POESIE

lunedì 18 gennaio 2016

Continuando con KAFKA:


da: STORIE - RIVISTA INTERNAZIONALE DI CULTURA -




( Stefano Milioni)


[...] Qualche anno fa Roman Polanski, a proposito della messa in scena a Parigi de “La metamorfosi” di Kafka, sosteneva di scorgere da sempre nell’opera dello scrittore praghese una vena neanche tanto nascosta di comicità. E aggiungeva, anzi, che questa sfuggiva completamente a uno spettatore non est europeo, abituato, o forse condannato, dalla scuola e da svariati libri a considerare Kafka esclusivamente come lo scrittore della colpa e del vuoto.

Milan Kundera appoggiava pienamente la visione di Polanski: “Credo che il modo, non soltanto mio, ma dei cechi in generale, di capire Kafka è sicuramente diverso da quello vostro. Per noi Kafka è uno scrittore realistico perché la sua è una visione lucida della realtà. Nessuno di noi legge i suoi libri come se fossero delle allegorie. Inoltre siamo molto più sensibili al suo humour. La specificità dello humour di Kafka è che una certa comicità accompagna l’uomo in tutte le sue azioni”.
Il fatto che un regista visionario come David Lynch (nei film del quale, ad esempio in “Eraserhead”, è sempre presente una forte componente di nerissimo humour) abbia in progetto la realizzazione cinematografica de “La metamorfosi”, sembrerebbe avvalorare le tesi di Polanski e Kundera.


Guido Crespi, autore dell’interessante e curioso “Kafka umorista”, libro edito dalla Shakespeare and Company nel 1983 ed ora giunto alla terza edizione. All’immagine che si ha abitualmente di Kafka, quella di un uomo sofferente e perennemente angosciato, Crespi contrappone qui, o meglio fa coesistere, quella di un uomo apparentemente normale, dotato 
anzi di uno humour veramente fuori dal comune. Nelle parole del suo più caro amico Max Brod: “Sovente gli ammiratori di Kafka, che lo conoscono soltanto per aver letto i suoi libri, hanno di lui una immagine totalmente falsa. Pensano che dovesse apparire ai suoi amici come una persona triste, anzi disperata. Era esattamente il contrario”.

Basterebbero a dimostrarlo le pagine iniziali del libro, in cui è citata una lettera di Kafka del 1913, indirizzata alla sua prima fidanzata, Felice. Kafka le descrive la scena della piccola cerimonia privata, con la quale si celebra la sua promozione e quella di due colleghi che con lui lavorano all’interno dell’Istituto di Assicurazione contro gli infortuni dei lavoratori di Praga. Ne scaturisce un episodio degno del Woody Allen di “Amore e guerra”. Gli ingredienti ci sono proprio tutti. C’è il Presidente, descritto come “raffinato per l’occasione solenne, tale da ricordare un po’ l’atteggiamento del nostro imperatore nelle udienze”; ci sono gli impiegati, Kafka e i due colleghi, che vedono nel Presidente un essere superiore, l’emanazione di una creatura quasi divina; e c’è il cerimoniale, formale, apparentemente e assurdamente simile a mille altri: il discorso pomposo, gli atteggiamenti un poco forzati. Ed in più c’è lui, Kafka o, meglio, il suo vero volto nascosto. Lui, l’Angosciatissimo, che nel mezzo dell’incontro, sente prorompere dal petto un irrefrenabile bisogno di ridere. Cerca di contenersi ed è così che maschera con ogni mezzo quell’improvviso, liberatorio bisogno. Colpi di tosse, sguardo basso e come sempre timido, risate (probabilmente esagerate) ai garbati scherzetti del Presidente. Ma, fatalmente, si giunge al momento cruciale:

“Allorché dunque con larghi gesti delle mani tirò fuori alcune frasi melense, fu troppo per me; il mondo che fino a quel momento avevo ancora avuto davanti agli occhi, scomparve del tutto, ed attaccai una risata così cordiale, così forte, così priva di riguardi, come si può forse trovare tra alunni del popolo sui banchi di scuola”.

A questa sorta di introduzione seguono vari capitoli ricchi di aneddoti, sull’infanzia, i tormentati amori, sulla divertita frequentazione dei bordelli, e sugli eventuali meccanismi dell’umorismo in Kafka, nei suoi più o meno celebrati racconti e romanzi. Ma mi sembra che il nocciolo della questione, e forse anche della visione del mondo dello scrittore praghese, possano racchiudersi proprio nel breve fatto narrato. Siano scene della sua vita privata, spesso legate alle tormentate vicende sentimentali, o siano immagini colte qua e là nella pur presente disperazione delle sue opere: con lui si sconfina sempre e comunque nel regno dell’assurdo. Kafka vive di fronte all’assurdo. E l’assurdo non è solo terrificante: ha un aspetto ridicolo. Terrificante e ridicolo è l’aspetto di Gregorio Samsa, il commesso viaggiatore de “La metamorfosi”, che tenta, malgrado l’orrenda trasformazione, di riprendere la sua vita come se nulla, assolutamente nulla, fosse accaduto.

Da qui il dramma, da qui il risibile: il dramma del non essere, e forse di non voler essere, all’altezza di un mondo che mostra un volto ostile e nemico; e, d’altra parte, il ridicolo della propria degradazione e inadeguatezza. Questa forse la sua grandezza e la profondità delle sue vedute, del resto così attuali. Questa, in fondo, la sua umanità, con tutte le debolezze del caso. Dalle parole di Nietzsche: “Probabilmente io so perché solamente l’uomo è capace di ridere. Egli soffre così profondamente che ha dovuto inventare il riso. L’uomo, ossia l’uomo più infelice e malinconico, è in tutta evidenza anche l’animale più allegro”.



KAFKA: FRA UMORISMO E PARADOSSO
di Alfonso Pasti

Il destino curioso di umoristi e inventori del riso è quello di uomini tristi al punto da scovare nell’universale incompiutezza l’eccezionalità del paradosso. E di paradossi – da che sorriso è sorriso – s’è sempre cibata la “cultura umoristica”. L’enciclopedico immaginario di Borges è talvolta così eccessivo da risultare familiare nella sua assonanza fra allegoria e allegria. E poi il cinema: Chaplin è tutto nel suo indispensabile Charlot, eroe minuto e sventurato, romantico e vulnerabile. Buster Keaton è la smorfia di uno sconfitto alle prese con eventi e interlocutori imponderabili. Woody Allen è quello che ne “Il dormiglione” fugge inseguito da ortaggi giganteschi quasi quanto le sue insicurezze. Peter Sellers è stato regolarmente descritto come persona ombrosa e appartata capace, tuttavia, di invenzioni irresistibili come a voler offrire sporadico respiro alle sue ritrosie.

Dunque profili, quelli appuntati appena, che somigliano a generose parti della biografia kafkiana. Kafka vero personaggio della sua opera, Kafka autentica morale dei suoi scritti.

Se il proverbiale incipit de “La metamorfosi” s’è meritato pagine e pagine di possibili interpretazioni, la sua assurda parabola confina largamente con la sostenibile ironia della sorte. Non a caso l’unico racconto incessantemente drammatico dello scrittore praghese sembra “La tana” in cui s’immagina bestia intrappolata nel suo ricovero. E, se alla sua vita si pone vera attenzione, si scopre che il racconto fu scritto fra il 1923 e il 1924. Probabilmente, come ebbe a riferire lo stesso Kafka nei suoi diari e successivamente l’inseparabile amico Max Brod, l’unico periodo della sua vita in cui si sentì felice. Andò ad abitare a Berlino con Dora Dymant che aveva conosciuto mesi prima sulle rive del mar Baltico. Quella con Dora fu l’unica storia compiuta (e quieta) della sua vita.


Da Storie 4/1993 – Il declino del pranzo

Nessun commento:

Posta un commento

scripta manent

Post più popolari

W. Shakespeare SONNET116

W. Shakespeare SONNET116
Non sia mai ch'io ponga impedimenti all'unione di anime fedeli; Amore non è Amore se muta quando scopre un mutamento o tende a svanire quando l'altro s'allontana. Oh no! Amore è un faro sempre fisso che sovrasta la tempesta e non vacilla mai; è la stella-guida di ogni sperduta barca, il cui valore è sconosciuto, benché nota la distanza. Amore non è soggetto al Tempo, pur se rosee labbra e gote dovran cadere sotto la sua curva lama; Amore non muta in poche ore o settimane, ma impavido resiste al giorno estremo del giudizio: se questo è errore e mi sarà provato, io non ho mai scritto, e nessuno ha mai amato. W. Shakespeare

J.W. GOETHE

J.W. GOETHE
Si dovrebbe, almeno ogni giorno, ascoltare qualche canzone, leggere una bella poesia, vedere un bel quadro, e, se possibile, dire qualche parola ragionevole. Johann Wolfgang Goethe

Elenco blog personale