso

quello che la montagna fa alla valle

quando si perde in lontananza




- un ricatto a me -




amata e lontana

(mia) fascinosa cima

che ti neghi agli occhi

e alla speranza

sabato 19 marzo 2016

Acmeismo




Acmeismo: da una nebbia mistica alla cruda realtà


Il Novecento è un secolo di cambiamenti, stravolgimenti, esperienze che annullano l’individuo, lo immergono in una dimensione in cui l’identità viene sgretolata. Eppure è anche un secolo di rinnovamento, tutti i dogmi sociali e politici cadono, si trasformano irreversibilmente, continua la scia dello sviluppo tecnologico di fine Ottocento. Qualcosa cambia nell’animo umano, e in alcuni […]


DI ANTONINO DE STEFANO - 11 MARZO 2013


Il Novecento è un secolo di cambiamenti, stravolgimenti, esperienze che annullano l’individuo, lo immergono in una dimensione in cui l’identità viene sgretolata. Eppure è anche un secolo di rinnovamento, tutti i dogmi sociali e politici cadono, si trasformano irreversibilmente, continua la scia dello sviluppo tecnologico di fine Ottocento. Qualcosa cambia nell’animo umano, e in alcuni paesi in particolare i primi decenni del XX secolo segnano in modo più netto una rottura con il passato. In Russia il susseguirsi dei movimenti rivoluzionari, l’esperienza bellica e il rovesciamento politico forgiano nell’ intellettuale russo un nuovo modo di approcciarsi alla realtà. Sono anni dolorosi e si può dire che la dimensione simbolica della poesia stia diventando qualcosa di marginale, di troppo estraneo alla vita reale della popolazione. Non serve più utilizzare simboli per riuscire a trasmettere i valori artistici, e la poesia si fa sempre più realistica, materialistica, legata all’uomo, alla natura, agli oggetti, riferendosi ad essi per quello che essi sono, senza bisogno di mediazione tra uomo e arte. L’acmesimo è la corrente che meglio rappresenta questa prospettiva sulla vita e che nasce in opposizione al simbolismo russo, di stampo francese all’inizio ( importante l’influenza di poeti come Verlaine e Rimbaud). Ritorna quindi l’esigenza di volgere lo sguardo al ‘sociale’, da cui era stato distolto dai simbolisti a causa della ricerca di una dimensione più individuale. Il termine ‘acmeismo’ deriva dal termine greco acmè che indica il vertice, l’apice, il punto più alto e inizialmente fu usato con un’ accezione polemica riguardo la presunta posizione elevata che i poeti acmeisti intendevano ricoprire. Uno degli esponenti più importanti, nonché fondatore, Nicolaj Gumilev battezzò il nuovo movimento ‘adamismo’, in quanto obiettivo principale , considerato virile e genuino, era quello di riabilitare la purezza della visione della realtà allontanandola dalla ‘nebbia’ simbolista, che attribuiva un’ aurea mistica alla poesia e che rendeva di difficile comprensione qualcosa che sarebbe dovuto essere alla portata di tutti. Le radici del movimento risalgono al 1911 quando Gumilev fondò la ‘Gilda dei poeti’, ma fu nell’anno seguente che sulla rivistaApollon comparve il manifesto del gruppo acmeista firmato dallo stesso Gumilev e Gorodekij. Del gruppo fece parte anche la poetessa russa Anna Achmatova, che per alcuni anni fu sposata con Gumilev. In lei il rapporto con la realtà è talmente stretto che nei suoi versi si trova solamente l’essenziale, il concreto nel senso più letterale, addirittura i verbi vengono eliminati oppure concessi in modica quantità. Un altro esemplare esponente fu Osip Mandel’stam, artista caratterizzato dall’andamento spezzato dei suoi versi, altisonanti e profondi, ma allo stesso tempo partoriti da materiali e oggetti modesti:





‘’Una fiamma disperde
la mia arida vita;
e accantono la pietra:
ora il legno mi ispira.


Esso è rozzo e leggero:
da un tronco vengon fuori
e midollo di quercia
e remi di pescatore.


Sotto, a configger pali!
Fate risuonare, o mazze,
un ligneo paradiso
di oggetti imponderabili!’’



Un ritorno incisivo alla dimensione concreta del reale, tutto ciò che è mondano, materiale è degno di essere considerato oggetto di poesia, proprio perché è ciò da cui l’essere umano è circondato nella maniera più oggettiva. La corrente acmeista si propone di mettere in poesia sentimenti ed emozioni del genere umano nella sua collettività, non più solamente come individuo, e si assiste alla rinuncia più assoluta della dimensione soggettiva tanto cara ai simbolisti. Il misticismo simbolico è abbattuto, viene pensato come un ostacolo da superare per godere appieno del rapporto tra il lettore e la poesia. L’esperienza del movimento fu relativamente breve, infatti si poté definire conclusa con la fucilazione di Gumilev nel 1921 (il poeta fu accusato di svolgere attività controrivoluzionaria). Il tentativo di contrapporsi al vecchio mito simbolista è accompagnato dall’atteggiamento temerario assunto dai poeti acmeisti. Gumilev intendeva infatti plasmare il nuovo poeta sottoforma di un uomo attaccato alla realtà,virile, temerario, impavido addirittura di fronte alla morte :

« Ma per tutto ciò che ho avuto e ancora voglio avere
per tutti i miei dolori, e le gioie, e le follie,
come tocca a ogni uomo pagherò
con la morte finale e irrevocabile »


L’adamismo è l’esempio di una poesia immediata, genuina, spontanea, che fuoriesce direttamente dall’animo per essere diffusa pressoché chiunque. Fu un’esperienza intensa ma breve, travolta come i suoi esponenti dalle aspre dinamiche dell’inizio del Novecento.

martedì 8 marzo 2016

Jeanne Hébuterne, la pittrice mancata



Per questo otto di marzo duemilasedici, mi piace dedicare il mio post a Jeanne Hébuterne.
Impossibile tralasciare il fatto che sia stata la moglie del grande Modigliani ma, vorrei che qui, in questo giorno di donne, fosse protagonista lei, la pittrice e non la musa.





"Jeanne Hébuterne, nata a Parigi il 6 aprile 1898, morta a Parigi il 25 gennaio 1920, compagna di Amedeo Modigliani, devota fino all'estremo sacrifizio." (Epitaffio).





Raramente nel corso della storia le donne hanno saputo e potuto liberamente seguire il loro corpo e la loro anima contemporaneamente. Alcune ne hanno seguito unicamente la loro anima, tralasciando gli affetti e la loro identità. Altre come Jeanne Hébuterne si sono lasciate andare in balia del proprio corpo, trascurando la fame della loro anima ed intelletto.
Nessuno saprebbe dire cosa sarebbe diventata Jeanne Hébuterne, se avesse assecondato la musa dell'arte.


Jeanne Hébuterne proveniva da una famiglia francese cattolica e conservatrice. Soprattutto votata all'arte.
Il fratello maggiore André era uno stimato e conosciuto pittore di paesaggi. Jeanne minuta, dai capelli castani con riflessi rossi e un incarnato etereo, era una ragazza intelligente, forte, seria, con grandi doti da pittrice e conoscitrice sensibile dell'arte.
Era stata allieva dell'Académie Colarossi, una scuola, centro importante della Belle Epoque che accettava studentesse e permetteva loro di dipingere modelli maschili nudi.
Ad un ballo mascherato di carnevale del 1917, conobbe Amedeo Modigliani (1884-1920), che la prese come compagna e musa fino alla morte.
Modigliani si trovava nell'ultima fase della sua vita e carriera artistica : era da poco uscito da una turbolenta relazione con la poetessa inglese Beatrice Hastings, malato e poco apprezzato nella scena artistica parigina.
Nonostante l'opposizione familiare, nel luglio dello stesso anno, Jeanne andò a vivere con Modigliani, affittando uno studio a Montparnasse.
Qui condussero un'esistenza bohémienne, in ristrettezze economiche, mangiando nei café degli artisti, frequentando le mostre. Dipingevano insieme o per lo più era Modigliani che dipingeva Jeanne mentre lei suonava il violino. L'artista italiano ne riconosceva lo spiccato talento ma la giovane donna sottometteva il suo genio a quello più rivoluzionario del compagno. Soprattutto credeva nelle sue opere.
Nel marzo del 1919 scoprì di essere incinta e durante le ultime fasi della Grande Guerra, si rifugiarono nel sud della Francia.
Modigliani ritrasse innumerevoli volte la donna durante le fasi della gravidanza, con il volto pieno di dolcezza e il ventre che aumentava.
Eppure l'esistenza dei due peggiorava di giorno in giorno, dopo la nascita della piccola Jeanne*, il pittore era ritornato alle sue sregolatezze, intrattenendo relazioni con altre donne, perdendosi nelle viziose strade di Parigi, dipingendo sempre con forsennatezza.
Jeanne di nuovo incinta nell'aprile del 1919, era un dipinto sbiadito, imparagonabile ai ritratti dei primi anni della loro collaborazione. Si era data tutta a Modigliani, per la sopravvivenza sua e della sua arte.
Ma lei continuava a disegnare, a dipingere nei pochi momenti di quiete, a riprendere i colori e dare sfogo ad una molteplicità di opere dalle tante interpretazioni.



La Hébuterne amava ritrarre le figure femminili e in particolare la sua. Diversamente dai dolci dipinti dai toni scuri e linee allungate che le faceva Modigliani, Jeanne si ritraeva nel suo spirito più deciso, forte, gli occhi maliziosi e fermi, lo chignon alto o con due trecce abbandonate sulle spalle, una vasta gamma di colori accesi di gusto orientaleggiante. Pur influenzata dal pittore italiano, si notano nelle sue opere divagazioni gauguiniane e post-impressioniste.
Nella "Natura Morta" in un ambiente disadorno e minimale, si intravedono un pianoforte chiuso con sopra uno spartito lasciato aperto.



Di fronte un mazzo di fiori ancora incartato e a rendere ancora più angoscioso il tema, la presenza di candelieri vuoti. Tutto eseguito con una grande qualità espressiva.
Ma è nella "Sucida", tra gli ultimi lavori della donna, si scorge tutto il suo dramma intimo. Jeanne si dipinge nella sua camera, in un letto di un bianco disturbante, il corpo reclinato in una posa sgraziata.
Si è appena pugnalata mentre nel petto sgorgano le prime gocce di sangue, il ventre gonfio (era alla seconda gravidanza); il colore rosso dei capelli, del sangue, della gonna e il bordo del letto dominano la scena.



Ma un triste inizio vuole una fine ancora più tragica.
Amedeo Modigliani consumato dalla tubercolosi e dall'alcol, fu trovato una mattina di gennaio del 1920 inerme nel proprio letto. Accanto a lui la compagna al nono mese di gravidanza.
Il ventiquattro, Modigliani morì nel letto di un ospedale, circondato dagli amici.
Jeanne rimase calma ed impassibile alla sua morte, guardando a lungo il suo uomo.
Due giorni dopo, però, alle quattro del mattino, si gettò dal quinto piano della casa, "questa ragazza, così piena di talento, così assoluta nel suo amore per Modigliani morì sul colpo."**

Quella di Jeanne Hébuterne è ancora oggi una storia che si può raccontare attraverso i capolavori di Modigliani : il volto a forma di cuore, gli occhi azzurri, l'aria pensosa; l'anima invece è nei suoi autoritratti.
Ventiquattro anni dopo un operaio trovandosi nell'atelier di André Hébuterne, reperì inaspettatamente alcune tele di Jeanne, volutamente abbandonate prima della morte.

(dal Web)

*Jeanne Modigliani (1918-1984), divenne in seguito una storica dell'arte.
** Cit. "Modigliani", Rizzoli Editore.



Fonti :

"Storia delle Altre", Elizabeth Abbott, Mondadori 2011
"Modigliani", Rizzoli 2004


















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Non sia mai ch'io ponga impedimenti all'unione di anime fedeli; Amore non è Amore se muta quando scopre un mutamento o tende a svanire quando l'altro s'allontana. Oh no! Amore è un faro sempre fisso che sovrasta la tempesta e non vacilla mai; è la stella-guida di ogni sperduta barca, il cui valore è sconosciuto, benché nota la distanza. Amore non è soggetto al Tempo, pur se rosee labbra e gote dovran cadere sotto la sua curva lama; Amore non muta in poche ore o settimane, ma impavido resiste al giorno estremo del giudizio: se questo è errore e mi sarà provato, io non ho mai scritto, e nessuno ha mai amato. W. Shakespeare

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Si dovrebbe, almeno ogni giorno, ascoltare qualche canzone, leggere una bella poesia, vedere un bel quadro, e, se possibile, dire qualche parola ragionevole. Johann Wolfgang Goethe

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