POESIE

domenica 17 dicembre 2017

"La vita non è quella che si è vissuta ma quella che si ricorda e come la si ricorda per raccontarla."

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Per Natale voglio regalarmi un ricordo da vecchio. Uno di quei bei ricordi che le persone non più giovanissime hanno, ma evitano di raccontare proprio per non essere considerate persone non più giovanissime.


È il ricordo di un attesa. Una piccola cosa, s’intende. Una di quelle che sul momento non ci pensi davvero che poi ti accompagnerà tutta la vita.

È la storia di un fuciletto di latta che avevo chiesto in regalo a mio padre quando ero bambino.


A quei tempi usava e a nessuno veniva in mente che a giocare con fucili e pistole sparatappi poi una volta diventato grande saresti diventato un pericoloso criminale. E infatti anche io che amavo giocare ad indiani e cowboy, mica poi sono diventato indiano o cowboy. E non sono diventato nemmeno dottore perché giocavo al dottore e all’ammalato. Invece ammalato purtroppo qualche volta si, ma si tratta di un’eccezione.


Fatto è che questo fuciletto tardava ad arrivare. I motivi mi erano totalmente sconosciuti ed oggi potrei solo azzardare qualche possibile spiegazione: forse c’erano altre priorità, forse a casa eravamo tanti e per giustizia ed equità mio padre avrebbe dovuto armare anche i miei fratelli. Forse non aveva avuto tempo di cercarlo o forse chissà cosa.


Io però tutte le sere andavo ad aspettarlo sperando che quella fosse proprio la sera giusta.

A Roma a lavorare ci andava con il treno, ma poi dalla stazione a casa papà ci arrivava con un pullman che passava lungo la statale e, fatto scendere lui, proseguiva verso i paesi del viterbese.

Io mi sedevo sul muro di tufo che costeggiava la strada e aspettavo. E mentre aspettavo, nella mia fantasia sparavo colpi che uccidevano bisonti, o facevano cadere gli indiani apostati, come avevo visto nei film, sulla cima dei canyon.


Qualche sera contavo le macchine.

- Se la decima automobile che passa è un maggiolino, papà mi porta il fucile. Pensavo.

Poi la decima macchina era una 500, allora dicevo:

- No. Non la decima. Mi sono sbagliato, volevo dire la ventesima.


Il fucile arrivò una sera che non ricordo, quando ormai avevo perso il conto delle macchine che avevo visto passare. Arrivò con mio padre, sempre impeccabile nel suo vestito scuro e la borsa di pelle marrone ed io raggiante di felicità gli trotterellai dietro fino a casa, col mio fuciletto di latta stretto tra le mani.

Da quella sera lo tenni con me e lo trattai con tutti i riguardi, come si fa con le cose uniche e a lungo desiderate.


Per molti anni alimentò la mia fantasia di bambino. Poi sparì nel nulla. Magari crescendo lo lasciai per seguire una bambina o per chissà quale altro interesse, ma nonostante siano passati tanti anni, dentro di me non si è mai perso e lo sento sparare ancora piccoli colpi ogni volta che qualcosa mi innamora.


Adesso che viene Natale voglio regalarmi un pensiero da vecchio.

Sai uno di quei bei pensieri che i vecchi tengono per sé e non dicono per non essere considerati vecchi? Quello.

E penso che il troppo dei nostri giorni diventa inevitabilmente nulla. Che il chiasso diventa silenzio e che i mille contati che ognuno ha, diventano solitudine. Il tutto e subito diventano indifferenza.

Questo un po’ mi fa paura.


L’attesa conta ed io i miei nipoti non li vorrei ricchi di cose che non amano, ma di quel poco del quale riescono a prendersi cura. Di ciò che resta, che accende, che incuriosisce, che entusiasma. Di quello che ti innamora.

Il resto sono solo scatole o troppi regali da scartare che non ricorderai.


I vecchi di solito concludono dicendo che ai loro tempi era meglio. Io dirò che chi vuole capire, capirà.

Per quello che posso fare, prima che arrivi Natale salirò sul lungo muro di tufo rosso che per un tratto accompagna la statale e resterò in silenzio a guardare le automobili che sfrecciano veloci.

Ne conterò trenta e se la trentesima sarà rossa, sarà un Natale d’amore.

Speriamo.






Simone Angelo Cannatà

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