POESIE

martedì 28 febbraio 2012

Le trasformazioni di Pictor


Le trasformazioni di Pictor

(Hermann Hesse)



Appena giunto in paradiso Pictor si trovò dinnanzi ad un albero che era insieme uomo

e donna. Pictor salutò l'albero con riverenza e chiese: "Sei tu l'albero della vita?". Ma
quando, invece dell'albero, volle rispondergli il serpente, egli si voltò e andò oltre. Era
tutt'occhi, ogni cosa gli piaceva moltissimo. 
Sentiva chiaramente di trovarsi nella patria e alla fonte della vita. E di nuovo vide un albero, che era insieme sole e luna.
Pictor chiese: "Sei tu l'albero della vita?".
Il sole annuì e sorrise. Fiori meravigliosi lo guardavano, con una moltitudine di colori e
di luminosi sorrisi, con una moltitudine di occhi e di visi. Alcuni annuivano e ridevano,
altri annuivano e non sorridevano: ebbri tacevano, in se stessi si perdevano, nel loro
profumo si fondevano. Un fiore cantò la canzone del lillà, un fiore cantò la profonda
ninna nanna azzurra. Uno dei fiori aveva grandi occhi blu, un altro gli ricordava il
primo amore. Uno aveva il profumo del giardino dell'infanzia, il suo dolce profumo
risuonava come la voce della mamma. Un altro, ridendo, allungò verso di lui la sua
rossa lingua curva. Egli vi leccò, aveva un sapore forte e selvaggio, come di resina e di
miele, ma anche come di un bacio di donna.
Tra tutti questi fiori stava Pictor, pieno di struggimento e di gioia inquieta. Il suo
cuore, quasi fosse una campana, batteva forte, batteva tanto; il suo desiderio ardeva
verso l'ignoto, verso il magicamente prefigurato.
Pictor scorse un uccello sull'erba posato e di luminosi colori ammantato, di tutti i colori
il bell'uccello sembrava dotato. Al bell'uccello variopinto egli chiese: "Uccello, dove è
dunque la felicità?".
"La felicità?" disse il bell'uccello e rise con il suo becco dorato, "la felicità, amico, è
ovunque, sui monti e nelle valli, nei fiori e nei cristalli".
Con queste parole l'uccello spensierato scosse le sue piume, allungò il collo, agitò la
coda, socchiuse gli occhi, rise un'ultima volta e poi rimase seduto immobile, seduto
fermo nell'erba, ed ecco: l'uccello era diventato un fiore variopinto, le piume si erano
trasformate in foglie, le unghie in radici. Nella gloria dei colori, nella danza e negli
splendori, l'uccello si era fatta pianta. Pictor vide questo con meraviglia.
E subito il fiore-uccello cominciò a muovere le sue foglie e i suoi pistilli, già era stanco
del suo essere fiore, già non aveva più radici, scuotendosi un po' si innalzò lentamente e
fu una splendida farfalla, che si cullò nell'aria, senza peso, tutta di luce soffusa,
splendente nel viso. Pictor spalancò gli occhi dalla meraviglia.
Ma la nuova farfalla, l'allegra variopinta farfalla-fiore-uccello, il luminoso volto
colorato volò intorno a Pictor stupefatto, luccicò al sole, scese a terra lieve come un
fiocco di neve, si sedette vicino ai piedi di Pictor, respirò dolcemente, tremò un poco
con le ali splendenti, ed ecco, si trasformò in un cristallo colorato, da cui si irraggiava
una luce rossa. Stupendamente brillava tra erbe e piante, come rintocco di campana
festante, la rossa pietra preziosa. Ma la sua patria, la profondità della terra, sembrava
chiamarla; subito incominciò a rimpicciolirsi e minacciò di scomparire. Allora Pictor,
spinto da un anelito incontenibile, si protese verso la pietra che stava svanendo a la tirò
a sé. Estasiato, immerse lo sguardo nella sua luce magica, che sembrava irraggiargli nel
cuore il presentimento di una piena beatitudine.
All'improvviso, strisciando sul ramo di un albero disseccato, il serpente gli sibilò
nell'orecchio:" La pietra ti trasforma in quello che vuoi. Presto, dille il tuo desiderio,
prima che sia troppo tardi!".
Pictor si spaventò e temette di vedere svanire la sua fortuna. Rapido disse la parola e si
trasformò in un albero. Giacché più di una volta aveva desiderato essere albero, perché
gli alberi gli apparivano così pieni di pace, di forza e di dignità.
Pictor divenne albero. Penetrò con le radici nella terra, si allungò verso l'alto, foglie e
rami germogliarono dalle sue membra. Era molto contento. Con fibre assetate succhiò
nelle fresche profondità della terra e con le sue foglie sventolò alto nell'azzurro. Insetti
abitavano nella sua scorza, ai suoi piedi abitavano il porcospino e il coniglio, tra i suoi
rami gli uccelli.
L'albero Pictor era felice e non contava gli anni che passavano. Passarono molti anni
prima che si accorgesse che la sua felicità non era perfetta. Solo lentamente imparò a
guardare con occhi d'albero. Finalmente poté vedere, e divenne triste.
Vide infatti che intorno a lui nel paradiso gran parte degli esseri si trasformava assai
spesso, che tutto anzi scorreva in un flusso incantato di perenni trasformazioni. Vide
fiori diventare pietre preziose o volarsene via come folgoranti colibrì. Vide accanto a
sé più d'un albero scomparire all'improvviso: uno si era sciolto in fonte, un altro era
diventato coccodrillo, un altro ancora nuotava fresco e contento, con grande
godimento, come pesce allegro guizzando, nuovi giochi in nuove forme inventando.
Elefanti prendevano la veste di rocce, giraffe la forma di fiori.
Lui invece, l'albero Pictor, rimaneva sempre lo stesso, non poteva più trasformarsi. Dal
momento in cui capì questo, la sua felicità se ne svanì: cominciò ad invecchiare e
assunse sempre più quell'aspetto stanco, serio e afflitto, che si può osservare in molti
vecchi alberi. Lo si può vedere tutti i giorni anche nei cavalli, negli uccelli, negli uomini
e in tutti gli esseri: quando non possiedono il dono della trasformazione, col tempo
sprofondano nella tristezza e nell'abbattimento, e perdono ogni bellezza.
Un bel giorno, una fanciulla dai capelli biondi e dalla veste azzurra si perse in quella
parte del paradiso. Cantando e ballando la bionda fanciulla correva tra gli alberi e
prima di allora non aveva mai pensato di desiderare il dono della trasformazione.
Più di una scimmia sapiente sorrise al suo passaggio, più di un cespuglio l'accarezzò
lieve con le sue propaggini, più di un albero fece cadere al suo passaggio un fiore, una
noce, una mela, senza che lei vi badasse.
Quando l'albero Pictor scorse la fanciulla, lo prese un grande struggimento, un
desiderio di felicità come non gli era ancora mai accaduto. E allo stesso tempo si trovò
preso in una profonda meditazione, perché era come se il suo stesso sangue gli
gridasse :" Ritorna in te! Ricordati in questa ora di tutta la tua vita, trovane il senso,
altrimenti sarà troppo tardi e non ti sarà più data alcuna felicità". Ed egli ubbidì.
Rammemorò la sua origine, i suoi anni di uomo, il suo cammino verso il paradiso, e in
modo particolare quell'istante prima che si facesse albero, quell'istante meraviglioso in
cui aveva avuto in mano quella pietra fatata. Allora, quando ogni trasformazione gli era
aperta, la vita in lui era stata ardente come non mai! Si ricordò dell'uccello che allora
aveva riso e dell'albero con la luna e il sole; lo prese il sospetto che allora avesse perso,
avesse dimenticato qualcosa, e che il consiglio del serpente non era stato buono.
La fanciulla udì un fruscio tra le foglie dell'albero Pictor, alzò lo sguardo e sentì, con
un improvviso dolore al cuore, nuovi pensieri, nuovi desideri, nuovi sogni muoversi
dentro di lei. Attratta dalla forza sconosciuta si sedette sotto l'albero. Esso le appariva
solitario, solitario e triste, e in questo bello, commovente e nobile nella sua muta
tristezza; era incantata dalla canzone che sussurrava lieve la sua chioma. Si appoggiò al
suo tronco ruvido, sentì l'albero rabbrividire profondamente, sentì lo stesso brivido nel
proprio cuore. Il suo cuore era stranamente dolente, nel cielo della sua anima
scorrevano nuvole, dai suoi occhi cadevano lentamente pesanti lacrime. Cosa stava
succedendo? Perché doveva soffrire così? Perché il suo cuore voleva spaccare il petto
e andare a fondersi con lui, con esso, con il bel solitario?
L'albero tremò silenzioso fin nelle radici, tanto intensamente raccoglieva in sé ogni
forza vitale, proteso verso la fanciulla, in un ardente desiderio di unione. Ohimé,
perché si era lasciato raggirare dal serpente per essere confinato così, per sempre, solo
in un albero! Oh, come era stato cieco, come era stato stolto! Davvero allora sapeva
così poco, davvero allora sapeva così poco, davvero era stato così lontano dal segreto
della vita? No, anche allora l'aveva oscuramente sentito e presagito, ohimé! E con
dolore e profonda comprensione pensò ora all'albero che era fatto di uomo e di donna!
Venne volando un uccello, rosso e verde era l'uccello, ardito e bello , mentre
descriveva nel cielo un anello. La fanciulla lo vide volare, vide cadere dal suo becco
qualcosa che brillò rosso come sangue, rosso come brace, e cadde tra le verdi piante,
splendette di tanta familiarità tra le verdi piante, il richiamo squillante della sua rossa
luce era tanto intenso, che la fanciulla si chinò e sollevò quel rossore. Ed ecco che era
un cristallo, un rubino, ed intorno ad esso non vi può essere oscurità.
Non appena la fanciulla ebbe preso la pietra fatata nella sua mano bianca,
immediatamente si avverò il sogno che le aveva riempito il cuore. La bella fu presa,
svanì e divenne tutt'uno con l'albero, si affacciò dal suo tronco come un robusto
giovane ramo che rapido si innalzò verso di lui.
Ora tutto era a posto, il mondo era in ordine, solo ora era stato trovato il paradiso,
Pictor non era più un vecchio albero intristito, ora cantava forte Pictoria. Vittoria.
Era trasformato. E poiché questa volta aveva raggiunto la vera, l'eterna
trasformazione, perché da una metà era diventato un tutto, da quell'istante poté
continuare a trasformarsi, tanto quanto voleva. Incessantemente il flusso fatato del
divenire scorreva nelle sue vene, perennemente partecipava della creazione risorgente
ad ogni ora.
Divenne capriolo, divenne pesce, divenne uomo e serpente, nuvola e uccello. In ogni
forma però era intero, era un "coppia", aveva in sé luna e sole, uomo e donna, scorreva
come fiume gemello per le terre, stava come stella doppia in cielo.

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