POESIE

venerdì 27 gennaio 2017

Genocidio



Treccani

genocìdio (raro genicìdio) s. m. [comp. del gr. γένος «stirpe» e -cidio: voce coniata in forma ingl. (genocide) dal giurista polacco R. Lemkin nel 1944 e pubblicamente usata nel processo di Norimberga (1946)]. – Grave crimine, di cui possono rendersi colpevoli singoli individui oppure organismi statali, consistente nella metodica distruzione di un gruppo etnico, razziale o religioso, compiuta attraverso lo sterminio degli individui, la dissociazione e dispersione dei gruppi familiari, l’imposizione della sterilizzazione e della prevenzione delle nascite, lo scardinamento di tutte le istituzioni sociali, politiche, religiose, culturali, la distruzione di monumenti storici e di documenti d’archivio, ecc.



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Corsi e ricorsi. 

Siamo certi che non dimentichiamo?

domenica 22 gennaio 2017

Mind (1)



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In questi giorni

di legno acerbo


che premono al mio corpo

con rami che trasudano

linfa profumata

_che s'invena chiara

e mi fa trasparente_



sono terra migrata

l'isola dormiente

la me sognante

disegnata a tinte lievi

sulla linea lunga

d'orizzonte

sabato 14 gennaio 2017

Carteggi d'amore: Sibilla Aleramo e Dino Campana (parte seconda)




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Epistola III




Sibilla a Dino




Chiudo il tuo libro,

snodo le mie treccie,

o cuor selvaggio,

musico cuore…


con la tua vita intera

sei nei tuoi canti

come un addio a me.

Smarrivamo gli occhi negli stessi cieli,

meravigliati e violenti con stesso ritmo andavamo,

liberi singhiozzando, senza mai vederci,

ne mai saperci, con notturni occhi.


Or nei tuoi canti

la tua vita intera

è come un addio a me.


Cuor selvaggio,

musico cuore,

chiudo il tuo libro,

le mie treccie snodo…


Sibilla Aleramo




Mugello, 25-7-1916.








Epistola V



Sibilla a Dino


Topaia, 28 luglio 1916, Borgo San Lorenzo


La solitudine ed io siamo buone compagne, perfino quando, come oggi, c’è un cielo pesante, e nella fattoria accanto bufonchia la “macchina”.

Ho sentito molto il vostro spirito qui attorno, in questi giorni.

Ho guardato sulla vecchia carta dov’è Firenzuola. Più su di Marradi.

Vivere un poco sotto la tenda – perché no? Sebbene sarebbe rischioso. Devo guardarmi dal freddo e dall’umidità, dopo un attacco d’artrite che m’ha colta a tradi- mento, due o tre anni fa. Non sono più giovane, lo sapevate? Però ancora buona camminatrice – cotesta occhiata agli Apennini la darei volentieri, con voi. Quando vi dico che mi riguardo, non intendo mica conservarmi per la vecchiaia… Ma la malattia mi fa orrore, la mia santità non arriva fino ad accettar l’infermità…

Insomma, se venissi a trovarvi costassù come mi dovrei equipaggiare?

Vogliamo intanto vederci per un giorno a Marradi? Se non v’annoia troppo, se non siete troppo lontano. Io potrei venire, mettiamo, mercoledì o giovedì, col primo treno (8.55), e voi dirmi dove m’aspettereste. Credo che ci si riconoscerebbe facilmente.

Mi racconterete a voce quali altri tic bisogna perdonarvi, oltre a quelli che bisogna ignorare. Uomo diffidente! Se fossi una predicatrice, vi direi di imitarmi, che non ho mai fatto a nessuno, ne in terra ne in cielo, l’onore di chiamarlo mio “nemico”.

Ed è per diffidenza postale che m’avete scritto in francese? Non vi venga in mente qualche altro giorno di farlo in inglese o tedesco, che non capisco, né in spagnolo.

Quella vostra Pampa, che cielo alto! Se ci si incontra a Marradi, mi darete il vostro libro e i miei articoli. Sono contenta che vi sian piaciute quelle righe di ricordo sulla mia infanzia. Vogliatemi bene.


Sibilla Aleramo







Epistola VII


Sibilla a Dino


Villa La Topaia, Borgo S. Lorenzo, 31 luglio – 1 agosto 1916


Mio caro Cloche,

incomincio a farmi un’idea della topografìa dei nostri rispettivi eremi. Dal canto vostro avete da sapere che io mi trovo più vicino a Panicaglia che a Borgo. Alla stazione di Panicaglia si va in 15 minuti attraverso i campi, mentre a quella di Borgo ci vuole un’ora buona. Vi direi di venire voi senz’altro, ma vedo che preferite che venga io costà, e va bene, poiché sperate che il posto m’invogli a tornare. Prenderò dunque l’automobile a S. Piero giovedì mattina alle sette e scenderò a Rifredo, a meno che il conduttore non mi dica che Barco vien prima, nel qual caso voi m’aspetterete a Barco, sta bene? Non occorre rispondiate, se va bene. E io spero che nulla m’impedisca di venire ‘. Forse resterò anche la sera – siamo poeti notturni, le stelle ci propizieranno l’avvenire -. Se foste venuto qui, la prima impressione che v’avrei fatta sarebbe stata forse migliore, senza cappello e tutti gli altri imbarazzi del viaggio… Ridete? Ma voi mi prospettate la vostra testa rossa e la vostra aria da gentil garzoni…

Mio caro Campana. Ho un tono scherzoso, ma voi sentite quanto in realtà sia profonda la mia tenerezza. Vi ringrazio d’avermi scritto quelle parole sul dolore patito a Marradi. Vi saprò dir poco, a voce, sono una silenziosa, ma vedrete che il travagliato nodo della mia anima lascia tuttavia al mio volto e al mio silenzio un poco di chiarità.


Vostra Sibilla



Epistola IX



Sibilla a Dino


Villa La Topaia, Borgo S. Lorenzo, domenica-lunedi, 6-7 agosto 1916


Perché non ho baciato le tue ginocchia?

Avrei voluto fermare quell’automobile giù per la costa, tornare al Barco a piedi, nella notte, che c’è il tuo petto per questa bambina stanca.

Tornare. Come una bambina, questa del ritratto a dieci anni. Non quella che t’ha portato tanto peso di storie di memorie affannose, che t’ha parlato come se stesse ancora continuando il suo povero viaggio disperato, come se non ti vedesse, quasi, e non vedesse lo spazio intorno, le querele, l’acqua, il regno mitico del vento e dell’anima Tu che tacevi o soltanto dicevi la tua gioia. Sentivi che la visione di grandezza e di forza si sarebbe creata in me non appena io fossi partita? Nella tua luce d’oro. E non ho baciato le tue ginocchia.

I nostri corpi su le zolle dure, le spighe che frusciano sopra la fronte, mentre le stelle incupiscono il ciclo.

Non ho saputo che abbracciarti. Tu che m’avevi portata cosi lontano. Che il giorno innanzi ascoltavi soltanto l’acqua correr fra i sassi. Oh, tu non hai bisogno di me!

È vero che vuoi ch’io ritorni? Come una bambina di dieci anni. È vero che mi aspetti? Rivedere la luce d’oro che ti ride sul volto. Tacere insieme, tanto, stesi al sole d’autunno. Ho paura di morire prima. Dino, Dino! Ti amo. Ho visto i miei occhi stamane, c’è tutto il cupo bagliore del miracolo. Non so, ho paura. È vero che m’hai detto amore! Non hai bisogno di me. Eppure la gioia è cosi forte. Non posso scriverti. Verrò il 19. dovunque. Il 14 resterò qui; a Firenze andrò poi per un giorno. Son tua. Sono felice. Tremo per te, ma di me son sicura. E poi non è vero, son sicura anche di te, vivremo, siamo belli. Dimmi. Io non posso più dormire, ma tu hai la mia sciarpa azzurra, ti aiuta a portare i tuoi sogni? Scrivimi.




Epistola X



Dino a Sibilla


Casetta di Tiara, Firenzuola, 7 agosto 1916


Leggo il Rubayat di Ornar Kaimar. Questo libro è eccellente e ben tradotto. Benché vi abbia appena stretto la mano bella dubitosa vi vedo qua in fondo ai pensieri e in fondo al paesaggio. Pura bellezza oro dell’occaso qualche cosa che conta nella solitudine dice Ornar Kaimar e dice bene, nella febbre del crepuscolo tra i grandi boschi.

giovedì 12 gennaio 2017

Carteggi d'amore: Sibilla Aleramo e Dino Campana





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Epistola I


Dino a Sibilla



Barco, Rifredo di Mugello, 22 luglio 1916

Egregia Sibilla
Vorrei scrivervi ma non posso. Sono orribilmente annoiato. Conoscete Walt Whitman? Non capisco come facciate a vivere a Firenze e a conoscere certa gente. Non parlo di Cecchi che stimo e di Baldini.Studierò un tipo di voi. Bisognerebbe che avessi il vostro ritratto.
Guardatevi da S. Francesco. Una pecorella e voi? Vi preferisco cosi. Mi avete riconosciuto per italiano: credo, egregia Sibilla, che non avrò eredi. Anderò col mio famoso fardello dove anderò. Finita la guerra non esisterò più ammesso che esista ancora. Vi prego, se potete di trovarmi qualche acquirente per il mio libro. Lo invierò immediatamente. Vi bacio la mano

Dino Campana





Epistola II


Sibilla a Dino



La Topaia, Borgo San Lorenzo, lunedì 24 luglio 1916

Ho avuto la vostra cartolina, poche ore prima di partire, ieri. Adesso siamo più vicini, forse. Non so dove si trovi Rifredo, non ho domandato, e tutto il Mugello m’è nuovo. Qui sono in una casa di campagna, grande, deserta. Gli ospiti me l’han lasciata durante questa loro assenza, per due settimane.
Caro Campana, sono vicina a S. Francesco perché, nata signora, mi son spogliata via via di molte cose, “felice d’esser povera ignuda” – vi parafraso. Ma non temete per il mio spirito. E ho amato Walt Whitman, come pochi altri. È già tanto tempo.
Vi mando qualche mio vecchio articolo: giornalismo, non altro. Ma in uno parlo appunto, come potevo farlo allora, con ingenua gravita, di Walt. E in un altro, più recente, di Assisi. E in un altro ancora, della Provenza e di Parigi. Poi un brano d’autobiografìa, ricordi d’infanzia Metto anche una pagina ch’è un poco più che giornalismo, e che sarei contenta se voi leggeste con adesione: è di questo inverno. Volevate il mio ritratto, e invece vi mando delle parole, stampate! Mah. Le fotografìe non mi somigliano. Ci vedremo, una volta. Dite che vorreste studiarmi come tipo. Forse m’avete conosciuta in essenza, in un lampo, se v’ha toccato qualche mio piccolo accento – e tutto il resto vi confonderà. Però siete annoiato, dubitate quasi d’esistere, mi mettete nella tremenda alternativa di veder finire Campana con la guerra o di dover desiderare che la guerra si perpetui… Non vi diverto? Sono un po’ assonnata.
Ho scritto a varie persone che mandino a chiedervi il vostro libro, spero che qualcuna almeno m’ascolti. Mandatene due copie a me, ne regalerò una (con l’altra che già possiedo) e una la terrò, se ci mettete il vostro nome e il mio. Ho dato a tutti l’indirizzo di Rifredo – avvenite alla posta, se partite. Addio. Vorrei in questi quindici giorni mandar innanzi un libro, incominciato da tanto tempo e a cui lavoro soltanto “di dentro”…
A Firenze traduco dal francese articoli di politica! Vedete che questa mia lettera non somiglia alla prima. Cosi i ritratti non mi somigliano mai. Scrivetemi.

Sibilla Aleramo

Rimandatemi poi gli articoli, vi prego, perché non ne ho altre copie.

lunedì 9 gennaio 2017

Eugenio Montale - Ossi di seppia



Forse un mattino andando in un’aria di vetro,
arida, rivolgendomi, vedrò compiersi il miracolo*:
il nulla alle mie spalle, il vuoto dietro
di me, con un terrore di ubriaco**.
Poi come s’uno schermo, s’accamperanno di gitto
alberi case colli per l’inganno consueto***.
Ma sarà troppo tardi; ed io me n’andrò zitto
tra gli uomini che non si voltano, col mio segreto.

Due lampi. Un prima e un dopo. E, nella sequenza, è delineata e fissata la condizione dell’uomo moderno per come appare a un soggetto consapevole della esistenza presente. Le verità ultime si sono dileguate e hanno lasciato il posto al vuoto. Ciò che vediamo ha il carattere di uno spettacolo illusorio (l’inganno consueto). Molti non si rendono conto di tutto questo. A chi sa non resta che tacere. 


(Giovanni Carpinelli)


Lacrime di Freya, emozioni che valgono oro
Straripa
un profilo di fumo
un grumo
i tuoi lombi indecisi decisi a farmi morire

- d'inedia -


sto qui sulla sedia
aspettando
cantando
cantando?


Ho un fiato ossessivo
ho freddo
ho bisogno di miele
di oche ciarliere
e rospi tanti
da baciare

Con occhi obliqui
ho da sbirciare
il gracidare
insistente
il calore fluente

- il mio ventre -


Necessito di virtù
di-mani a sera
di domani di fiera
di mare e marosi
e di mari morosi


ho liquide ferite
da saziare
di voglie proibite
da imparare
di scale a salire
e leccare e finire


e morire

morire

morire























giovedì 5 gennaio 2017

Stasera





Stasera è questa linea
che mi piega il volto

rapida scioglie il battito

adagio in questo silenzio ascolto

non è il buio
ma fragile è la luce
che da lontano brilla

si ferma debole
di lampi mi sussurra
un altro nome
una nuova scintilla

martedì 3 gennaio 2017

La Befana vien di notte...

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La Befana, corruzione lessicale di Epifania (dal greco ἐπιφάνεια, epifáneia) attraverso bifanìa e befanìa, è una figura folcloristica legata alle festività natalizie, tipica di alcune regioni italiane e diffusasi poi in tutta la penisola italiana, meno conosciuta nel resto del mondo. Secondo la tradizione, si tratta di una donna molto anziana che vola su una logora scopa, per fare visita ai bambini nella notte tra il 5 e il 6 gennaio (la notte dell'Epifania) e riempire le calze lasciate da essi, appositamente appese sul camino o vicino a una finestra; generalmente, i bambini che durante l'anno si sono comportati bene riceveranno dolci, caramelle, frutta secca o piccoli giocattoli. Al contrario, coloro che si sono comportati male troveranno le calze riempite con del carbone o dell'aglio.


L'origine fu probabilmente connessa a un insieme di riti propiziatori pagani, risalenti al X-VI secolo a.C., in merito ai cicli stagionali legati all'agricoltura, ovvero relativi al raccolto dell'anno trascorso, ormai pronto per rinascere come anno nuovo, diffuso nell'Italia settentrionale, nell'Italia Centrale e meridionale, attraverso un antico Mitraismo e altri culti affini come quello celtico, legati all'inverno boreale.

Gli antichi Romani ereditarono tali riti, associandoli quindi al calendario romano, e celebrando, appunto, l'interregno temporale tra la fine dell'anno solare, fondamentalmente il solstizio invernale e la ricorrenza del Sol Invictus. La dodicesima notte dopo il solstizio invernale, si celebrava la morte e la rinascita della natura attraverso Madre Natura. I Romani credevano che in queste dodici notti (il cui numero avrebbe rappresentato sia i dodici mesi dell'innovativo calendario romano nel suo passaggio da prettamente lunare a lunisolare, ma probabilmente associati anche ad altri numeri e simboli mitologici) delle figure femminili volassero sui campi coltivati, per propiziare la fertilità dei futuri raccolti, da cui il mito della figura "volante". Secondo alcuni, tale figura femminile fu dapprima identificata in Diana, la dea lunare non solo legata alla cacciagione, ma anche alla vegetazione, mentre secondo altri fu associata a una divinità minore chiamata Sàtia (dea della sazietà), oppure Abùndia (dea dell'abbondanza).
Un'altra ipotesi collegherebbe la Befana con una antica festa romana, che si svolgeva sempre in inverno, in onore di Giano e Strenia (da cui deriva anche il termine "strenna") e durante la quale ci si scambiavano regali.
La Befana si richiamerebbe anche ad alcune figure importate della stessa mitologia germanica, come ad esempio Holda e Berchta, sempre come una personificazione al femminile della stessa natura invernale.


Già a partire dal IV secolo d.C., l'allora Chiesa di Roma cominciò a condannare tutti riti e le credenze pagane, definendole un frutto di influenze sataniche. Queste sovrapposizioni diedero origine a molte personificazioni, che sfociarono, a partire dal Basso Medioevo, nell'attuale figura, il cui aspetto, benché benevolo, fu chiaramente associato a quella di una strega: non a caso, fu rappresentata su una scopa volante, antico simbolo che, da rappresentazione della purificazione delle case (e delle anime), in previsione della rinascita della stagione, fu successivamente ritenuto strumento di stregoneria, anche se, nell'immaginario, la Befana cavalca la scopa al contrario, cioè tenendo le ramaglie davanti a sé.

L'aspetto da vecchia sarebbe anche una raffigurazione simbolica dell'anno vecchio: una volta davvero concluso, lo si può bruciare, così come accadeva in molti paesi europei, dove esisteva la tradizione di bruciare dei fantocci vestiti di abiti logori, all'inizio dell'anno (vedi, ad esempio, la Giubiana e il Panevin o Pignarûl, Casera, Seima o Brusa la vecia, il Falò del vecchione che si svolge a Bologna a capodanno così come lo "sparo del Pupo" a Gallipoli, oppure il rogo della Veggia Pasquetta che ogni anno il 6 gennaio apre il carnevale a Varallo in Piemonte). In molte parti d'Italia, l'uso di bruciare o di segare in pezzi di legno un fantoccio a forma di vecchia (in questo caso pieno di dolciumi), rientrava invece tra i riti di fine Quaresima. In quest'ottica, anche l'uso dei doni assumerebbe, nuovamente, un valore propiziatorio per l'anno nuovo.
Condannata quindi dalla Chiesa, l'antica figura pagana femminile fu accettata gradualmente nel Cattolicesimo, come una sorta di dualismo tra il bene e il male. Già nel periodo del teologo Epifanio di Salamina, la stessa ricorrenza dell'Epifania fu proposta alla data della dodicesima notte dopo il Natale, assorbendo così l'antica simbologia numerica pagana.

Il carbone - o anche la cenere - da antico simbolo rituale dei falò, inizialmente veniva inserito nelle calze o nelle scarpe insieme ai dolci, in ricordo, appunto, del rinnovamento stagionale, ma anche dei fantocci bruciati. Nell'ottica morale cattolica dei secoli successivi, nella calze e nelle scarpe veniva inserito solo il carbone come punizione per i soli bambini che si erano comportati male durante l'anno precedente.

Il nome "befana" poi, inteso come il fantoccio femminile esposto la notte dell'Epifania, era già diffuso nel dialettale popolare del XIV secolo, specialmente in Toscana e nel Lazio settentrionale, quindi utilizzato per la prima volta in italiano da Francesco Berni nel 1535, quindi da Agnolo Firenzuola nel 1541. Nel XVIII secolo una Istoria delle Befane fu scritta dall'erudito fiorentino Domenico Maria Manni. Nei secoli più recenti, innumerevoli e largamente diffuse sono le rappresentazioni italiane della Befana, spesso si tratta di un figurante che si cala dal campanile della piazza di un paese, oppure di vecchiettine travestite per distribuire dolci e doni ai bambini. Vi sono ancora taluni rari luoghi in cui è rimasto, nel linguaggio popolare, il termine Pefana come, per esempio, nel paese di Montignoso, nel resto della Provincia di Massa-Carrara, in quella della Spezia nonché in Garfagnana e Versilia, con tradizioni non in linea con le consuete celebrazioni dell'Epifania. Nel 1928, il regime fascista introdusse la festività della Befana fascista, dove venivano distribuiti regali ai bambini delle classi meno abbienti. Dopo la caduta di Mussolini, la Befana fascista continuò ad essere celebrata nella sola Repubblica Sociale Italiana.

« La Befana vien di notte
con le scarpe tutte rotte
con le toppe alla sottana
viva viva la Befana! »


Il realismo figurativo di Serge Marshennikov

Serge Marshennikov è nato nel 1971 a Ufa (URSS). Suo nonno era il direttore generale di una società di allevamento di cavalli, il padre, un ingegnere elettrico e sua madre era in pre-scolastica. Fin dai primi anni la passione di Serge era il disegno, la pittura e la scultura .

Sua madre ha incoraggiato Serge a studiare e fin dalla prima infanzia ed ha avuto una serie di insegnanti privati ​​e ha frequentato studi d'arte . Dopo aver ricevuto una serie di premi per acquerelli dei suoi figli e di dipinti a pastello, Serge ha deciso di diventare un pittore professionista.

Nel 1995 ha terminato il Ufa Art College e poi ha continuato l'istruzione in una delle più prestigiose accademie d'arte del mondo, La Repin Accademia di Belle Arti di San Pietroburgo, Russia.


Come uno dei laureati più talentuosi dell'accademia,a Serge è stato offerto di rimanere per studi post-laurea presso lo studio del Rettore dell'Accademia, professor Milnikov. La prima mostra personale di Serge è stata nella galleria "Sangat" della sua città natale nel 1995, anno della sua laurea dal college. Lo spettacolo è stato un successo e Serge è stato invitato ad esporre alla Galleria dell'Unione degli artisti.

Da allora Serge ha esposto su base semestrale,mostra le sue opere ai suoi collezionisti ai St Petersburg e a Ufa. Serge, durante gli anni post-laurea,ha inoltre esposto in prestigiosi dipartimenti d'arte delle Università. Più di recente, i suoi dipinti sono stati venduti attraverso importanti aste d'arte, tra cui famosa Christie di Londra e Bonhams a Knightsbridge.


Il suo lavoro è molto più della domanda ed i suoi prezzi sono in costante aumento. I dipinti di Serge si tengono presso il Museo di Arte Moderna (El Paso), in Il Museo Grace (Abilene), e in molte importanti collezioni private in Russia, Inghilterra, Danimarca, Francia e Giappone. maggiori influenze di Serge sono Andrew Wyeth e Lucian Freud. Serge è sposato e ha una figlia di 7 anni. I suoi delicati ritratti ad olio femminili hanno catturato il cuore dei collezionisti di tutto il mondo.


































































(dal Blog : Il mondo di Mary Antony)

domenica 1 gennaio 2017

VI AUGURO - Jacques Brel

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Vi auguro sogni a non finire
la voglia furiosa di realizzarne qualcuno
vi auguro di amare ciò che si deve amare
e di dimenticare ciò che si deve dimenticare
vi auguro passioni
vi auguro silenzi
vi auguro 
il canto degli uccelli al risveglio
e risate di bambini
vi auguro di resistere all’affondamento,
all’indifferenza, alle virtù negative della nostra epoca.
Vi auguro soprattutto di essere voi stessi.

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Non sia mai ch'io ponga impedimenti all'unione di anime fedeli; Amore non è Amore se muta quando scopre un mutamento o tende a svanire quando l'altro s'allontana. Oh no! Amore è un faro sempre fisso che sovrasta la tempesta e non vacilla mai; è la stella-guida di ogni sperduta barca, il cui valore è sconosciuto, benché nota la distanza. Amore non è soggetto al Tempo, pur se rosee labbra e gote dovran cadere sotto la sua curva lama; Amore non muta in poche ore o settimane, ma impavido resiste al giorno estremo del giudizio: se questo è errore e mi sarà provato, io non ho mai scritto, e nessuno ha mai amato. W. Shakespeare

J.W. GOETHE

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Si dovrebbe, almeno ogni giorno, ascoltare qualche canzone, leggere una bella poesia, vedere un bel quadro, e, se possibile, dire qualche parola ragionevole. Johann Wolfgang Goethe

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