POESIE

sabato 30 dicembre 2017

Se fossi un giorno dell’anno

Immagine correlata

Se fossi un giorno dell’anno, vorrei essere il penultimo giorno dell’anno.
Perché è in questo giorno che ognuno pensa tra sé e sé quanto in fretta è passato il tempo e che domani l’anno che sembra ieri che era gennaio invece è già finito.
Ed è un pensiero tutto d’un fiato, senza virgole e senza pause.

Ma poi? Dov’è che è andato questo tempo? Io non me ne sono accorto che stava passando.
Ho fatto la spesa di corsa, all’uscita dall’ufficio nelle sere anonime dei giorni banali, tra i lava pavimento elettrici dei supermercati in chiusura e le voci stanche delle commesse dagli altoparlanti. Poi a casa.
- Stasera vado a letto presto.


Mi sta bene. Sempre tutto di fretta, sempre mille cose da fare, e il tempo si adegua. Corre anche lui.
Nemmeno l’opportunità dei tempi supplementari come nel calcio.

- Vieni qua brutto scemo. Quanto tempo, quanti giorni hai perso? Venti?
Prendi: questo è un buono per venti giorni da spendere entro il prossimo anno.
Usali per fermarti un momento. Scialacquali seduto su uno scoglio a guardare i tramonti, a stringere mani, a perderti nei sorrisi dei bambini. A dirle che le vuoi bene.

- Grazie.

Non è tanto il tempo che passa, ma quello che si è perso per ciò che non era importante. Il prossimo anno ci starò più attento.


Simone Angelo Cannatà

giovedì 21 dicembre 2017

UNA BELLA NOTIZIA!





In Spagna le luminarie natalizie si ricavano dai rifiuti!

18 dicembre 2017






Negli ultimi giorni in tutto il mondo ondate di persone stanno assalendo i supermercati in cerca degli ultimi addobbi natalizi. Una corsa frenetica che sta sempre di più perdendo la sua connotazione religiosa rendendo le Feste un evento commerciale.


Per dargli un significato diverso, gli abitanti di L’Oliva, cittadina che si trova sull’Isola di Fuerteventura (Canarie, Spagna), hanno deciso realizzare le luminarie cittadine con gli scarti trovati sulle spiagge e dai rifiuti prodotti dagli alberghi.


La loro realizzazione è stata ideata dall’architetto Fernando Menis, che insieme agli abitanti dell’isola ha voluto supportare questa iniziativa per sensibilizzare la popolazione.


Viste le temperature calde della zona, i pupazzi di neve sono stati scelti fiori di ibisco come simbolo del Natale isolano, mentre calamari giganti, meduse e palme con materiale riciclato.


L’intero progetto è stato a costo ed impatto zero. Un’iniziativa ci insegna come il riciclo dei materiali abbandonati possa portare gioia e divertimento.


https://www.greenme.it/abitare/arredo-urbano/25538-luminarie-canarie-rifiuti





https://www.ilsorrisoquotidiano.it/2017/12/18/in-spagna-le-luminarie-natalizie-si-ricavano-dai-rifiuti/

UNA BELLA NOTIZIA!

                                                                     

Risultati immagini per BASILICA COLLEMAGGIO OGGI













IlCapoluogo.it - L'aquila News: notizie in tempo reale di Cronaca, Politica, Stefania Pezzopane, Massimo Cialente, Pierpaolo Pietrucci,Collemaggio




Collemaggio non fa notizia, niente tg nazionali

La Basilica di Collemaggio è stata riconsegnata alla città, ma la festa è stata tutta locale.

Dove sono finite le troupe di Sky, di Rainews24, della BBC o di Al Jazira, che hanno stazionato nei container del Capoluogo per mesi nel 2009 al fine di raccontare il nostro terremoto al mondo?

Solo notizie negative che fanno scoop.

La stampa nazionale racconta delle casette di Accumoli inadeguate per il freddo, della nonnina che non può stare nella casetta di legno o degli scandali della ricostruzione, ma non è interessata alle notizie positive che raccontano di una città stupenda ricostruita e pronta ad essere ammirata.

La storia delle pietre di Collemaggio sapientemente disposte dai maestri, come ci ha illustrato Maria Grazia Lopardi accompagnandoci dentro la Basilica, dovrebbe essere La Storia della nostra città.

Il fulcro su cui costruire un progetto turistico di appeal mondiale, su cui formare delle guide turistiche, organizzare degli uffici di informazione e promozione.
L’Aquila possiede delle potenzialità che vanno gridate al mondo.

Solo una gestione consapevole e matura potrà organizzare la ripresa della città, attraverso un marketing che costruisca una reputazione online congrua con le ricchezze attrattive straordinarie del nostro territorio, da Campotosto a Capestrano passando per Ovindoli ed il Gran Sasso.

Cialente non è stato invitato alla cerimonia. Uno sgarbo istituzionale, una distrazione pesantissima, un’assenza offensiva, ma la città non può rammaricarsi per questo.
Deve, piuttosto, rammaricarsi di non trovare i titoli in prima pagina di Collemaggio sulle testate nazionali, di non aver sentito nei tg nazionali la notizia, di non aver avuto il giusto spazio nelle cronache di ieri, perché secondo il nuovo giornalismo d’assalto una bella notizia non fa più Notizia!
https://www.ilcapoluogo.it/2017/12/21/collemaggio-non-fa-notizia-niente-tg-nazionali/

https://it.wikipedia.org/wiki/Basilica_di_Santa_Maria_di_Collemaggio

martedì 19 dicembre 2017

Comincia a nevicare

Immagine correlata






- Siamo tutti in casa? - domandò mio padre, rientrando una sera sul tardi, tutto intabarrato e col suo fazzoletto di seta nera al collo. E dopo un rapido sguardo intorno si volse a chiudere la porta col paletto e con la stanga, quasi fuori s'avanzasse una torma di ladri o di lupi. Noi bambine gli si saltò intorno curiose e spaurite.

- Che c'è, che c'è?

- C'è che comincia a nevicare e ne avremo per tutta la notte e parecchi giorni ancora: il cielo sembra il petto di un colombo.

- Bene - disse la piccola nonna soddisfatta. - Così crederete a quello che raccontavo poco fa.

Poco fa la piccola nonna, che per la sua statura e il suo viso roseo rassomigliava a noi bambine, ed era più innocente e buona di noi, raccontava per la millesima volta che un anno, quando anche lei era davvero bambina (nel mille, diceva il fratellino studente, già scettico e poco rispettoso della santa vecchiaia), una lunga nevicata aveva sepolto e quasi distrutto il paese.

- Quattordici giorni e quattordici notti nevicò di continuo, senza un attimo d'interruzione. Nei primi giorni i giovani e anche le donne più audaci uscivano di casa a cavallo e calpestavano la neve nelle strade; e i servi praticavano qualche viottolo in mezzo a quelle montagne bianche ch'erano diventati gli orti ed i prati. Ma poi ci si rinchiuse tutti in casa, più che per la neve, per l'impressione che si trattasse di un avvenimento misterioso; un castigo divino. Si cominciò a credere che la nevicata durasse in eterno, e ci seppellisse tutti, entro le nostre case delle quali da un momento all'altro si aspettava il crollo. Peccati da scontare ne avevamo tutti, anche i bambini che non rispettavano i vecchi (questa è per te, signorino studente); e tutti si aveva anche paura di morire di fame.

- Potevate mangiare i teneri bambini, come nel mille - insiste lo studentello sfacciato.

- Va via, ti compatisco perché sei nell'età ingrata, - dice il babbo, che trova sempre una scusa per perdonare, - ma con queste cose qui non si scherza. Vedrai che fior di nevicata avremo adesso. Eppoi senti senti...

D'improvviso saliva dalla valle un muggito di vento che riempiva l'aria di terrore: e noi bambine ci raccogliemmo intorno al babbo come per nasconderci sotto le ali del suo tabarro.

- Ho dimenticato una cosa: bisogna che vada fuori un momento - egli dice frugandosi in tasca.

- Vado io, babbo - grida imperterrito il ragazzo; ma la mamma, bianca in viso, ferma tutti con un gesto.

- No, no, per carità, adesso!

- Eppure è necessario - insiste il babbo preoccupato. - Ho dimenticato di comprare il tabacco.

Allora la mamma si rischiara in viso e va a cercare qualche cosa nell'armadio.

- Domani è Sant'Antonio; è la tua festa, ed io avevo pensato di regalarti...

Gli presenta una borsa piena di tabacco, ed egli s'inchina, ringrazia, dice che la gradisce come se fosse piena d'oro; intanto si lascia togliere dalle spalle il tabarro e siede a tavola per cenare.

La cena non è come al solito, movimentata e turbata da incidenti quasi sempre provocati dall'irrequietudine dei commensali più piccoli; tutti si sta fermi, quieti, intenti alle voci di fuori.

- Ma quando c'è questo gran vento, - dice la nonna - la nevicata non può essere lunga. Quella volta...

Ed ecco che ricomincia a raccontare; ed i particolari terribili di quella volta aumentano la nostra ansia, che in fondo però ha qualche cosa di piacevole. Pare di ascoltare una fiaba che da un momento all'altro può mutarsi in realtà.

Quello che sopratutto ci preoccupa è di sapere se abbiamo abbastanza per vivere, nei giorni di clausura che si preparano.

- Il peggio è per il latte: con questo tempo non è facile averlo.

Ma la mamma dice che ha una grossa scatola di cacao: e la notizia fa sghignazzare di gioia il ragazzo, che odia il latte. Gli altri bambini non osano imitarlo; ma non si afferma che la notizia sia sgradita. Anche perché si sa che oltre il cacao esiste una misteriosa riserva di cioccolata e, in caso di estrema necessità, c'è anche un vaso di miele.

Delle altre cose necessarie alla vita non c'è da preoccuparsi. Di olio e vino, formaggio e farina, salumi e patate, e altre provviste, la cantina e la dispensa sono rigurgitanti. E carbone e legna non mancano. Eravamo ricchi, allora, e non lo sapevamo.

- E adesso - dice nostro padre, alzandosi da tavola per prendere il suo posto accanto al fuoco - vi voglio raccontare la storia di Giaffà.

Allora vi fu una vera battaglia per accaparrarsi il posto più vicino a lui: e persino la voce del vento si tacque, per lasciarci ascoltare meglio. Ma la nonnina, allarmata dal silenzio di fuori, andò a guardare dalla finestra di cucina, e disse con inquietudine e piacere:

- Questa volta mi pare che sia proprio come quell'altra.




Tutta la notte nevicò, e il mondo, come una grande nave che fa acqua, parve sommergersi piano piano in questo mare bianco. A noi pareva di essere entro la grande nave: si andava giù, nei brutti sogni, sepolti a poco a poco, pieni di paura ma pure cullati dalla speranza in Dio.

E la mattina dopo, il buon Dio fece splendere un meraviglioso sole d'inverno sulla terra candida, ove i fusti dei pioppi parevano davvero gli alberi di una nave pavesata di bianco.






Grazia Deledda

Il Natale di Martin

Risultati immagini per gif pallina di natale che brilla



In una certa città viveva un ciabattino, di nome Martin Avdeic. Lavorava in una stanzetta in un seminterrato, con una finestra che guardava sulla strada. Da questa poteva vedere soltanto i piedi delle persone che passavano, ma ne riconosceva molte dalle scarpe, che aveva riparato lui stesso. Aveva sempre molto da fare, perché lavorava bene, usava materiali di buona qualità e per di più non si faceva pagare troppo.

Anni prima, gli erano morti la moglie e i figli e Martin si era disperato al punto di rimproverare Dio. Poi un giorno, un vecchio del suo villaggio natale, che era diventato un pellegrino e aveva fama di santo, andò a trovarlo. E Martin gli aprì il suo cuore.

- Non ho più desiderio di vivere - gli confessò. - Non ho più speranza.

Il vegliardo rispose: « La tua disperazione è dovuta al fatto che vuoi vivere solo per la tua felicità. Leggi il Vangelo e saprai come il Signore vorrebbe che tu vivessi.

Martin si comprò una Bibbia. In un primo tempo aveva deciso di leggerla soltanto nei giorni di festa ma, una volta cominciata la lettura, se ne sentì talmente rincuorato che la lesse ogni giorno.

E cosi accadde che una sera, nel Vangelo di Luca, Martin arrivò al brano in cui un ricco fariseo invitò il Signore in casa sua. Una donna, che pure era una peccatrice, venne a ungere i piedi del Signore e a lavarli con le sue lacrime. Il Signore disse al fariseo: «Vedi questa donna? Sono entrato nella tua casa e non mi hai dato acqua per i piedi. Questa invece con le lacrime ha lavato i miei piedi e con i suoi capelli li ha asciugati... Non hai unto con olio il mio capo, questa invece, con unguento profumato ha unto i miei piedi.

Martin rifletté. Doveva essere come me quel fariseo. Se il Signore venisse da me, dovrei comportarmi cosi? Poi posò il capo sulle braccia e si addormentò.

All'improvviso udì una voce e si svegliò di soprassalto. Non c'era nessuno. Ma senti distintamente queste parole: - Martin! Guarda fuori in strada domani, perché io verrò.

L'indomani mattina Martin si alzò prima dell'alba, accese il fuoco e preparò la zuppa di cavoli e la farinata di avena. Poi si mise il grembiule e si sedette a lavorare accanto alla finestra. Ma ripensava alla voce udita la notte precedente e così, più che lavorare, continuava a guardare in strada. Ogni volta che vedeva passare qualcuno con scarpe che non conosceva, sollevava lo sguardo per vedergli il viso. Passò un facchino, poi un acquaiolo. E poi un vecchio di nome Stepanic, che lavorava per un commerciante del quartiere, cominciò a spalare la neve davanti alla finestra di Martin che lo vide e continuò il suo lavoro.

Dopo aver dato una dozzina di punti, guardò fuori di nuovo. Stepanic aveva appoggiato la pala al muro e stava o riposando o tentando di riscaldarsi. Martin usci sulla soglia e gli fece un cenno. - Entra· disse - vieni a scaldarti. Devi avere un gran freddo.

- Che Dio ti benedica!- rispose Stepanic. Entrò, scuotendosi di dosso la neve e si strofinò ben bene le scarpe al punto che barcollò e per poco non cadde.

- Non è niente - gli disse Martin. - Siediti e prendi un po' di tè.

Riempi due boccali e ne porse uno all'ospite. Stepanic bevve d'un fiato. Era chiaro che ne avrebbe gradito un altro po'. Martin gli riempi di nuovo il bicchiere. Mentre bevevano, Martin continuava a guardar fuori della finestra.

- Stai aspettando qualcuno? - gli chiese il visitatore.

- Ieri sera- rispose Martin - stavo leggendo di quando Cristo andò in casa di un fariseo che non lo accolse coi dovuti onori. Supponi che mi succeda qualcosa di simile. Cosa non farei per accoglierlo! Poi, mentre sonnecchiavo, ho udito qualcuno mormorare: "Guarda in strada domani, perché io verrò".

Mentre Stepanic ascoltava, le lacrime gli rigavano le guance. - Grazie, Martin Avdeic. Mi hai dato conforto per l'anima e per il corpo.

Stepanic se ne andò e Martin si sedette a cucire uno stivale. Mentre guardava fuori della finestra, una donna con scarpe da contadina passò di lì e si fermò accanto al muro. Martin vide che era vestita miseramente e aveva un bambino fra le braccia. Volgendo la schiena al vento, tentava di riparare il piccolo coi propri indumenti, pur avendo indosso solo una logora veste estiva. Martin uscì e la invitò a entrare. Una volta in casa, le offrì un po' di pane e della zuppa. - Mangia, mia cara, e riscaldati - le disse.

Mangiando, la donna gli disse chi era: - Sono la moglie di un soldato. Hanno mandato mio marito lontano otto mesi fa e non ne ho saputo più nulla. Non sono riuscita a trovare lavoro e ho dovuto vendere tutto quel che avevo per mangiare. Ieri ho portato al monte dei pegni il mio ultimo scialle.

Martin andò a prendere un vecchio mantello. - Ecco - disse. - È un po' liso ma basterà per avvolgere il piccolo.

La donna, prendendolo, scoppiò in lacrime. - Che il Signore ti benedica.

- Prendi - disse Martin porgendole del denaro per disimpegnare lo scialle. Poi l’accompagnò alla porta.

Martin tornò a sedersi e a lavorare. Ogni volta che un'ombra cadeva sulla finestra, sollevava lo sguardo per vedere chi passava. Dopo un po', vide una donna che vendeva mete da un paniere. Sulla schiena portava un sacco pesante che voleva spostare da una spalla all'altra. Mentre posava il paniere su un paracarro, un ragazzo con un berretto sdrucito passò di corsa, prese una mela e cercò di svignarsela. Ma la vecchia lo afferrò per i capelli. Il ragazzo si mise a strillare e la donna a sgridarlo aspramente.

Martin corse fuori. La donna minacciava di portare il ragazzo alla polizia. - Lascialo andare, nonnina - disse Martin. - Perdonalo, per amor di Cristo.

La vecchia lasciò il ragazzo. - Chiedi perdono alla nonnina - gli ingiunse allora Martin.

Il ragazzo si mise a piangere e a scusarsi. Martin prese una mela dal paniere e la diede al ragazzo dicendo: - Te la pagherò io, nonnina.

- Questo mascalzoncello meriterebbe di essere frustato - disse la vecchia.

- Oh, nonnina - fece Martin - se lui dovesse essere frustato per aver rubato una mela, cosa si dovrebbe fare a noi per tutti i nostri peccati? Dio ci comanda di perdonare, altrimenti non saremo perdonati. E dobbiamo perdonare soprattutto a un giovane sconsiderato.

- Sarà anche vero - disse la vecchia - ma stanno diventando terribilmente viziati.

Mentre stava per rimettersi il sacco sulla schiena, il ragazzo sì fece avanti. - Lascia che te lo porti io, nonna. Faccio la tua stessa strada.

La donna allora mise il sacco sulle spalle del ragazzo e si allontanarono insieme.

Martin tornò a lavorare. Ma si era fatto buio e non riusciva più a infilare l'ago nei buchi del cuoio. Raccolse i suoi arnesi, spazzò via i ritagli di pelle dal pavimento e posò una lampada sul tavolo. Poi prese la Bibbia dallo scaffale.

Voleva aprire il libro alla pagina che aveva segnato, ma si apri invece in un altro punto. Poi, udendo dei passi, Martin si voltò. Una voce gli sussurrò all'orecchio: - Martin, non mi riconosci?

- Chi sei? - chiese Martin.

- Sono io - disse la voce. E da un angolo buio della stanza uscì Stepanic, che sorrise e poi svanì come una nuvola.

- Sono io - disse di nuovo la voce. E apparve la donna col bambino in braccio. Sorrise. Anche il piccolo rise. Poi scomparvero.

- Sono io - ancora una volta la voce. La vecchia e il ragazzo con la mela apparvero a loro volta, sorrisero e poi svanirono.

Martin si sentiva leggero e felice. Prese a leggere il Vangelo là dove si era aperto il libro. In cima alla pagina lesse: Ebbi fame e mi deste da mangiare, ebbi sete e mi dissetaste, fui forestiero e mi accoglieste. In fondo alla pagina lesse: Quanto avete fatto a uno dei più piccoli dei miei fratelli, l’avete fatto a me.

Così Martin comprese che il Salvatore era davvero venuto da lui quel giorno e che lui aveva saputo accoglierlo.


di Lev Tolstoj

domenica 17 dicembre 2017

"La vita non è quella che si è vissuta ma quella che si ricorda e come la si ricorda per raccontarla."

Risultati immagini per alberi di natale anni 50



Per Natale voglio regalarmi un ricordo da vecchio. Uno di quei bei ricordi che le persone non più giovanissime hanno, ma evitano di raccontare proprio per non essere considerate persone non più giovanissime.


È il ricordo di un attesa. Una piccola cosa, s’intende. Una di quelle che sul momento non ci pensi davvero che poi ti accompagnerà tutta la vita.

È la storia di un fuciletto di latta che avevo chiesto in regalo a mio padre quando ero bambino.


A quei tempi usava e a nessuno veniva in mente che a giocare con fucili e pistole sparatappi poi una volta diventato grande saresti diventato un pericoloso criminale. E infatti anche io che amavo giocare ad indiani e cowboy, mica poi sono diventato indiano o cowboy. E non sono diventato nemmeno dottore perché giocavo al dottore e all’ammalato. Invece ammalato purtroppo qualche volta si, ma si tratta di un’eccezione.


Fatto è che questo fuciletto tardava ad arrivare. I motivi mi erano totalmente sconosciuti ed oggi potrei solo azzardare qualche possibile spiegazione: forse c’erano altre priorità, forse a casa eravamo tanti e per giustizia ed equità mio padre avrebbe dovuto armare anche i miei fratelli. Forse non aveva avuto tempo di cercarlo o forse chissà cosa.


Io però tutte le sere andavo ad aspettarlo sperando che quella fosse proprio la sera giusta.

A Roma a lavorare ci andava con il treno, ma poi dalla stazione a casa papà ci arrivava con un pullman che passava lungo la statale e, fatto scendere lui, proseguiva verso i paesi del viterbese.

Io mi sedevo sul muro di tufo che costeggiava la strada e aspettavo. E mentre aspettavo, nella mia fantasia sparavo colpi che uccidevano bisonti, o facevano cadere gli indiani apostati, come avevo visto nei film, sulla cima dei canyon.


Qualche sera contavo le macchine.

- Se la decima automobile che passa è un maggiolino, papà mi porta il fucile. Pensavo.

Poi la decima macchina era una 500, allora dicevo:

- No. Non la decima. Mi sono sbagliato, volevo dire la ventesima.


Il fucile arrivò una sera che non ricordo, quando ormai avevo perso il conto delle macchine che avevo visto passare. Arrivò con mio padre, sempre impeccabile nel suo vestito scuro e la borsa di pelle marrone ed io raggiante di felicità gli trotterellai dietro fino a casa, col mio fuciletto di latta stretto tra le mani.

Da quella sera lo tenni con me e lo trattai con tutti i riguardi, come si fa con le cose uniche e a lungo desiderate.


Per molti anni alimentò la mia fantasia di bambino. Poi sparì nel nulla. Magari crescendo lo lasciai per seguire una bambina o per chissà quale altro interesse, ma nonostante siano passati tanti anni, dentro di me non si è mai perso e lo sento sparare ancora piccoli colpi ogni volta che qualcosa mi innamora.


Adesso che viene Natale voglio regalarmi un pensiero da vecchio.

Sai uno di quei bei pensieri che i vecchi tengono per sé e non dicono per non essere considerati vecchi? Quello.

E penso che il troppo dei nostri giorni diventa inevitabilmente nulla. Che il chiasso diventa silenzio e che i mille contati che ognuno ha, diventano solitudine. Il tutto e subito diventano indifferenza.

Questo un po’ mi fa paura.


L’attesa conta ed io i miei nipoti non li vorrei ricchi di cose che non amano, ma di quel poco del quale riescono a prendersi cura. Di ciò che resta, che accende, che incuriosisce, che entusiasma. Di quello che ti innamora.

Il resto sono solo scatole o troppi regali da scartare che non ricorderai.


I vecchi di solito concludono dicendo che ai loro tempi era meglio. Io dirò che chi vuole capire, capirà.

Per quello che posso fare, prima che arrivi Natale salirò sul lungo muro di tufo rosso che per un tratto accompagna la statale e resterò in silenzio a guardare le automobili che sfrecciano veloci.

Ne conterò trenta e se la trentesima sarà rossa, sarà un Natale d’amore.

Speriamo.






Simone Angelo Cannatà

sabato 16 dicembre 2017

Librerie indipendenti




Entrate in libreria, al libraio fa piacere vedervi lì. Vedervi frugare fra tutti quei tesori. Chiedete, informatevi. Toccate con mano ogni pagina, leggete la quarta di copertina, la trama,  l'autore, la sua storia. Entrate nelle librerie, (non me ne voglia nessuno), meglio in quelle piccole, che si barcamenano ogni giorno per restare aperte. Dentro ci sono persone che amano i libri quanto voi. Li amano talmente tanto da essersi messi in gioco, di aver scelto di fare del libro, della lettura, la loro professione.
Entrate. Chiedete. Regalate un libro a Natale. Andate in quella piccola libreria, sì, quella all'angolo della strada. Quella sotto al portico che porta in città. Quella vicina al parco, alla  pasticceria. Sotto alle volte, vicino alla chiesa.
Ve ne saranno grati anche i libri. Li vedrete sorridere quando, scelti e scesi da uno scaffale o dalla vista curiosa di una vetrina, voleranno sulla carta lucida per essere impacchettati. I libri hanno bisogno d'amore e del calore dei nostri occhi e soffrono, nel grigiore d'uno scaffale dove, lavoratori sfruttati, stressati, infelici... bè lo sapete.

Buon Natale

venerdì 1 dicembre 2017

M'han detto





M'han detto

- sul palmo della mano è inciso il destino -

no
ho risposto
è un graffio quel segno


Il mio graffio alla vita

giovedì 30 novembre 2017

vorrei cambiare


Risultati immagini per divina marchesa


potrei cambiare...




dovrei cambiare il colore taumaturgico del mio viso

e convertire il tenero muschio delle mie labbra

nel velluto traditore delle foglie d'ortica




Attendere l'esplosione di tuoni e temporali

mentre non me ne frega niente




Attendere l'unico bagliore possente

mentre non me ne frega niente

di ciò che pensa il mondo

perchè non c'è mattino dove

la mia notte precipite negli occhi grandi del buio

non veda morire i grandi cuori

o li riveda vivere nel lampo che illumina

la bellezza struggente di un fiore nascosto

tra il sorriso nel muschio

mercoledì 29 novembre 2017

Frida Kahlo

Immagine correlata

Ho smesso di contare le volte in cui, arrivata alla seconda riga, ho cancellato e riscritto tutto nuovamente. Cercavo un inizio ad effetto, qualcosa di poetico e vero allo stesso tempo, qualcosa di grandioso, ma agli occhi. Non ci sono riuscita. Poi ho capito, ricordando ciò che non avevo mai saputo: che per i grandi cuori che muoiono nel corpo ma che continuano a battere nel respiro della notte, non ci sono canoni o bellezze regolari, armonie esteriori, ma tuoni e temporali devastanti che portano ad illuminare un fiore, nascosto, di struggente bellezza.


FK

lunedì 27 novembre 2017

sani di mente









Ho deciso di non salutare più i vicini. Spero non me ne vogliano. Li incontrerò sul pianerottolo, davanti all’ascensore? Nell’androne in basso al palazzo? Rimarrò muto, impassibile come una statua di pietra.
Perdonatemi, so che non è bello, ma non voglio correre rischi.
Non avete fatto caso che le persone normali che poi improvvisamente danno di matto e compiono delitti inenarrabili, erano tutte persone che salutavano i vicini?

- Ci può dire qualcosa del suo vicino? Che tipo era prima di stuprare l’inquilina novantenne dell’ultimo piano per poi gettarla dalla finestra dopo averle rubato la pensione dal cassetto del comò e averle infine strozzato i gatti lasciandone i corpi appesi come giacche nell’armadio nella casa che poi ha dato alle fiamme? - chiede col microfono in mano il giornalista della tivù del pomeriggio.
- Ma guardi, era tanto una brava persona. Salutava sempre.


Niente. Non batterò ciglio. Nemmeno un muscolo della mia faccia accennerà un movimento che somigli ad un ciao, ad un buongiorno, ad una buonasera.
Se questo è l’unico modo per rimanere sani di mente, vi tolgo il saluto







Simone Angelo Cannatà

stazioni





Senza nemmeno sapere perchè
ti lasciano un senso di smarrito
mentre colano giù
sciolte ai lati
da una pioggia veloce
e resti sospeso
sui  volti distorti di chi attende

Stupito dalla speranza accogliente
che forse
tra loro
qualcuno
aspettava te

giovedì 9 novembre 2017

"La vita non è quella che si è vissuta, ma quella che si ricorda e come la si ricorda per raccontarla." G.G. Marquez




Un ragazzo che conosco io festeggerà a giorni il suo diciottesimo compleanno e sta organizzando una festicciola con gli amici.
In tutto non saranno più di ottanta persone, mi diceva, ma siccome due o tre sono ancora in forse, allora è possibile che non siano più di settantasette o settantotto in tutto.
È matematica.

Ha cercato una bella sala in affitto, e questo oggi porta il nome di location. Ha concordato un servizio di catering con un noto ristorante della zona, prenotato gli addobbi floreali presso un fioraio (e sennò dove), si è sentito con una ditta di Salerno per i fuochi artificiali di mezzanotte.
- Per la musica verranno gli U2? - gli ho chiesto.
Mi ha guardato tra il serio e il costernato. No, suoneranno dei ragazzi amici suoi, ma qui in zona sono famosi e hanno migliaia di visite e di like su Youtube.
- Se hanno i like mi sento più sollevato - gli ho risposto sorridendo.

E avrei voluto continuare a sorridere, ma io sono uno che i pensieri diventano subito sole, o nuvole cupe che attraversano lo sguardo e non c’è niente da fare.

Mi sono ritrovato in un attimo nei miei diciott'anni. Li avrò festeggiati? Non lo ricordo esattamente, ma se ciò è stato, sarà stato con le modalità tipiche di quegli anni per le famiglie nella stessa condizione della mia.

Mia madre avrà preparato un Pan di Spagna farcito con uno strato di crema fatta in casa e uno strato di crema mischiata col cacao amaro: la nostra cioccolata. Per l'occasione della maggiore età avrà bagnato quel dolce con del vero caffè e non con acqua, zucchero e una punta di alchermes come faceva per i compleanni da bambino. Ma poi sono certo che si sarà pentita perché per crescere c'è sempre tempo e il caffè ai bambini non si da e allora lo avrà allungato per sicurezza con dell'acqua. Mi pare di vederla.

Avrò festeggiato con i soliti cinque o sei amici di sempre in un clima di serena normalità e senza neppure immaginare che appena tre anni dopo avrei firmato le mie prime cambiali.
"Farfalle", qualcuno le chiamava scherzosamente ed erano austere ed istituzionali, ma le firmai fiducioso e a cuor leggero perché avevo già un bel lavoro a tempo indeterminato, in cambio di una camera da letto in noce scuro che sapeva di mobile nuovo.

Lì avrei riposato per anni, stanco delle lunghe giornate di lavoro e sarei rimasto a contemplare estasiato il sonno beato di mia figlia appena nata, pieno di smorfie e di sorrisetti involontari.
La possibilità di un futuro era stata la mia vera festa.
Santa fu la sfera della penna Bic che scorrendo sulle “farfalle” aveva disegnato la mia firma e il contorno di una speranza di crescita. Di una prospettiva di vita.

Io vorrei dirti che parlo così per invidia. Perché diciott’anni li ho compiuti già tre volte e un pezzetto e dammi retta, nessuno è felice di invecchiare. Invece penso alla tua festa, ai contratti di lavoro precari, ad una instabilità che non ti permetterà alcun progetto. Alla tua firma che non vale un letto in noce scuro.

Non ti abbiamo consegnato un bel mondo, per questo forse ti facciamo festeggiare in grande, l’impossibilità di diventare grande.
Liberatevi di noi prima possibile e riprendetevi la vita.
Questo ti auguro, insieme ad una fetta di Pan di Spagna crema e cioccolata.


di SIMONE ANGELO CANNATA'

lunedì 16 ottobre 2017

il ritmo del ragù

Risultati immagini per Donna



sono affidabili i suoni del mio giorno
non fanno mai rumore
come gli sguardi impercettibili
di certe scelte che fa il cuore

come lo strimpellare audace
- bianco su nero -
di qualche nota di Chopin
o il ritmo del ragù di Amalia
col mestolo che gira nel tegame

Lontano
dalla strada
un soffice diavolio di voci
che talvolta anch'io ho chiamato vita

che batte col ritmo del metronomo
un tempo inesorabile che va

venerdì 6 ottobre 2017

quattro del mattino (uno)





scivola sulla schiena
al centro delle ali
un rivolo d'orgoglio gelido

chiamami carne
e cercami 
dovunque non sai

cercami se vuoi 
- ma non trovarmi mai -

martedì 4 luglio 2017

Tieniti a te

















Sta attenta
esci fuori d te
ma torna presto,
tornati presto, tornati in mente
pensati, ripensati, ripensaci
copriti bene
che gli uomini sono freddi
non fidarti di chi non parla bene del vento
tu esci fuori di te se vuoi
tenta tutto
apri le porte ai portenti
chiudi i cancelli a chi ti cancella
ma stai sempre attenta, mi raccomando,
torna presto, tornati in mente
tieniti forte, aggrappati, stringiti,
acchiappati stretta, afferrati,
ama con calma, respira con la pancia
vivi con calma
che là fuori è pieno di ti amo che non valgono un cazzo


(Tieniti a Te - Gio Evan)

venerdì 9 giugno 2017

Ecco ch’un’altra volta, o valle inferna

Isabella di Morra e Diego Sandoval de Castro


Isabella di Morra
(Favale, od. Valsinni, Matera, 1520-1548)

Terza degli otto figli del barone di Favale, alleato di Francesco I re di Francia, costretto ad emigrare, nel 1528, per la prevalenza spagnola nella penisola, vive nel castello avito con sette fratelli. Questi, sospettando una sua relazione sentimentale con don Diego Sandoval de Castro, nobiluomo e poeta spagnolo, sposato, che soggiorna di tanto in tanto nel suo castello nelle vicinanze, per difendere l’onore della famiglia la uccidono con il suo precettore e assassinano in un agguato lo stesso Diego. 








Le Rime dell’esiguo canzoniere dell’infelice poetessa (tredici composizioni, tra le quali questo sonetto) appaiono, postume, nel 1552.




              Ecco ch’un’altra volta, o valle inferna,
              o fiume alpestre, o ruinati sassi,
             o ignudi spirti di virtude e cassi,
             udrete il pianto e la mia doglia eterna.
5           Ogni monte udirammi, ogni caverna,
             ovunque io arresti, ovunque io mova i passi;
             ché Fortuna, che mai salda non stassi,
             cresce ognor il mio mal, ognor l’eterna.
             Deh, mentre ch’io mi lagno e giorno e notte,
10         o fere, o sassi, o orride ruine,
             o selve incolte, o solitarie grotte,
             ulule e voi, del mal nostro indovine,
             piangete meco a voci alte interrotte
             il mio più d’altro miserando fine.







NOTE

1 inferna: infernale (come un oscuro abisso).
2 fiume alpestre: il Sinni, dalle acque impetuose; ruinati sassi rocce scoscese.
3 cassi: privi.
7 salda: ferma.
8 l’eterna: lo prolunga, lo rende eterno.
10 fere: fiere.
12 ulule: gufi; e voi anche voi.
14 d’altro: di qualunque altro; fine: destino.

domenica 21 maggio 2017

Amami con il tuo cuore intero


7e0d8a8bb9ce369272c59fff8de1499d



Amami con il tuo cuore intero
o non darmi nessun amore,
l’amore a metà è una cosa povera,
né legame né libera…


Devi amarmi volentieri
Anche anima e corpo,
Altrimenti trova un nuovo amore
Ed addio a te.

Sara Teasdale

mercoledì 17 maggio 2017

I dolori del giovane Werther


Risultati immagini per holbeinsteg





17 Maggio 1771


Ho fatto conoscenze di ogni genere, però non ho ancora trovato la compagnia giusta. Non so proprio che cosa ho di tanto attraente per gli altri, sono sempre lì a cercarmi, e come mi si attaccano, e mi rincresce quando la nostra strada è la stessa per poco tempo. Se mi domandi com'è la gente da queste parti, ti devo rispondere: come dappertutto! Il genere umano è una cosa uniforme. Quasi tutti consumano la maggior parte del tempo per tirare a campare, e quel poco che gli resta li terrorizza a tal punto che cercano con ogni mezzo di sbarazzarsene. O destino dell'uomo! Però questa gente è buona davvero. Quando mi capita di lasciarmi andare e di godere con loro quei piaceri che sono rimasti all'uomo, come spassarsela con schietta cordialità attorno a un tavolo occupato da gente ammodo, o organizzare per tempo una gita, un ballo o qualcosa di simile, la cosa mi fa un effetto benefico; ma guai se mi metto a pensare che dentro di me ci sono tante altre energie che marciscono inutilizzate e che devo nascondere con cura. Ah, mi si stringe il cuore. E tuttavia essere incompresi è il nostro destino. Ahimè, l'amica della mia gioventù è scomparsa. Ah, se non l'avessi mai conosciuta! Mi direi sei un pazzo, cerchi quello che quaggiù non si trova; ma io l'ho avuta, il suo cuore io l'ho sentito, la sua grande anima, quando lei era presente mi sembrava di essere più di quanto non fossi perché era tutto ciò che potevo essere. Buon Dio, c'era forse una sola energia della mia anima inutilizzata? davanti a lei non ero forse capace di dipanare quel portentoso sentimento che permette al mio cuore di circonscrivere la natura? il nostro rapporto non era forse un intreccio senza fine delle più delicate sensazioni, dello spirito più arguto, le cui variazioni, manieracce comprese, erano tutte contrassegnate dall'impronta del genio? E adesso!... Ahimè gli anni che lei aveva più di me l'hanno condotta alla tomba prima. Non la dimenticherò mai, non dimenticherò mai la fermezza del suo animo, la sua divina comprensione. Qualche giorno fa ho incontrato un giovanotto, un certo V., un tipo schietto e in quanto a bellezza con una faccia davvero ben riuscita. È appena uscito dall'università, non che si reputi un pozzo di scienza, certo è che crede di saperne più degli altri. Deve comunque avercela messa tutta, lo si capisce da tante cose; insomma, la sua cultura è di tutto rispetto. Quando è venuto a sapere che disegno molto e che so il greco (due meteore in questo posto), si è rivolto a me e ha tirato fuori moltissime nozioni, da Batteux a Wood, da de Piles a Winckelmann, e mi ha garantito di aver letto da cima a fondo la prima parte della teoria di Sulzer, e che possiede un manoscritto di Heyne sullo studio delle civiltà antiche. L'ho lasciato dire. Anche di un altro brav'uomo ho fatto la conoscenza, l'intendente e funzionario giudiziario del principe, una persona schietta e cordiale. Dicono che sia una gioia unica vederlo circondato dai suoi figli, nove in tutto; in particolare si dice un gran bene della figlia maggiore. Mi ha invitato da lui, uno di questi giorni ci vado. Abita in una tenuta di caccia del principe, a un'ora e mezza da qui, dove ha avuto il permesso di trasferirsi dopo la morte della moglie, siccome stare in città e nel palazzo governativo gli riusciva penoso. Poi mi sono imbattuto in certi tipi strambi, dei quali tutto è insopportabile, segnatamente le loro proteste di amicizia.
A presto! questa lettera dovrebbe proprio garbarti: è tutta storica.


(J.W. von Goethe)

venerdì 12 maggio 2017

I dolori del giovane Werther


约翰·海因里希·威廉·蒂施拜因 Johann Heinrich Wilhelm Tischbein - 水木白艺术坊 - 贵阳画室 专业基础美术培训





12 maggio 1771


Io non so se spiriti ingannevoli si librino su questa contrada o se la calda, celeste fantasia che è nel mio cuore renda tutto così paradisiaco intorno a me. Ecco lì una fonte, una fonte alla quale io sono legato come Melusina alle sue sorelle. Tu scendi per un piccolo poggio e ti trovi dinanzi a un arco, da dove venti scalini ti conducono giù a una limpidissima acqua che sgorga da rocce marmoree. Il piccolo muro che chiude il recinto, gli alti alberi che l'ombreggiano intorno, la freschezza del luogo: tutto questo ha un non so che di piacevole e di attraente. Non passa giorno che io non sieda lì un'ora. Vengono dalla città le fanciulle ad attingere acqua, innocente e necessaria faccenda che una volta compivano le stesse figlie dei re. E quando sono lì, il mondo antico, patriarcale, rivive potentemente in me e ripenso come i nostri padri alla fontana stringevano e rompevano relazioni e come attorno alle fontane e alle sorgenti ondeggiassero spiriti benefici.
Oh colui che non può partecipare a questi sentimenti, non deve mai essersi dissetato a una fresca fontana dopo una faticosa passeggiata, in un giorno d'estate!







(J.W. von Goethe)

giovedì 27 aprile 2017

Temo un uomo di poche parole











Io temo un uomo di poche parole

io temo il silenzioso

un avvocato posso sgominarlo

un parlatore lo intrattengo a lungo

ma colui che soppesa mentre gli altri

spendono sino all'ultima sterlina

di tale uomo io sono diffidente

temo la sua grandezza







E. Dickinson

lunedì 24 aprile 2017

- John Donne -


Historic Hertfordians | Hertford College:

John Donne (Londra, 1572 – Londra, 31 marzo 1631) è stato un poeta, religioso e saggista inglese, nonché avvocato e chierico della Chiesa d'Inghilterra. Scrisse sermoni e poemi di carattere religioso, traduzioni latine, epigrammi, elegie, canzoni, sonetti e satire. Può essere considerato come il rappresentante inglese del concettismo durante il Siglo de Oro.

La sua poetica fu nuova e vibrante per quanto riguarda il linguaggio e l'invettiva delle metafore, specie se paragonato ai suoi contemporanei. Lo stile di Donne è caratterizzato da sequenze iniziali ex abrupto e vari paradossi, dislocazioni e significati ironici. La sua frequente drammaticità e i discorsi da ritmi giornalieri, la sua tesa sintassi e la sua eloquenza di pensiero furono sia una struggente reazione nei confronti dell'uniformità convenzionale della poetica elisabettiana sia un adattamento in inglese delle tecniche barocche e manieriste europee.

Celebre il suo sermone Nessun uomo è un'isola (meditazione XVII) citato da Ernest Hemingway in epigrafe a Per chi suona la campana, e da cui trae ispirazione un omonimo libro di Thomas Merton

(Wiki)



Nessun uomo è un'isola

" Nessun uomo è un'Isola,
intero in se stesso.
Ogni uomo è un pezzo del Continente,
una parte della Terra.
Se una Zolla viene portata via dall'onda del Mare,
la Terra ne è diminuita,
come se un Promontorio fosse stato al suo posto,
o una Magione amica o la tua stessa Casa.
Ogni morte d'uomo mi diminusce,
perché io partecipo all'Umanità.
E così non mandare mai a chiedere per chi suona la Campana:
Essa suona per te. "


John Donne




Elegia XIX: andando a letto



Vieni, mia Donna, vieni mio vigore sfida di ogni riposo,
finché mi affanno resterò in affanno.
Spesso il nemico avendo il suo nemico in vista
dalla sola presenza vien fiaccato, anche se non combatte.
Getta pur quel cinto che splende simile allo Zodiaco,
ma che nasconde al mio sguardo un mondo assai più bello.
Togli gli spilli dal pettorale cosparso di lustrini,
così che gli occhi dei maliziosi vi si possono fermare.
Slacciati, perché quell'accordo armonioso
mi dice di esser già l'ora di recarsi a letto.
Via quel busto felice, che invidio,
perché può starti così stretto.
E via la gonna che svela una tanto bella condizione,
come quando dai campi fioriti l'ombra dei colli si fugge.
Via il diadema tenace, ed esso mostri
il diadema fluente dei capelli che da te si leva:
e ora via quelle scarpe, posa il tuo piede libero
in questo sacro tempio dell'amore, su questo soffice letto.
In vesti così bianche che gli Angeli del cielo erano soliti
essere accolti dagli uomini; Angelo, conduci insieme a te
un cielo simile al Paradiso di Maometto; e sebbene
cattivi spiriti biancovestiti passino, noi facilmente riconosciamo
questi Angeli da uno spirito malvagio,
quelli rizzano i nostri capelli, ma questi ci rizzano la carne.
Dona licenza alle mie mani erranti, lasciale andare
avanti e indietro, in mezzo, sopra e sotto.
Oh mia America! Mia nuova terra scoperta,
mio regno, più sicuro se solo un uomo lo domina,
miniera di pietre preziose, mio Impero,
come sono benedetto in questo mio scoprirti!
Entrare in questi ceppi significa essere liberi;
dove metto la mia mano sarà il mio suggello.
Completa nudità! Tutte le gioie a te sono dovute,
come le anime si separano dal corpo, così i corpi si devono spogliare
per gustare la gioia interamente. Le gemme che voi donne usate
sono come i miei dorati pomi d'Atlanta, davanti allo sguardo degli uomini,
tali che quando l'occhio di uno stupido s'illumina a una gemma
la sua anima terrena non vuole la donna, ma vuole i suoi beni.
Come dipinti, o come gaie rilegature di libri
fatte per i profani, così sono le vesti delle donne;
in sè le donne sono libri mistici che solo noi,
fatti degni della loro grazia, vediamo rivelati.
E poiché io sono chiamato a conoscere tanto,
liberamente mostrati come a una levatrice;
getta via tutto, si, getta i tuoi bianchi lini:
all'innocenza nessuna penitenza è mai dovuta.



Per insegnarti, per primo ecco son nudo; allora dunque,
per coprirti che altro ti occorre più di un uomo?


John Donne

venerdì 14 aprile 2017

Le origini la storia e la leggenda dell'uovo di Pasqua




BUONA PASQUA
DA L'ISOLA di E'RIU!





L'uovo di Pasqua è un dolce della tradizione pasquale, divenuto nel tempo uno dei simboli della stessa festività della Pasqua cristiana, assieme alla colomba. La tradizione del classico uovo di cioccolato è recente, ma il dono di uova vere, decorate con qualsiasi tipo di disegni o dediche, è correlato alla festa pasquale sin dal Medioevo.

Le origini della simbologia dell’uovo risalgono a tempi antichissimi, addirittura precedenti alla nascita della religione cristiana. Il simbolo principale che ha da sempre rappresentato l’uovo è quello della vita, ma anche quello che riguarda la sacralità ha rivestito un ruolo importante, già da millenni prima di Cristo.

Alcune culture pagane consideravano il cielo e la terra come due parti che unite formavano un uovo, mentre gli egiziani ritenevano che fosse il centro dei quattro elementi: terra, aria, fuoco e acqua.

Per quanto riguarda la tradizione di donare uova, si hanno documentazioni dai tempi degli antichi Persiani, che erano soliti scambiarsi le uova di gallina (a volte sommariamente decorate a mano) al principio della primavera. Quindi l’uovo, seguendo un filo conduttore logico, rappresenta dapprima la vita, poi la primavera e dunque la rinascita, andando poi a delinearsi, con l’avvento del cristianesimo, come simbolo della risurrezione, appunto della rinascita dell’Uomo.

L’uovo è oggi una pietanza tipica delle festività pasquali: prima, infatti, veniva conservato durante la Quaresima, a causa del digiuno, per venire poi consumato successivamente. La tradizione balcanica e quella greco ortodossa prevedono la preparazione dell’uovo (rassodamento e decorazione con il colore rosso) durante il giovedì santo ed il suo consumo durante il giorno di Pasqua.

Ma è l’uovo di cioccolata quello che ha avuto la sua maggiore diffusione, soprattutto a partire dal XX secolo, e vanta il maggior consumo durante il periodo pasquale. E l’aggiunta, al suo interno, di un regalo è stata probabilmente la molla che ha fatto incrementare la sua popolarità in ambito commerciale, in particolar modo tra i più piccoli. Di fatti, fino a pochi decenni fa, la preparazione delle uova di cioccolato era di pertinenza di esperti artigiani cioccolatai, ma in tempi più recenti l’incremento nella richiesta ha reso necessario un processo di tipo industriale. Certo, le uova artigianali restano pregiate, ma la loro diffusione è nettamente inferiore rispetto a quelle commerciali. Adesso è anche possibile optare per differenti tipi di cioccolata, sempre più soggetta ad inchieste di marketing, come quella di soia, quella aromatizzata alla frutta, quella al peperoncino e tanti altri tipi, oltre ovviamente al classico binomio fondente – al latte.

La fortuna delle uova commerciali è da collegarsi alla presenza, al loro interno, dei giocattoli più in voga del momento che, di fatto, trasformano le uova in meri contenitori di prodotti, togliendo loro tutto il senso intrinseco che possedevano un tempo. Così il cioccolato passa in secondo piano, così come la sua qualità.

In alcune aree del mondo, però, la vera tradizione non è ancora stata persa e all’uovo di cioccolata viene ancora preferito quello classico della gallina; in modo particolare gli ortodossi, che vedono nell’uovo di cioccolata l’immagine di una mera strumentalizzazione consumistica della Pasqua.

La tradizione italiana prevede il consumo dell’uovo di cioccolato dopo il pranzo, anche se ora la forte influenza commerciale ha anticipato i tempi di diverse settimane.

Lo scambio di uova prima del Cristianesimo

L'uovo ha avuto marcati tratti simbolici sin dai tempi antichi, come nel caso del simbolo dell'uovo cosmico. Le uova, infatti, hanno spesso rivestito il ruolo del simbolo della vita in sé, ma anche della sacralità: secondo alcune credenze pagane e mitologiche del passato, il cielo e il pianeta erano considerati due emisferi che andavano a creare un unico uovo, mentre gli antichi Egizi consideravano l'uovo come il fulcro dei quattro elementi dell'universo (acqua, aria, terra e fuoco).

La tradizione del dono di uova è documentata già fra gli antichi Persiani, dove era diffusa la tradizione dello scambio di semplici uova di gallina all'avvento della stagione primaverile, seguiti nel tempo da altri popoli antichi quali gli Egizi, i quali consideravano il cambio di stagione una sorta di primo dell'anno, i Greci e i Cinesi. Spesso le uova venivano rudimentalmente decorate a mano.

L'uovo pasquale nel Medioevo

L'usanza dello scambio di uova decorate si sviluppò poi anche, nel Medioevo come regalo alla servitù. Nel medesimo periodo l'uovo decorato, da simbolo della rinascita primaverile della natura, divenne con il Cristianesimo il simbolo della rinascita dell'uomo in Cristo. La diffusione dell'uovo come regalo pasquale sorse probabilmente in Germania, dove si diffuse la tradizione di donare semplici uova in occasione di questa festività.

Un uovo Fabergé.

Sempre nel Medioevo prese piede anche una nuova tradizione:la creazione di uova artificiali fabbricate o rivestite in materiali preziosi quali argento, platino ed oro, ovviamente destinata agli aristocratici e ad i nobili. Edoardo I, re d'Inghilterra dal 1272 al 1307, commissionò la creazione di circa 450 uova rivestite d'oro da donare in occasione della Pasqua.

L'uovo di Pasqua oggi

Uova di Pasqua colorate in rosso, tipiche della tradizione cristiana di rito orientale. In diverse tradizioni pasquali l'uovo continua a mantenere un ruolo durante tutto il periodo delle festività. Durante il periodo di Quaresima, in virtù del digiuno, le uova vengono spesso non consumate ed accumulate per il periodo successivo. Nella tradizione balcanica e greco ortodossa l'uovo, di gallina, cucinato sodo, da secoli viene colorato, tradizionalmente di rosso, simbolo della Passione, ma in seguito anche di diversi colori, in genere durante il giovedì santo, giorno dell'Ultima Cena, e consumato a Pasqua e nei giorni successivi. Il giorno di Pasqua, in molti riti, si compie la benedizione pubblica delle uova, simbolo di resurrezione e della ciclicità della vita, e la successiva distribuzione tra gli astanti.

Prima del consumo, in particolare nella tavolata di Pasqua, ognuno sceglie il proprio uovo e ingaggia una gara (τσούγκρισμα) con i commensali, scontrandone le estremità, fino ad eleggere l'uovo più resistente. Questo viene considerato di buon augurio. Le colorazioni vengono effettuate attualmente con coloranti alimentari tipici della pasticceria, ma in passato si utilizzavano prodotti vegetali, tra cui la buccia esterna delle cipolle di varietà rossa.

Immagine correlata

Successivamente, prevalentemente nell'ultimo secolo è invalso l'uso dell'uovo di cioccolata, arricchito al suo interno da un piccolo dono. Se fino a qualche decennio fa la preparazione delle classiche uova di cioccolato era per lo più affidato per via artigianale a maestri oggi l'uovo di Pasqua è un prodotto diffuso soprattutto in chiave commerciale. La preparazione delle uova di Pasqua delle più svariate dimensioni trova inizio anche più di un mese prima del giorno della Pasqua, come effettivamente accade anche per l'albero di Natale nel periodo natalizio. La produzione delle uova di cioccolato, in Italia, è affidato per la maggiore alle grandi ditte dolciarie. Attualmente, però, sembrano trovare ampi campi di diffusione le uova a tema, cioè uova di Pasqua incentrate su un cartone animato, un film o una squadra di calcio.

Alcuni ovetti di Pasqua in cioccolato.Ciò nulla toglie alle classiche uova di cioccolato preparate artigianalmente che sono tuttora molto diffuse, soprattutto all'estero. In altri paesi, come la Francia, è tradizione istituire in aree verdi delle cacce pasquali al tesoro, in cui le uova, preparate artigianalmente e di dimensioni ridotte, vengono nascoste fra gli alberi e vengono poi ritrovate dai bambini. Tale tradizione sta oggi però affievolendosi per via della diffusione globale dell'uovo pasquale prodotto e distribuito commercialmente.

In molti altri paesi, infine, all'uovo di cioccolato viene ancora anteposto l'uovo di gallina solitamente cucinato sodo. Anche nei paesi di religione ortodossa, tuttavia, permane la tradizione delle uova di gallina, in risposta alla diffusione delle uova prodotte commercialmente, giudicate dagli ortodossi una strumentalizzazione consumistica della Pasqua. In Italia l'uovo sodo come simbolo pasquale è rimasto presente soprattutto accompagnato dalla tradizionale colomba pasquale o durante il pranzo. Anche in Arabia l'uovo di Pasqua rappresenta la resurrezione di Gesù.


domenica 9 aprile 2017

Il rubinetto triste

facce negli oggetti


Nella presta mattinata
stanca ancor più
di quando m'ero coricata
ho aggredito il rubinetto
tutta la notte ha fatto gocce
e lo credevo rotto

Scendean
e non avean resa
una poi l'altra
in rapida discesa

Mi sono avvicinata
con la pinza aperta
senza sapere
dove metter mano
e intanto
goccia su goccia
un liquido azzurrino
scendeva piano

piano

Osservavo
il pianto suo
farsi di - rotto

Intanto
un altro rubinetto
più emotivo
dilagava su in cucina
al quarto piano

Era in subbuglio
tutto il caseggiato
chi cacciava viti
chi urletti da soprano
chi sosteneva
: -  E' il dado!
Dev'essere svitato...

Nel fondo del piazzale
d'improvviso
un tonfo sordo

Morta era
ahimè
la tubatura principale

Ci guardammo tutti
tristi in volto
e lentamente
dai bassi fino agli alti piani
i rubinetti che dalla notte
di quell'agonia
sapevan tutto

cessarono di piangere
quel prematuro lutto

sabato 8 aprile 2017

Inutile istante




Attingo
ad una sera d'autunno
quando la pioggia scendeva
contemporaneamente
alla sera

Inutile istante
spalmato nel grigio di piombo
frenato dal rosso
di un'auto che passa
un attimo inutile
un momento di nulla
senza pensieri
lasciando alitare
il mio fiato a sfumare

-dai vetri-

il contorno del mondo

domenica 19 marzo 2017

Al mio cuore di domenica


Risultati immagini per dipinto cuore


Ti ringrazio, cuore mio:
non ciondoli, ti dai da fare
senza lusinghe, senza premio,
per innata diligenza.


Hai settanta meriti al minuto.
Ogni tua sistole
è come spingere una barca
in mare aperto
per un viaggio intorno al mondo.


Ti ringrazio, cuore mio:
volta per volta
mi estrai dal tutto
separata anche dal sonno.


Badi che sognando non trapassi in quel volo,
nel volo
per cui non occorrono le ali.


Ti ringrazio, cuore mio:
mi sono svegliata di nuovo
e benché sia domenica,
giorno di riposo,
sotto le costole
continua il solito viavai prefestivo.

W. Szimborwska

giovedì 16 marzo 2017

Mio uomo di vento




A te Uomo di Vento

traspaiono i monti dai passi e dal petto

dagli occhi

nascosti raggi di luce


Guitto

se il mio animo tace



Sponda di fiume

io docile mare



Guizzo d'un pesce volante

trillo e sonagli

io silenzio


Spada

io ombra scontrosa



Il mio  uomo nel vento

io foglia - insetto - azzurro

lui vela




domenica 12 marzo 2017

Gnòsi delle Fanfole -


TOPAZIA ALLIATA, Ritratto di alpinista (Fosco Maraini), 1933, olio su tavola di legno, 73x63, Coll. Eredi Maraini LD
TOPAZIA ALLIATA
- Ritratto di alpinista  -
(Fosco Maraini)




Fosco Maraini nasce a Firenze il 15 novembre 1912 da Antonio Maraini, noto scultore di antica famiglia ticinese, e da Yoi Crosse, scrittrice di padre inglese e madre polacca.
Maraini trascorre l’infanzia e l’adolescenza a Firenze compiendo coi genitori frequenti viaggi in Italia, Inghilterra, Svizzera, Francia e Germania. I legami familiari della madre con il Sud Africa, l’India e diversi altri paesi del mondo, nonché una spiccatissima e precoce curiosità per l’Oriente. 
A ventidue anni s’imbarca come insegnante d’inglese dei cadetti dell’Accademia Navale di Livorno, in crociera con la nave scuola “Amerigo Vespucci”, verso le coste del Medio Oriente. 
Ha modo così di visitare l’Egitto, il Libano, la Siria e la Turchia. Nel 1935, sposa Topazia Alliata, discendente di un’antica casata siciliana, dal matrimonio con la quale nasceranno le tre figlie Dacia (1936), Yuki (1939) e Toni (1941). 
Nel 1937 parte al seguito del celebre orientalista Gieseppe Tucci per una lunga spedizione in Tibet. Questa esperienza convince definitivamente Fosco Maraini a dedicarsi alla ricerca etnologica e allo studio delle culture orientali. Tornato in Italia, conclude i suoi studi, laureandosi nello stesso anno in Scienze Naturali all’Università di Firenze. L’occasione di dedicarsi pienamente alla ricerca etnologica gli è offerta da una borsa di studio per ricercatori stranieri messa a disposizione della Kokusai Gakuyu Kai, un’agenzia del Governo giapponese. Nel 1939 si trasferisce con la famiglia a Sapporo, nell’isola di Hokkaido, dove effettua una serie di ricerche e di studi, incentrata sui caratteri dell’arte, della religione tradizionale e dell’ideologia degli Ainu, il “popolo bianco” del Giappone. I risultati di tali indagini sul campo verranno pubblicati a Tokyo nel 1942 in un importante lavoro monografico intitolato Gli Iku­bashui degli Ainu. Nello stesso anno pubblica, in lingua giapponese, un rèportage fotografico sui popoli del Tibet (Chibetto). Tra il 1942 e il 1943, lasciata Sapporo, ricopre l’incarico di lettore di lingua italiana all’Università di Kyoto. Dopo l’8 settembre, rifiutandosi di aderire alla Repubblica di Salò, Maraini, insieme alla sua famiglia e a un’altra trentina di residenti italiani in Giappone, viene internato in un campo di concentramento a Nagoya,; vi rimarrà sino al 15 agosto 1945. Dopo la fine della guerra rimane a Tokyo, lavorando per un anno come interprete dell’VIII Armata Americana. Nel 1948, subito dopo il ritorno in Italia, Maraini parte per un secondo viaggio in Tibet con Giuseppe Tucci. Da questa esperienza nascerà, dopo qualche anno di gestazione, Segreto Tibet, volume che verrà tradotto in dodici lingue e che porterà il lavoro etnologico e lo stile narrativo di Maraini all’attenzione del pubblico internazionale. Nel 1953, Maraini ritorna in Giappone dove gira una serie di documentari etnografici. Fra i documentari, oggi purtroppo in gran parte perduti, ricordiamo: Gli ultimi Ainu, incentrato sulla cerimonia dello iyomande; Ai piedi del sacro Fuji sulla vita rurale giapponese, sull’architettura tradizionale e sul ritualismo scintoista; L’isola delle Pescatrici, girato – in parte con riprese subacquee – fra le Ama delle piccole isole di Hékura e Mikurìa, nell’arcipelago delle Nanatsu­to, la cui peculiarità etnologica Maraini propose per la prima volta all’attenzione del mondo occidentale. In quegli stessi anni, contestualmente alla ricerca visiva, Maraini raccoglie numeroso materiale che adopererà per la pubblicazione di tre volumi: Ore giapponesi del 1956 (tradotto in cinque lingue), L’isola delle Pescatrici del 1969 (tradotto in sei lingue) e, infine, Japan.Patterns of Continuity (1971), monografia illustrata sul Giappone, che a sinora conosciuto dodici ristampe ed è stata tradotta in diverse lingue. Nel 1958, Maraini – da tempo appassionato alpinista – viene invitato dal Club Alpino Italiano alla spedizione nazionale al Gasherbrum IV ( 7980 m. ) nel Karakorum. L’anno successivi è capo della spedizione italiana al Picco Saraghrar nell’Hindu­Kush. Il resoconto alpinistico ed etnografico di queste spedizioni costituisce l’argomento dei due volumi G4­ Karakorum, del 1959, e Paropàmiso, del 1960, che vengono ambedue tradotti in più lingue. Fra il 1959 e il 1964, su invito del professor Richard Storry, lavora come ricercatore associato (fellow) presso St. Antony’ s College (Dipartimento di Civiltà dell’Estremo Oriente) di Oxford. In quegli stessi anni, per conto dell’editore italiano De Donato compie un lungo viaggio attraverso l’Asia, toccando l’India, il Nepal, la Thailandia, la Cambogia, il Giappone e la Corea. Nel 1966 torna in Giappone, dove lavora per una grande casa editrice ed effettua studi sulla civiltà e la cultura di quel paese. Fra il 1968 e il 1969, trascorre parecchi mesi a Gerusalemme dove raccoglie materiale per la pubblicazione di uno dei più bei volumi apparsi su quella città: Jerusalem, Rock of Ages, pubblicato dalla Harcourt Brace di New York. Nel 1970, il Ministero degli Affari Esteri lo nomina direttore delle pubbliche relazioni al Padiglione Italia dell’Esposizione Universale di Osaka. Lo stesso anno sposa in seconde nozze la sua attuale compagna Mieko Namiki. Nel 1972 Maraini ritorna a Firenze dove gli viene affidato l’incarico di Lingua e Letteratura Giapponese presso la Facoltà di Magistero dell’Università degli Studi, incarico che lascia nel 1983 per raggiunti limiti d’età. Sempre nel 1972, fonda l’Associazione italiana per gli Studi Giapponesi ( AISTUGIA ) di cui è stato presidente fino alla morte. Fra i volumi pubblicati negli anni settanta ricordiamo: Incontro con l’Asia (1973), Tokyo, pubblicato in cinque lingue nella collana “Great Cities of the World” e Giappone e Corea, pubblicato nel 1978 sia nell’edizione italiana sia in quella francese. Nel 1980 pubblica con Giuseppe Giarrizzo un volume sulla civiltà contadina in Italia, in cui appare per la prima volta il materiale fotografico raccolto nel Meridione e in Sicilia negli anni immediatamente successivi alla guerra.
 Negli anni Novanta, Maraini ha continuato a rivedere ed ad approfondire i suoi studi giapponesi 
( L’àgape celeste, 1995; Gli ultimi pagani, 1997) e ha pubblicato alcuni volumi di squisito contenuto letterario scritti, a partire dalla fine degli anni cinquanta, come puro divertissement, in un chimerico linguaggio “metasemantico”: Gnosi delle Fànfole (1994) e Il Nuvolario (1995). Su espresso desiderio di Maraini e grazie all’intervento dell’Ente Cassa di Risparmio di Firenze, la sua biblioteca orientale e la fototeca delle immagini da lui riprese nel corso della sua vita sono state acquisite dal Gabinetto Scientifico Letterario G.P. Vieusseux, costituendo la base sulla quale è nato il Programma da Maraini stesso battezzato “Vieusseux­Asia”. Nelle intenzioni di Maraini i materiali da lui raccolti dovrebbero infatti garantire a Firenze e alla Toscana la disponibilità di strumenti per la conoscenza dell’Asia Orientale tali da garantire la ripresa di quell’interesse che era stato fino agli anni Trenta del Novecento così vitale. Nel 1999 il Gabinetto Vieusseux ha promosso una grande mostra antologica delle sue fotografie, Il Miramondo, esposta al Museo Marino Marini a Firenze, poi alla Galleria Nazionale d’Arte Moderna di Roma e all’Istituto Giapponese di cultura e quindi a Tokyo, al Museo Metropolitano di Fotografia. Nel 2001 il Gabinetto Vieusseux ha promosso e pubblicato il cospicuo volume Firenze, il Giappone e l’Asia Orientale. Nel 2003 sempre al Gabinetto Vieusseux si è tenuto il convegno internazionale dedicato a Relazioni tra scienza e letteratura in Oriente e in Occidente La sua biografia in forma romanzata è stata pubblicata da Mondadori con il titolo Case, amori, universi. Negli ultimi tempi, profondamente colpito dalla strage delle Torri Gemelle, si era dedicato con appassionato impegno allo studio dei rapporti tra Islam e Occidente, riconsiderando le sue esperienze dirette di incontro con la cultura islamica. 
Fosco Maraini è morto a Firenze martedì 8 giugno 2004





Risultati immagini per fosco maraini topazia alliata
Fosco Maraini





Poesie tratte da:

" Gnòsi delle Fanfole"

di Fosco Maraini

Bottiglie

Non siamo tutti simili a bottiglie
ripiene di ricordi e cronicaglie?
Bistròccoli, fruschelli, filaccetti
ricolmano le pance trasparine,
fanfàggini, birìllidi, nulletti
s’asserpano in ghirlande cilestrine…
Se scuoti la bottiglia sgrengoluta
risorgono megoni e gastrifèmi,
rispuntano tra mèmmola grognuta
nascosti vercigogni e schifilemi.
Talvolta vedi invece lumigenti
miriàgoli, trigèridi, fernuschi,
e piangi su gavati struggimenti
finiti coi patassi fra i rifiuschi.
Non tornano a rivivere le facce
d’amici e d’amorilli luscherosi?
Risplòdono le voci, le morcacce
d’incontri cuspidiali e trucidiosi!
Poi un giorno la bottiglia si tracassa,
il vetro si sbiréngola nel sole
in croccherucci verdi, in patafrassa,
tra l’erbe cucche e cionche di pagliòle.
Ahi dove sono allora i gaviretti,
i nobili tracordi, i rimembrili.
i càccheri, gli smèrmidi, i frulletti,
i mòrfani, gli sghèfani gentili?
Sdrafànico mistero di bottiglia
bottiglia di sdrafànico mistero.



Il giorno ad urlapicchio

Ci son dei giorni smègi e lombidiosi
col cielo dagro e un frònzero gongruto
ci son meriggi gnàlidi e budriosi
che plògidan sul mondo infrangelluto,

ma oggi è un giorno a zìmpagi e zirlecchi
un giorno tutto gnacchi e timparlini,
le nuvole buzzìllano, i bernecchi
ludèrchiano coi fèrnagi tra i pini;

è un giorno per le vànvere, un festicchio
un giorno carmidioso e prodigiero,
è il giorno a cantilegi, ad urlapicchio
in cui m'hai detto "t'amo per davvero".


Post più popolari

W. Shakespeare SONNET116

W. Shakespeare SONNET116
Non sia mai ch'io ponga impedimenti all'unione di anime fedeli; Amore non è Amore se muta quando scopre un mutamento o tende a svanire quando l'altro s'allontana. Oh no! Amore è un faro sempre fisso che sovrasta la tempesta e non vacilla mai; è la stella-guida di ogni sperduta barca, il cui valore è sconosciuto, benché nota la distanza. Amore non è soggetto al Tempo, pur se rosee labbra e gote dovran cadere sotto la sua curva lama; Amore non muta in poche ore o settimane, ma impavido resiste al giorno estremo del giudizio: se questo è errore e mi sarà provato, io non ho mai scritto, e nessuno ha mai amato. W. Shakespeare

J.W. GOETHE

J.W. GOETHE
Si dovrebbe, almeno ogni giorno, ascoltare qualche canzone, leggere una bella poesia, vedere un bel quadro, e, se possibile, dire qualche parola ragionevole. Johann Wolfgang Goethe

Elenco blog personale