POESIE

sabato 30 dicembre 2017

Se fossi un giorno dell’anno

Immagine correlata

Se fossi un giorno dell’anno, vorrei essere il penultimo giorno dell’anno.
Perché è in questo giorno che ognuno pensa tra sé e sé quanto in fretta è passato il tempo e che domani l’anno che sembra ieri che era gennaio invece è già finito.
Ed è un pensiero tutto d’un fiato, senza virgole e senza pause.

Ma poi? Dov’è che è andato questo tempo? Io non me ne sono accorto che stava passando.
Ho fatto la spesa di corsa, all’uscita dall’ufficio nelle sere anonime dei giorni banali, tra i lava pavimento elettrici dei supermercati in chiusura e le voci stanche delle commesse dagli altoparlanti. Poi a casa.
- Stasera vado a letto presto.


Mi sta bene. Sempre tutto di fretta, sempre mille cose da fare, e il tempo si adegua. Corre anche lui.
Nemmeno l’opportunità dei tempi supplementari come nel calcio.

- Vieni qua brutto scemo. Quanto tempo, quanti giorni hai perso? Venti?
Prendi: questo è un buono per venti giorni da spendere entro il prossimo anno.
Usali per fermarti un momento. Scialacquali seduto su uno scoglio a guardare i tramonti, a stringere mani, a perderti nei sorrisi dei bambini. A dirle che le vuoi bene.

- Grazie.

Non è tanto il tempo che passa, ma quello che si è perso per ciò che non era importante. Il prossimo anno ci starò più attento.


Simone Angelo Cannatà

giovedì 21 dicembre 2017

UNA BELLA NOTIZIA!





In Spagna le luminarie natalizie si ricavano dai rifiuti!

18 dicembre 2017






Negli ultimi giorni in tutto il mondo ondate di persone stanno assalendo i supermercati in cerca degli ultimi addobbi natalizi. Una corsa frenetica che sta sempre di più perdendo la sua connotazione religiosa rendendo le Feste un evento commerciale.


Per dargli un significato diverso, gli abitanti di L’Oliva, cittadina che si trova sull’Isola di Fuerteventura (Canarie, Spagna), hanno deciso realizzare le luminarie cittadine con gli scarti trovati sulle spiagge e dai rifiuti prodotti dagli alberghi.


La loro realizzazione è stata ideata dall’architetto Fernando Menis, che insieme agli abitanti dell’isola ha voluto supportare questa iniziativa per sensibilizzare la popolazione.


Viste le temperature calde della zona, i pupazzi di neve sono stati scelti fiori di ibisco come simbolo del Natale isolano, mentre calamari giganti, meduse e palme con materiale riciclato.


L’intero progetto è stato a costo ed impatto zero. Un’iniziativa ci insegna come il riciclo dei materiali abbandonati possa portare gioia e divertimento.


https://www.greenme.it/abitare/arredo-urbano/25538-luminarie-canarie-rifiuti





https://www.ilsorrisoquotidiano.it/2017/12/18/in-spagna-le-luminarie-natalizie-si-ricavano-dai-rifiuti/

UNA BELLA NOTIZIA!

                                                                     

Risultati immagini per BASILICA COLLEMAGGIO OGGI













IlCapoluogo.it - L'aquila News: notizie in tempo reale di Cronaca, Politica, Stefania Pezzopane, Massimo Cialente, Pierpaolo Pietrucci,Collemaggio




Collemaggio non fa notizia, niente tg nazionali

La Basilica di Collemaggio è stata riconsegnata alla città, ma la festa è stata tutta locale.

Dove sono finite le troupe di Sky, di Rainews24, della BBC o di Al Jazira, che hanno stazionato nei container del Capoluogo per mesi nel 2009 al fine di raccontare il nostro terremoto al mondo?

Solo notizie negative che fanno scoop.

La stampa nazionale racconta delle casette di Accumoli inadeguate per il freddo, della nonnina che non può stare nella casetta di legno o degli scandali della ricostruzione, ma non è interessata alle notizie positive che raccontano di una città stupenda ricostruita e pronta ad essere ammirata.

La storia delle pietre di Collemaggio sapientemente disposte dai maestri, come ci ha illustrato Maria Grazia Lopardi accompagnandoci dentro la Basilica, dovrebbe essere La Storia della nostra città.

Il fulcro su cui costruire un progetto turistico di appeal mondiale, su cui formare delle guide turistiche, organizzare degli uffici di informazione e promozione.
L’Aquila possiede delle potenzialità che vanno gridate al mondo.

Solo una gestione consapevole e matura potrà organizzare la ripresa della città, attraverso un marketing che costruisca una reputazione online congrua con le ricchezze attrattive straordinarie del nostro territorio, da Campotosto a Capestrano passando per Ovindoli ed il Gran Sasso.

Cialente non è stato invitato alla cerimonia. Uno sgarbo istituzionale, una distrazione pesantissima, un’assenza offensiva, ma la città non può rammaricarsi per questo.
Deve, piuttosto, rammaricarsi di non trovare i titoli in prima pagina di Collemaggio sulle testate nazionali, di non aver sentito nei tg nazionali la notizia, di non aver avuto il giusto spazio nelle cronache di ieri, perché secondo il nuovo giornalismo d’assalto una bella notizia non fa più Notizia!
https://www.ilcapoluogo.it/2017/12/21/collemaggio-non-fa-notizia-niente-tg-nazionali/

https://it.wikipedia.org/wiki/Basilica_di_Santa_Maria_di_Collemaggio

martedì 19 dicembre 2017

Comincia a nevicare

Immagine correlata






- Siamo tutti in casa? - domandò mio padre, rientrando una sera sul tardi, tutto intabarrato e col suo fazzoletto di seta nera al collo. E dopo un rapido sguardo intorno si volse a chiudere la porta col paletto e con la stanga, quasi fuori s'avanzasse una torma di ladri o di lupi. Noi bambine gli si saltò intorno curiose e spaurite.

- Che c'è, che c'è?

- C'è che comincia a nevicare e ne avremo per tutta la notte e parecchi giorni ancora: il cielo sembra il petto di un colombo.

- Bene - disse la piccola nonna soddisfatta. - Così crederete a quello che raccontavo poco fa.

Poco fa la piccola nonna, che per la sua statura e il suo viso roseo rassomigliava a noi bambine, ed era più innocente e buona di noi, raccontava per la millesima volta che un anno, quando anche lei era davvero bambina (nel mille, diceva il fratellino studente, già scettico e poco rispettoso della santa vecchiaia), una lunga nevicata aveva sepolto e quasi distrutto il paese.

- Quattordici giorni e quattordici notti nevicò di continuo, senza un attimo d'interruzione. Nei primi giorni i giovani e anche le donne più audaci uscivano di casa a cavallo e calpestavano la neve nelle strade; e i servi praticavano qualche viottolo in mezzo a quelle montagne bianche ch'erano diventati gli orti ed i prati. Ma poi ci si rinchiuse tutti in casa, più che per la neve, per l'impressione che si trattasse di un avvenimento misterioso; un castigo divino. Si cominciò a credere che la nevicata durasse in eterno, e ci seppellisse tutti, entro le nostre case delle quali da un momento all'altro si aspettava il crollo. Peccati da scontare ne avevamo tutti, anche i bambini che non rispettavano i vecchi (questa è per te, signorino studente); e tutti si aveva anche paura di morire di fame.

- Potevate mangiare i teneri bambini, come nel mille - insiste lo studentello sfacciato.

- Va via, ti compatisco perché sei nell'età ingrata, - dice il babbo, che trova sempre una scusa per perdonare, - ma con queste cose qui non si scherza. Vedrai che fior di nevicata avremo adesso. Eppoi senti senti...

D'improvviso saliva dalla valle un muggito di vento che riempiva l'aria di terrore: e noi bambine ci raccogliemmo intorno al babbo come per nasconderci sotto le ali del suo tabarro.

- Ho dimenticato una cosa: bisogna che vada fuori un momento - egli dice frugandosi in tasca.

- Vado io, babbo - grida imperterrito il ragazzo; ma la mamma, bianca in viso, ferma tutti con un gesto.

- No, no, per carità, adesso!

- Eppure è necessario - insiste il babbo preoccupato. - Ho dimenticato di comprare il tabacco.

Allora la mamma si rischiara in viso e va a cercare qualche cosa nell'armadio.

- Domani è Sant'Antonio; è la tua festa, ed io avevo pensato di regalarti...

Gli presenta una borsa piena di tabacco, ed egli s'inchina, ringrazia, dice che la gradisce come se fosse piena d'oro; intanto si lascia togliere dalle spalle il tabarro e siede a tavola per cenare.

La cena non è come al solito, movimentata e turbata da incidenti quasi sempre provocati dall'irrequietudine dei commensali più piccoli; tutti si sta fermi, quieti, intenti alle voci di fuori.

- Ma quando c'è questo gran vento, - dice la nonna - la nevicata non può essere lunga. Quella volta...

Ed ecco che ricomincia a raccontare; ed i particolari terribili di quella volta aumentano la nostra ansia, che in fondo però ha qualche cosa di piacevole. Pare di ascoltare una fiaba che da un momento all'altro può mutarsi in realtà.

Quello che sopratutto ci preoccupa è di sapere se abbiamo abbastanza per vivere, nei giorni di clausura che si preparano.

- Il peggio è per il latte: con questo tempo non è facile averlo.

Ma la mamma dice che ha una grossa scatola di cacao: e la notizia fa sghignazzare di gioia il ragazzo, che odia il latte. Gli altri bambini non osano imitarlo; ma non si afferma che la notizia sia sgradita. Anche perché si sa che oltre il cacao esiste una misteriosa riserva di cioccolata e, in caso di estrema necessità, c'è anche un vaso di miele.

Delle altre cose necessarie alla vita non c'è da preoccuparsi. Di olio e vino, formaggio e farina, salumi e patate, e altre provviste, la cantina e la dispensa sono rigurgitanti. E carbone e legna non mancano. Eravamo ricchi, allora, e non lo sapevamo.

- E adesso - dice nostro padre, alzandosi da tavola per prendere il suo posto accanto al fuoco - vi voglio raccontare la storia di Giaffà.

Allora vi fu una vera battaglia per accaparrarsi il posto più vicino a lui: e persino la voce del vento si tacque, per lasciarci ascoltare meglio. Ma la nonnina, allarmata dal silenzio di fuori, andò a guardare dalla finestra di cucina, e disse con inquietudine e piacere:

- Questa volta mi pare che sia proprio come quell'altra.




Tutta la notte nevicò, e il mondo, come una grande nave che fa acqua, parve sommergersi piano piano in questo mare bianco. A noi pareva di essere entro la grande nave: si andava giù, nei brutti sogni, sepolti a poco a poco, pieni di paura ma pure cullati dalla speranza in Dio.

E la mattina dopo, il buon Dio fece splendere un meraviglioso sole d'inverno sulla terra candida, ove i fusti dei pioppi parevano davvero gli alberi di una nave pavesata di bianco.






Grazia Deledda

Il Natale di Martin

Risultati immagini per gif pallina di natale che brilla



In una certa città viveva un ciabattino, di nome Martin Avdeic. Lavorava in una stanzetta in un seminterrato, con una finestra che guardava sulla strada. Da questa poteva vedere soltanto i piedi delle persone che passavano, ma ne riconosceva molte dalle scarpe, che aveva riparato lui stesso. Aveva sempre molto da fare, perché lavorava bene, usava materiali di buona qualità e per di più non si faceva pagare troppo.

Anni prima, gli erano morti la moglie e i figli e Martin si era disperato al punto di rimproverare Dio. Poi un giorno, un vecchio del suo villaggio natale, che era diventato un pellegrino e aveva fama di santo, andò a trovarlo. E Martin gli aprì il suo cuore.

- Non ho più desiderio di vivere - gli confessò. - Non ho più speranza.

Il vegliardo rispose: « La tua disperazione è dovuta al fatto che vuoi vivere solo per la tua felicità. Leggi il Vangelo e saprai come il Signore vorrebbe che tu vivessi.

Martin si comprò una Bibbia. In un primo tempo aveva deciso di leggerla soltanto nei giorni di festa ma, una volta cominciata la lettura, se ne sentì talmente rincuorato che la lesse ogni giorno.

E cosi accadde che una sera, nel Vangelo di Luca, Martin arrivò al brano in cui un ricco fariseo invitò il Signore in casa sua. Una donna, che pure era una peccatrice, venne a ungere i piedi del Signore e a lavarli con le sue lacrime. Il Signore disse al fariseo: «Vedi questa donna? Sono entrato nella tua casa e non mi hai dato acqua per i piedi. Questa invece con le lacrime ha lavato i miei piedi e con i suoi capelli li ha asciugati... Non hai unto con olio il mio capo, questa invece, con unguento profumato ha unto i miei piedi.

Martin rifletté. Doveva essere come me quel fariseo. Se il Signore venisse da me, dovrei comportarmi cosi? Poi posò il capo sulle braccia e si addormentò.

All'improvviso udì una voce e si svegliò di soprassalto. Non c'era nessuno. Ma senti distintamente queste parole: - Martin! Guarda fuori in strada domani, perché io verrò.

L'indomani mattina Martin si alzò prima dell'alba, accese il fuoco e preparò la zuppa di cavoli e la farinata di avena. Poi si mise il grembiule e si sedette a lavorare accanto alla finestra. Ma ripensava alla voce udita la notte precedente e così, più che lavorare, continuava a guardare in strada. Ogni volta che vedeva passare qualcuno con scarpe che non conosceva, sollevava lo sguardo per vedergli il viso. Passò un facchino, poi un acquaiolo. E poi un vecchio di nome Stepanic, che lavorava per un commerciante del quartiere, cominciò a spalare la neve davanti alla finestra di Martin che lo vide e continuò il suo lavoro.

Dopo aver dato una dozzina di punti, guardò fuori di nuovo. Stepanic aveva appoggiato la pala al muro e stava o riposando o tentando di riscaldarsi. Martin usci sulla soglia e gli fece un cenno. - Entra· disse - vieni a scaldarti. Devi avere un gran freddo.

- Che Dio ti benedica!- rispose Stepanic. Entrò, scuotendosi di dosso la neve e si strofinò ben bene le scarpe al punto che barcollò e per poco non cadde.

- Non è niente - gli disse Martin. - Siediti e prendi un po' di tè.

Riempi due boccali e ne porse uno all'ospite. Stepanic bevve d'un fiato. Era chiaro che ne avrebbe gradito un altro po'. Martin gli riempi di nuovo il bicchiere. Mentre bevevano, Martin continuava a guardar fuori della finestra.

- Stai aspettando qualcuno? - gli chiese il visitatore.

- Ieri sera- rispose Martin - stavo leggendo di quando Cristo andò in casa di un fariseo che non lo accolse coi dovuti onori. Supponi che mi succeda qualcosa di simile. Cosa non farei per accoglierlo! Poi, mentre sonnecchiavo, ho udito qualcuno mormorare: "Guarda in strada domani, perché io verrò".

Mentre Stepanic ascoltava, le lacrime gli rigavano le guance. - Grazie, Martin Avdeic. Mi hai dato conforto per l'anima e per il corpo.

Stepanic se ne andò e Martin si sedette a cucire uno stivale. Mentre guardava fuori della finestra, una donna con scarpe da contadina passò di lì e si fermò accanto al muro. Martin vide che era vestita miseramente e aveva un bambino fra le braccia. Volgendo la schiena al vento, tentava di riparare il piccolo coi propri indumenti, pur avendo indosso solo una logora veste estiva. Martin uscì e la invitò a entrare. Una volta in casa, le offrì un po' di pane e della zuppa. - Mangia, mia cara, e riscaldati - le disse.

Mangiando, la donna gli disse chi era: - Sono la moglie di un soldato. Hanno mandato mio marito lontano otto mesi fa e non ne ho saputo più nulla. Non sono riuscita a trovare lavoro e ho dovuto vendere tutto quel che avevo per mangiare. Ieri ho portato al monte dei pegni il mio ultimo scialle.

Martin andò a prendere un vecchio mantello. - Ecco - disse. - È un po' liso ma basterà per avvolgere il piccolo.

La donna, prendendolo, scoppiò in lacrime. - Che il Signore ti benedica.

- Prendi - disse Martin porgendole del denaro per disimpegnare lo scialle. Poi l’accompagnò alla porta.

Martin tornò a sedersi e a lavorare. Ogni volta che un'ombra cadeva sulla finestra, sollevava lo sguardo per vedere chi passava. Dopo un po', vide una donna che vendeva mete da un paniere. Sulla schiena portava un sacco pesante che voleva spostare da una spalla all'altra. Mentre posava il paniere su un paracarro, un ragazzo con un berretto sdrucito passò di corsa, prese una mela e cercò di svignarsela. Ma la vecchia lo afferrò per i capelli. Il ragazzo si mise a strillare e la donna a sgridarlo aspramente.

Martin corse fuori. La donna minacciava di portare il ragazzo alla polizia. - Lascialo andare, nonnina - disse Martin. - Perdonalo, per amor di Cristo.

La vecchia lasciò il ragazzo. - Chiedi perdono alla nonnina - gli ingiunse allora Martin.

Il ragazzo si mise a piangere e a scusarsi. Martin prese una mela dal paniere e la diede al ragazzo dicendo: - Te la pagherò io, nonnina.

- Questo mascalzoncello meriterebbe di essere frustato - disse la vecchia.

- Oh, nonnina - fece Martin - se lui dovesse essere frustato per aver rubato una mela, cosa si dovrebbe fare a noi per tutti i nostri peccati? Dio ci comanda di perdonare, altrimenti non saremo perdonati. E dobbiamo perdonare soprattutto a un giovane sconsiderato.

- Sarà anche vero - disse la vecchia - ma stanno diventando terribilmente viziati.

Mentre stava per rimettersi il sacco sulla schiena, il ragazzo sì fece avanti. - Lascia che te lo porti io, nonna. Faccio la tua stessa strada.

La donna allora mise il sacco sulle spalle del ragazzo e si allontanarono insieme.

Martin tornò a lavorare. Ma si era fatto buio e non riusciva più a infilare l'ago nei buchi del cuoio. Raccolse i suoi arnesi, spazzò via i ritagli di pelle dal pavimento e posò una lampada sul tavolo. Poi prese la Bibbia dallo scaffale.

Voleva aprire il libro alla pagina che aveva segnato, ma si apri invece in un altro punto. Poi, udendo dei passi, Martin si voltò. Una voce gli sussurrò all'orecchio: - Martin, non mi riconosci?

- Chi sei? - chiese Martin.

- Sono io - disse la voce. E da un angolo buio della stanza uscì Stepanic, che sorrise e poi svanì come una nuvola.

- Sono io - disse di nuovo la voce. E apparve la donna col bambino in braccio. Sorrise. Anche il piccolo rise. Poi scomparvero.

- Sono io - ancora una volta la voce. La vecchia e il ragazzo con la mela apparvero a loro volta, sorrisero e poi svanirono.

Martin si sentiva leggero e felice. Prese a leggere il Vangelo là dove si era aperto il libro. In cima alla pagina lesse: Ebbi fame e mi deste da mangiare, ebbi sete e mi dissetaste, fui forestiero e mi accoglieste. In fondo alla pagina lesse: Quanto avete fatto a uno dei più piccoli dei miei fratelli, l’avete fatto a me.

Così Martin comprese che il Salvatore era davvero venuto da lui quel giorno e che lui aveva saputo accoglierlo.


di Lev Tolstoj

domenica 17 dicembre 2017

"La vita non è quella che si è vissuta ma quella che si ricorda e come la si ricorda per raccontarla."

Risultati immagini per alberi di natale anni 50



Per Natale voglio regalarmi un ricordo da vecchio. Uno di quei bei ricordi che le persone non più giovanissime hanno, ma evitano di raccontare proprio per non essere considerate persone non più giovanissime.


È il ricordo di un attesa. Una piccola cosa, s’intende. Una di quelle che sul momento non ci pensi davvero che poi ti accompagnerà tutta la vita.

È la storia di un fuciletto di latta che avevo chiesto in regalo a mio padre quando ero bambino.


A quei tempi usava e a nessuno veniva in mente che a giocare con fucili e pistole sparatappi poi una volta diventato grande saresti diventato un pericoloso criminale. E infatti anche io che amavo giocare ad indiani e cowboy, mica poi sono diventato indiano o cowboy. E non sono diventato nemmeno dottore perché giocavo al dottore e all’ammalato. Invece ammalato purtroppo qualche volta si, ma si tratta di un’eccezione.


Fatto è che questo fuciletto tardava ad arrivare. I motivi mi erano totalmente sconosciuti ed oggi potrei solo azzardare qualche possibile spiegazione: forse c’erano altre priorità, forse a casa eravamo tanti e per giustizia ed equità mio padre avrebbe dovuto armare anche i miei fratelli. Forse non aveva avuto tempo di cercarlo o forse chissà cosa.


Io però tutte le sere andavo ad aspettarlo sperando che quella fosse proprio la sera giusta.

A Roma a lavorare ci andava con il treno, ma poi dalla stazione a casa papà ci arrivava con un pullman che passava lungo la statale e, fatto scendere lui, proseguiva verso i paesi del viterbese.

Io mi sedevo sul muro di tufo che costeggiava la strada e aspettavo. E mentre aspettavo, nella mia fantasia sparavo colpi che uccidevano bisonti, o facevano cadere gli indiani apostati, come avevo visto nei film, sulla cima dei canyon.


Qualche sera contavo le macchine.

- Se la decima automobile che passa è un maggiolino, papà mi porta il fucile. Pensavo.

Poi la decima macchina era una 500, allora dicevo:

- No. Non la decima. Mi sono sbagliato, volevo dire la ventesima.


Il fucile arrivò una sera che non ricordo, quando ormai avevo perso il conto delle macchine che avevo visto passare. Arrivò con mio padre, sempre impeccabile nel suo vestito scuro e la borsa di pelle marrone ed io raggiante di felicità gli trotterellai dietro fino a casa, col mio fuciletto di latta stretto tra le mani.

Da quella sera lo tenni con me e lo trattai con tutti i riguardi, come si fa con le cose uniche e a lungo desiderate.


Per molti anni alimentò la mia fantasia di bambino. Poi sparì nel nulla. Magari crescendo lo lasciai per seguire una bambina o per chissà quale altro interesse, ma nonostante siano passati tanti anni, dentro di me non si è mai perso e lo sento sparare ancora piccoli colpi ogni volta che qualcosa mi innamora.


Adesso che viene Natale voglio regalarmi un pensiero da vecchio.

Sai uno di quei bei pensieri che i vecchi tengono per sé e non dicono per non essere considerati vecchi? Quello.

E penso che il troppo dei nostri giorni diventa inevitabilmente nulla. Che il chiasso diventa silenzio e che i mille contati che ognuno ha, diventano solitudine. Il tutto e subito diventano indifferenza.

Questo un po’ mi fa paura.


L’attesa conta ed io i miei nipoti non li vorrei ricchi di cose che non amano, ma di quel poco del quale riescono a prendersi cura. Di ciò che resta, che accende, che incuriosisce, che entusiasma. Di quello che ti innamora.

Il resto sono solo scatole o troppi regali da scartare che non ricorderai.


I vecchi di solito concludono dicendo che ai loro tempi era meglio. Io dirò che chi vuole capire, capirà.

Per quello che posso fare, prima che arrivi Natale salirò sul lungo muro di tufo rosso che per un tratto accompagna la statale e resterò in silenzio a guardare le automobili che sfrecciano veloci.

Ne conterò trenta e se la trentesima sarà rossa, sarà un Natale d’amore.

Speriamo.






Simone Angelo Cannatà

sabato 16 dicembre 2017

Librerie indipendenti




Entrate in libreria, al libraio fa piacere vedervi lì. Vedervi frugare fra tutti quei tesori. Chiedete, informatevi. Toccate con mano ogni pagina, leggete la quarta di copertina, la trama,  l'autore, la sua storia. Entrate nelle librerie, (non me ne voglia nessuno), meglio in quelle piccole, che si barcamenano ogni giorno per restare aperte. Dentro ci sono persone che amano i libri quanto voi. Li amano talmente tanto da essersi messi in gioco, di aver scelto di fare del libro, della lettura, la loro professione.
Entrate. Chiedete. Regalate un libro a Natale. Andate in quella piccola libreria, sì, quella all'angolo della strada. Quella sotto al portico che porta in città. Quella vicina al parco, alla  pasticceria. Sotto alle volte, vicino alla chiesa.
Ve ne saranno grati anche i libri. Li vedrete sorridere quando, scelti e scesi da uno scaffale o dalla vista curiosa di una vetrina, voleranno sulla carta lucida per essere impacchettati. I libri hanno bisogno d'amore e del calore dei nostri occhi e soffrono, nel grigiore d'uno scaffale dove, lavoratori sfruttati, stressati, infelici... bè lo sapete.

Buon Natale

venerdì 1 dicembre 2017

M'han detto





M'han detto

- sul palmo della mano è inciso il destino -

no
ho risposto
è un graffio quel segno


Il mio graffio alla vita

Post più popolari

W. Shakespeare SONNET116

W. Shakespeare SONNET116
Non sia mai ch'io ponga impedimenti all'unione di anime fedeli; Amore non è Amore se muta quando scopre un mutamento o tende a svanire quando l'altro s'allontana. Oh no! Amore è un faro sempre fisso che sovrasta la tempesta e non vacilla mai; è la stella-guida di ogni sperduta barca, il cui valore è sconosciuto, benché nota la distanza. Amore non è soggetto al Tempo, pur se rosee labbra e gote dovran cadere sotto la sua curva lama; Amore non muta in poche ore o settimane, ma impavido resiste al giorno estremo del giudizio: se questo è errore e mi sarà provato, io non ho mai scritto, e nessuno ha mai amato. W. Shakespeare

J.W. GOETHE

J.W. GOETHE
Si dovrebbe, almeno ogni giorno, ascoltare qualche canzone, leggere una bella poesia, vedere un bel quadro, e, se possibile, dire qualche parola ragionevole. Johann Wolfgang Goethe

Elenco blog personale