POESIE

domenica 19 marzo 2017

Al mio cuore di domenica


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Ti ringrazio, cuore mio:
non ciondoli, ti dai da fare
senza lusinghe, senza premio,
per innata diligenza.


Hai settanta meriti al minuto.
Ogni tua sistole
è come spingere una barca
in mare aperto
per un viaggio intorno al mondo.


Ti ringrazio, cuore mio:
volta per volta
mi estrai dal tutto
separata anche dal sonno.


Badi che sognando non trapassi in quel volo,
nel volo
per cui non occorrono le ali.


Ti ringrazio, cuore mio:
mi sono svegliata di nuovo
e benché sia domenica,
giorno di riposo,
sotto le costole
continua il solito viavai prefestivo.

W. Szimborwska

giovedì 16 marzo 2017

Mio uomo di vento




A te Uomo di Vento

traspaiono i monti dai passi e dal petto

dagli occhi

nascosti raggi di luce


Guitto

se il mio animo tace



Sponda di fiume

io docile mare



Guizzo d'un pesce volante

trillo e sonagli

io silenzio


Spada

io ombra scontrosa



Il mio  uomo nel vento

io foglia - insetto - azzurro

lui vela




domenica 12 marzo 2017

Gnòsi delle Fanfole -


TOPAZIA ALLIATA, Ritratto di alpinista (Fosco Maraini), 1933, olio su tavola di legno, 73x63, Coll. Eredi Maraini LD
TOPAZIA ALLIATA
- Ritratto di alpinista  -
(Fosco Maraini)




Fosco Maraini nasce a Firenze il 15 novembre 1912 da Antonio Maraini, noto scultore di antica famiglia ticinese, e da Yoi Crosse, scrittrice di padre inglese e madre polacca.
Maraini trascorre l’infanzia e l’adolescenza a Firenze compiendo coi genitori frequenti viaggi in Italia, Inghilterra, Svizzera, Francia e Germania. I legami familiari della madre con il Sud Africa, l’India e diversi altri paesi del mondo, nonché una spiccatissima e precoce curiosità per l’Oriente. 
A ventidue anni s’imbarca come insegnante d’inglese dei cadetti dell’Accademia Navale di Livorno, in crociera con la nave scuola “Amerigo Vespucci”, verso le coste del Medio Oriente. 
Ha modo così di visitare l’Egitto, il Libano, la Siria e la Turchia. Nel 1935, sposa Topazia Alliata, discendente di un’antica casata siciliana, dal matrimonio con la quale nasceranno le tre figlie Dacia (1936), Yuki (1939) e Toni (1941). 
Nel 1937 parte al seguito del celebre orientalista Gieseppe Tucci per una lunga spedizione in Tibet. Questa esperienza convince definitivamente Fosco Maraini a dedicarsi alla ricerca etnologica e allo studio delle culture orientali. Tornato in Italia, conclude i suoi studi, laureandosi nello stesso anno in Scienze Naturali all’Università di Firenze. L’occasione di dedicarsi pienamente alla ricerca etnologica gli è offerta da una borsa di studio per ricercatori stranieri messa a disposizione della Kokusai Gakuyu Kai, un’agenzia del Governo giapponese. Nel 1939 si trasferisce con la famiglia a Sapporo, nell’isola di Hokkaido, dove effettua una serie di ricerche e di studi, incentrata sui caratteri dell’arte, della religione tradizionale e dell’ideologia degli Ainu, il “popolo bianco” del Giappone. I risultati di tali indagini sul campo verranno pubblicati a Tokyo nel 1942 in un importante lavoro monografico intitolato Gli Iku­bashui degli Ainu. Nello stesso anno pubblica, in lingua giapponese, un rèportage fotografico sui popoli del Tibet (Chibetto). Tra il 1942 e il 1943, lasciata Sapporo, ricopre l’incarico di lettore di lingua italiana all’Università di Kyoto. Dopo l’8 settembre, rifiutandosi di aderire alla Repubblica di Salò, Maraini, insieme alla sua famiglia e a un’altra trentina di residenti italiani in Giappone, viene internato in un campo di concentramento a Nagoya,; vi rimarrà sino al 15 agosto 1945. Dopo la fine della guerra rimane a Tokyo, lavorando per un anno come interprete dell’VIII Armata Americana. Nel 1948, subito dopo il ritorno in Italia, Maraini parte per un secondo viaggio in Tibet con Giuseppe Tucci. Da questa esperienza nascerà, dopo qualche anno di gestazione, Segreto Tibet, volume che verrà tradotto in dodici lingue e che porterà il lavoro etnologico e lo stile narrativo di Maraini all’attenzione del pubblico internazionale. Nel 1953, Maraini ritorna in Giappone dove gira una serie di documentari etnografici. Fra i documentari, oggi purtroppo in gran parte perduti, ricordiamo: Gli ultimi Ainu, incentrato sulla cerimonia dello iyomande; Ai piedi del sacro Fuji sulla vita rurale giapponese, sull’architettura tradizionale e sul ritualismo scintoista; L’isola delle Pescatrici, girato – in parte con riprese subacquee – fra le Ama delle piccole isole di Hékura e Mikurìa, nell’arcipelago delle Nanatsu­to, la cui peculiarità etnologica Maraini propose per la prima volta all’attenzione del mondo occidentale. In quegli stessi anni, contestualmente alla ricerca visiva, Maraini raccoglie numeroso materiale che adopererà per la pubblicazione di tre volumi: Ore giapponesi del 1956 (tradotto in cinque lingue), L’isola delle Pescatrici del 1969 (tradotto in sei lingue) e, infine, Japan.Patterns of Continuity (1971), monografia illustrata sul Giappone, che a sinora conosciuto dodici ristampe ed è stata tradotta in diverse lingue. Nel 1958, Maraini – da tempo appassionato alpinista – viene invitato dal Club Alpino Italiano alla spedizione nazionale al Gasherbrum IV ( 7980 m. ) nel Karakorum. L’anno successivi è capo della spedizione italiana al Picco Saraghrar nell’Hindu­Kush. Il resoconto alpinistico ed etnografico di queste spedizioni costituisce l’argomento dei due volumi G4­ Karakorum, del 1959, e Paropàmiso, del 1960, che vengono ambedue tradotti in più lingue. Fra il 1959 e il 1964, su invito del professor Richard Storry, lavora come ricercatore associato (fellow) presso St. Antony’ s College (Dipartimento di Civiltà dell’Estremo Oriente) di Oxford. In quegli stessi anni, per conto dell’editore italiano De Donato compie un lungo viaggio attraverso l’Asia, toccando l’India, il Nepal, la Thailandia, la Cambogia, il Giappone e la Corea. Nel 1966 torna in Giappone, dove lavora per una grande casa editrice ed effettua studi sulla civiltà e la cultura di quel paese. Fra il 1968 e il 1969, trascorre parecchi mesi a Gerusalemme dove raccoglie materiale per la pubblicazione di uno dei più bei volumi apparsi su quella città: Jerusalem, Rock of Ages, pubblicato dalla Harcourt Brace di New York. Nel 1970, il Ministero degli Affari Esteri lo nomina direttore delle pubbliche relazioni al Padiglione Italia dell’Esposizione Universale di Osaka. Lo stesso anno sposa in seconde nozze la sua attuale compagna Mieko Namiki. Nel 1972 Maraini ritorna a Firenze dove gli viene affidato l’incarico di Lingua e Letteratura Giapponese presso la Facoltà di Magistero dell’Università degli Studi, incarico che lascia nel 1983 per raggiunti limiti d’età. Sempre nel 1972, fonda l’Associazione italiana per gli Studi Giapponesi ( AISTUGIA ) di cui è stato presidente fino alla morte. Fra i volumi pubblicati negli anni settanta ricordiamo: Incontro con l’Asia (1973), Tokyo, pubblicato in cinque lingue nella collana “Great Cities of the World” e Giappone e Corea, pubblicato nel 1978 sia nell’edizione italiana sia in quella francese. Nel 1980 pubblica con Giuseppe Giarrizzo un volume sulla civiltà contadina in Italia, in cui appare per la prima volta il materiale fotografico raccolto nel Meridione e in Sicilia negli anni immediatamente successivi alla guerra.
 Negli anni Novanta, Maraini ha continuato a rivedere ed ad approfondire i suoi studi giapponesi 
( L’àgape celeste, 1995; Gli ultimi pagani, 1997) e ha pubblicato alcuni volumi di squisito contenuto letterario scritti, a partire dalla fine degli anni cinquanta, come puro divertissement, in un chimerico linguaggio “metasemantico”: Gnosi delle Fànfole (1994) e Il Nuvolario (1995). Su espresso desiderio di Maraini e grazie all’intervento dell’Ente Cassa di Risparmio di Firenze, la sua biblioteca orientale e la fototeca delle immagini da lui riprese nel corso della sua vita sono state acquisite dal Gabinetto Scientifico Letterario G.P. Vieusseux, costituendo la base sulla quale è nato il Programma da Maraini stesso battezzato “Vieusseux­Asia”. Nelle intenzioni di Maraini i materiali da lui raccolti dovrebbero infatti garantire a Firenze e alla Toscana la disponibilità di strumenti per la conoscenza dell’Asia Orientale tali da garantire la ripresa di quell’interesse che era stato fino agli anni Trenta del Novecento così vitale. Nel 1999 il Gabinetto Vieusseux ha promosso una grande mostra antologica delle sue fotografie, Il Miramondo, esposta al Museo Marino Marini a Firenze, poi alla Galleria Nazionale d’Arte Moderna di Roma e all’Istituto Giapponese di cultura e quindi a Tokyo, al Museo Metropolitano di Fotografia. Nel 2001 il Gabinetto Vieusseux ha promosso e pubblicato il cospicuo volume Firenze, il Giappone e l’Asia Orientale. Nel 2003 sempre al Gabinetto Vieusseux si è tenuto il convegno internazionale dedicato a Relazioni tra scienza e letteratura in Oriente e in Occidente La sua biografia in forma romanzata è stata pubblicata da Mondadori con il titolo Case, amori, universi. Negli ultimi tempi, profondamente colpito dalla strage delle Torri Gemelle, si era dedicato con appassionato impegno allo studio dei rapporti tra Islam e Occidente, riconsiderando le sue esperienze dirette di incontro con la cultura islamica. 
Fosco Maraini è morto a Firenze martedì 8 giugno 2004





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Fosco Maraini





Poesie tratte da:

" Gnòsi delle Fanfole"

di Fosco Maraini

Bottiglie

Non siamo tutti simili a bottiglie
ripiene di ricordi e cronicaglie?
Bistròccoli, fruschelli, filaccetti
ricolmano le pance trasparine,
fanfàggini, birìllidi, nulletti
s’asserpano in ghirlande cilestrine…
Se scuoti la bottiglia sgrengoluta
risorgono megoni e gastrifèmi,
rispuntano tra mèmmola grognuta
nascosti vercigogni e schifilemi.
Talvolta vedi invece lumigenti
miriàgoli, trigèridi, fernuschi,
e piangi su gavati struggimenti
finiti coi patassi fra i rifiuschi.
Non tornano a rivivere le facce
d’amici e d’amorilli luscherosi?
Risplòdono le voci, le morcacce
d’incontri cuspidiali e trucidiosi!
Poi un giorno la bottiglia si tracassa,
il vetro si sbiréngola nel sole
in croccherucci verdi, in patafrassa,
tra l’erbe cucche e cionche di pagliòle.
Ahi dove sono allora i gaviretti,
i nobili tracordi, i rimembrili.
i càccheri, gli smèrmidi, i frulletti,
i mòrfani, gli sghèfani gentili?
Sdrafànico mistero di bottiglia
bottiglia di sdrafànico mistero.



Il giorno ad urlapicchio

Ci son dei giorni smègi e lombidiosi
col cielo dagro e un frònzero gongruto
ci son meriggi gnàlidi e budriosi
che plògidan sul mondo infrangelluto,

ma oggi è un giorno a zìmpagi e zirlecchi
un giorno tutto gnacchi e timparlini,
le nuvole buzzìllano, i bernecchi
ludèrchiano coi fèrnagi tra i pini;

è un giorno per le vànvere, un festicchio
un giorno carmidioso e prodigiero,
è il giorno a cantilegi, ad urlapicchio
in cui m'hai detto "t'amo per davvero".


venerdì 10 marzo 2017

9 MARZO



Ricorre oggi l’anniversario di nascita del poeta triestino Umberto Saba e l’anniversario della scomparsa dello scrittore americano Charles Bukowski …
Ricorrenze importanti nel mondo della letteratura: il 9 marzo 1883 nasceva infatti a Trieste Umberto Saba. Lo stesso giorno del 1994 si spegneva invece una delle voci più amate e controverse della letteratura americana, Charles Bukowski.


UMBERTO SABA


Umberto Saba dipinto da Carlo Levi


Umberto Poli nasce a Trieste il giorno 9 marzo 1883. Gli studi in età adolescenziale sono piuttosto irregolari: segue dapprima il ginnasio ‘Dante Alighieri’, poi passa all’Accademia di Commercio e Nautica, che però abbandonerà a metà anno scolastico. In questo periodo si avvicina alla musica, dovuta anche all’amicizia con Ugo Chiesa, violinista, e Angelino Tagliapietra, pianista. I suoi tentativi per imparare a suonare il violino sono però scarsi; è invece la composizione delle prime poesie a dare già i primi buoni risultati. Scrive con il nome di Umberto Chopin Poli: i suoi lavori sono perlopiù sonetti, che risentono di una chiara influenza di Parini, Foscolo, Leopardi e Petrarca. E’ il 1911 quando con lo pseudonimo di Umberto Saba pubblica il suo primo libro: ‘Poesie’. Seguiranno ‘Coi miei occhi (il mio secondo libro di versi)’, oggi noto come ‘Trieste e una donna’. Lo pseudonimo pare sia di origine incerta; si pensa che lo scelse o in omaggio alla sua adorata balia, Peppa Sabaz, o forse in omaggio alle sue origini ebraiche (la parola ‘saba’ significa ‘nonno’). Risale a questo periodo l’articolo ‘Quello che resta da fare ai poeti’ nel quale Saba propone una poetica schietta e sincera, senza fronzoli; contrappone il modello degli ‘Inni Sacri’ di Manzoni a quello della produzione di D’Annunzio. Presenta l’articolo per la pubblicazione alla rivista vociana, ma viene rifiutato: sarà pubblicato solamente nel 1959.



LA CRISI NERVOSA – Dopo il 1930 una intensa crisi nervosa gli fa decidere di andare a Trieste in analisi con il dottor Edoardo Weiss, allievo di Freud. Nel 1938, poco prima dell’inizio del secondo conflitto mondiale, a causa delle leggi razziali Saba viene costretto a cedere formalmente la libreria ed emigrare a Parigi. Torna in Italia alla fine del 1939 rifugiandosi a Roma, dove l’amico Ungaretti cerca di aiutarlo, purtroppo senza risultato; va nuovamente a Trieste deciso ad affrontare con gli altri italiani la tragedia nazionale. Dopo l’8 settembre 1943 è costretto a fuggire con Lina e Linuccia: si nascondono a Firenze cambiando abitazione numerose volte. Gli sono di conforto l’amicizia di Carlo Levi e Eugenio Montale; quast’ultimo, rischiando la vita, andrà a visitare Saba ogni giorno nelle sue abitazione provvisorie. Nel 1955 è stanco, ammalato e sconvolto per la malattia della moglie si fa ricoverare in una clinica di Gorizia: qui il 25 novembre 1956 la notizia della morte della sua Lina lo raggiunge. Esattamente nove mesi più tardi, il 25 agosto 1957, anche il poeta muore.





CHARLES BUKOWSKI



Charles Bukowski
Figlio di un ex artigliere delle truppe americane, Charles ha solo tre anni quando la famiglia si trasferisce a Los Angeles, negli Stati Uniti. Qui trascorre l’infanzia costretto dai genitori a un quasi totale isolamento dal mondo esterno. Già si notano i primi segni della sua vena ribellistica e di una fragile, confusa vocazione alla scrittura. A sei anni, era un bambino con un carattere già ben formato: schivo e impaurito, escluso dalle partite di baseball giocate sotto casa, irriso per il suo tenue accento teutonico, manifesta difficoltà di inserimento. A tredici anni inizia a bere e a frequentare una chiassosa banda di teppisti. Nel 1938 Charles Bukowski si diploma senza troppi entusiasmi alla ‘L.A. High School’ e a vent’anni abbandona la casa paterna. Inizia così un periodo di vagabondaggio segnato dall’alcol e da una sequenza infinita di lavori saltuari. Bukowski è a New Orleans, a San Francisco, a St. Louis, soggiorna in una pensione-bordello di tagliagole filippini, fa il lavapiatti, il posteggiatore, il facchino, si sveglia sulle panchine dei parchi pubblici, per qualche tempo finisce perfino in galera. E continua a scrivere.
LE OPERE – I suoi racconti e le sue poesie trovano spazio su giornali come ‘Story’ ma soprattutto sulle pagine delle riviste underground. Non è infatti una fugace o ‘poetica’ linfa creativa che lo induce a scrivere, ma la rabbia verso la vita, l’amarezza perenne del giusto di fronte ai torti e all’insensibilità degli altri uomini. Le storie di Charles Bukowski sono imperniate su un autobiografismo quasi ossessivo. Il sesso, l’alcol, le corse dei cavalli, lo squallore delle vite marginali, l’ipocrisia del ‘sogno americano’ sono i temi sui quali vengono intessute infinite variazioni grazie a una scrittura veloce, semplice ma estremamente feroce e corrosiva. Assunto dal Postal Office di Los Angeles e inaugurato un burrascoso rapporto sentimentale con Jane Baker, Bukowski attraversa gli anni ’50 e ’60 continuando a pubblicare semiclandestinamente, soffocato dalla monotonia della vita d’ufficio e minato da eccessi di ogni genere. Nel settembre dei 1964 diviene padre di Marina, nata dalla fugace unione con Frances Smith, giovane poetessa. Si ammala ammala di tubercolosi nel 1988, tuttavia, in condizioni fisiche via via più precarie, Bukowski continua a scrivere e a pubblicare. La morte lo colpisce il 9 marzo 1994.


(Libreriamo.it)

martedì 7 marzo 2017

Tratto da " Il ballo degli invisibili " di Silvano Agosti

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“Percorro incredula il territorio dell'inspiegabile, chiedendomi ogni giorno: questa è dunque la mia vita? L'occasione della vita è una, unica e sola nell'intero percorso dell'eternità, come posso identificarla con questa prigionia, in un piccolo appartamento della grande città, dove trascorro quasi tutto il mio tempo, in un vero e proprio ergastolo, privo di carcerieri?
È tutto qui in queste giornate terribilmente simili una all'altra, il grande mistero dell'essere?
Da bambina mi hanno fatta andare a scuola e sono andata a scuola, poi hanno spiegato che senza l'università la scuola significava ben poco, e sono andata all'università. Infine mi hanno lasciato intendere che se non trovavo un uomo adatto a me sarei rimasta sola e senza alcun appoggio.
Ho fatto il possibile per convincermi.
L'uomo che per primo mi ha corteggiato è subito diventato l'uomo della mia vita. Del resto qualsiasi convivenza al di fuori del matrimonio era sconsigliata e allora mi sono sposata. Mi sono da subito trovata rinchiusa nel ruolo di moglie e cercavo di capire perché l'uomo che avevo conosciuto era subito svanito per lasciar posto al marito.
Era poi sottinteso che ambedue ci sforzassimo di mettere al mondo al più presto il primo figlio e così abbiamo fatto. Anzi, per rendere socialmente perfetta la nostra unione siamo riusciti a dare vita anche a una bambina.
Da allora ho trascorso il mio tempo al servizio dell'uomo della mia vita e dei due figli, che sono cresciuti con gli stessi problemi che avevo vissuto io stessa durante l'infanzia, l'adolescenza e la giovinezza.
Ho tentato invano di far sì che il loro destino, almeno un po', fosse diverso dal mio, ma tutto sembrava predeterminato. Inoltre poiché la sofferenza, la noia matrimoniale, lo sconcerto per essere costretta a vivere un destino che non sentivo mio giacevano nel segreto dell'intimità, non era possibile esprimere apertamente il mio disaccordo.
Così io e l'uomo della mia vita, non potendoci dire alcuna verità abbiamo cominciato a litigare e il litigio è stata la sola variazione apprezzabile della convivenza matrimoniale...”
Una mano femminile, tremante mi toglie garbatamente il foglio di mano. “Mi scusi, questo foglio è mio, l'ho perso nel prendere la posta.”
Nell'atrio del caseggiato la signora del quarto piano e io ci guardiamo imbarazzati. “L'ho trovato per terra.” Mormoro in tono di scusa.
Le guance della donna sono coperte di un intenso rossore, mentre guarda il solo uomo al mondo che conosce i suoi segreti.
Silvano Agosti

Garnisein

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Le tue braccia intorno alle mie ombre
e sul mio capo la tua carezza
a scacciare con un tratto veloce
le paure dai miei giorni

Alzare gli occhi
verso un cielo marino
dove un cargo di nuvole veloci
mi consegna miraggi
e vedere gli occhi tuoi sorridere di me
delle mie ansie
come se tutto fosse come allora

come quando l'Estate
non moriva mai in Autunno

Pozzanghera (caos)

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Si tratta di voragine
di deviare il discorso
di muoversi lontano dal rimorso
un corso/un ricorso
sdraiata sul mio dorso
una prova contraria
- mi tocca o no l'ora d'aria? -

L'acqua ottiene sempre ragione
se cresce non taglia al mezzo
prosegue non rispetta
s'infila
s'infetta
maledetta

Pozzanghera d'acqua nera
non basta riflettere
per essere cielo
lo dico davvero
anzi
lo giuro

Se getto il sasso
non spacco lo specchio
dopo tutto tanto

niente

la superficie
si muove
a (p) pena

Nuda



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Fiorisce la brezza
sulla pietra liscia
e la foglia d'autunno
mi ricama la mano
di limo e di breccia

e mi dico di te cose oscure
e ti dico di me
- Luna -
che lumeggia di sanguigna
quest'amore di memoria
e mi vedo nuda
abbracciata nell'affanno
che mi cresce il cuore

Francesco Guccini e il suo Cyrano




Venite pure avanti, voi con il naso corto,
signori imbellettati, io più non vi sopporto,
infilerò la penna ben dentro al vostro orgoglio
perchè con questa spada vi uccido quando voglio.

Venite pure avanti poeti sgangherati
inutili cantanti di giorni sciagurati,
buffoni che campate di versi senza forza
avrete soldi e gloria, ma non avete scorza;
godetevi il successo, godete finchè dura,
che il pubblico è ammaestrato e non vi fa paura
e andate chissà dove per non pagar le tasse
col ghigno e l' ignoranza dei primi della classe.
Io sono solo un povero cadetto di Guascogna,
però non la sopporto la gente che non sogna.
Gli orpelli? L'arrivismo? All'amo non abbocco
e al fin della licenza io non perdono e tocco,
io non perdono, non perdono e tocco!

Facciamola finita, venite tutti avanti
nuovi protagonisti, politici rampanti,
venite portaborse, ruffiani e mezze calze,
feroci conduttori di trasmissioni false
che avete spesso fatto del qualunquismo un arte,
coraggio liberisti, buttate giù le carte
tanto ci sarà sempre chi pagherà le spese
in questo benedetto, assurdo bel paese.


Non me ne frega niente se anch'io sono sbagliato,
spiacere è il mio piacere, io amo essere odiato;
coi furbi e i prepotenti da sempre mi balocco
e al fin della licenza io non perdono e tocco,
io non perdono, non perdono e tocco!


Ma quando sono solo con questo naso al piede
che almeno di mezz'ora da sempre mi precede
si spegne la mia rabbia e ricordo con dolore
che a me è quasi proibito il sogno di un amore;
non so quante ne ho amate, non so quante ne ho avute,
per colpa o per destino le donne le ho perdute
e quando sento il peso d' essere sempre solo
mi chiudo in casa e scrivo e scrivendo mi consolo,
ma dentro di me sento che il grande amore esiste,
amo senza peccato, amo, ma sono triste
perchè Ella è bella, siamo così diversi,
a parlarle non riesco: le parlerò coi versi,
le parlerò coi versi...

Venite gente vuota, facciamola finita,
voi preti che vendete a tutti un' altra vita;
se c'è, come voi dite, un Dio nell' infinito,
guardatevi nel cuore, l' avete già tradito
e voi materialisti, col vostro chiodo fisso,
che Dio è morto e l' uomo è solo in questo abisso,
le verità cercate per terra, da maiali,
tenetevi le ghiande, lasciatemi le ali;
tornate a casa nani, levatevi davanti,
per la mia rabbia enorme mi servono giganti.

Ai dogmi e ai pregiudizi da sempre non abbocco
e al fin della licenza io non perdono e tocco,
io non perdono, non perdono e tocco!


Io tocco i miei nemici col naso e con la spada,
ma in questa vita oggi non trovo più la strada.
Non voglio rassegnarmi ad essere cattivo,
tu sola puoi salvarmi, tu sola e te lo scrivo:
dev' esserci, lo sento, in terra o in cielo un posto
dove non soffriremo e tutto sarà giusto.
Non ridere, ti prego, di queste mie parole,
io sono solo un' ombra e tu, mia amata, il sole,
ma tu, lo so, non ridi, dolcissima Signora
ed io non mi nascondo sotto la tua dimora
perchè oramai lo sento, non ho sofferto invano,
se mi ami come sono,
per sempre tuo, per sempre tuo, per sempre tuo...Cirano


(Con qualche piccolissima variante)








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Non sia mai ch'io ponga impedimenti all'unione di anime fedeli; Amore non è Amore se muta quando scopre un mutamento o tende a svanire quando l'altro s'allontana. Oh no! Amore è un faro sempre fisso che sovrasta la tempesta e non vacilla mai; è la stella-guida di ogni sperduta barca, il cui valore è sconosciuto, benché nota la distanza. Amore non è soggetto al Tempo, pur se rosee labbra e gote dovran cadere sotto la sua curva lama; Amore non muta in poche ore o settimane, ma impavido resiste al giorno estremo del giudizio: se questo è errore e mi sarà provato, io non ho mai scritto, e nessuno ha mai amato. W. Shakespeare

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