Volevo vivere una storia d'amore che avesse un tono musicale. Cercavo quella sillaba, la più sospirata da ogni innamorato, la più desiderata: da ogni innamorata. Cercavo tra gli spartiti un SI. Mi capitò un bemolle. Lo presi fra le dita cercando di non fargli male. Con dolcezza lo adagiai in una scatola e per metterlo a suo agio, attaccai un bequadro sulla parete di cartone. Forai il coperchio perché entrasse aria e quando, dopo giorni di nutrimento a solfeggi e scale lui iniziò a fidarsi di me - lo lasciai libero nella mia casa. Cresceva a vista d'occhio, anche se raramente, per timidezza, si mostrava a occhio nudo. Intonava solfeggi monotòni per compiacermi. Alternando-SI con altri SI.
Mi sembrava felice. E forse lo era davvero. Nutriva la mia anima di eteree astrusità; fingeva di cadere nella vasca di Pesce Rosso mentre era Pesce che curioso, attratto da quella melodia, si avvicinava al bordo della vasca, per poterlo sentire più forte. Si librava in aria fingendo di volare, mentre era solo la pala del ventilatore, che soffiando aria fresca, lo sbalzava sul soffitto. Erano giorni idilliaci, d'amore, non fosse altro che l'amore ha bisogno di note. Di note molto cupe, a volte, come il DO profondo - di un de profundis. Perché si sa che l'amore giace quando un sì tace. La mancanza di dialogo incrina. Il nostro rapporto aveva bisogno di una scossa, salii di una ottava e un SI troppo acuto, frantumò la vasca di Pesce Rosso che finì a terra boccheggiando. Fu la nota che fece traboccare il vaso. Decidemmo di suonare, tentando di dimenticare. Il destino volle che nel mezzo di un vibrato un MI cadesse dall’archetto.
SI accorse e fra le sue braccia lo accolse.
Fu un istante e la loro perfetta sintonia, mi travolse. Li udivo alternarsi in oziosi solfeggi. Volteggiare in Fortepiano fra Accenti e Sincopi. Una Pausa e tra noi fu il silenzio. Non riuscivo a tollerare il loro incontrarsi tra le mie corde. Furono giorni sempre più difficili, impossibile suonare senza di loro. SI era esaurito - il nostro tempo era morto. Mi diressi, con passo rapido e ben disteso, dall'analista che mi fece entrare nel suo studio e, indicandomi il lettino, esclamò:
- SI sdrai. MI dica.
Delusa dalla sua mancanza di tatto, rimasi in silenzio molto a lungo. Forse troppo a lungo. Quando mi voltai verso di lui, lo vidi addormentato sulla poltrona.
Lo coprii d'insulti così che non prendesse freddo, e me ne andai.
geniale Anto!!!
RispondiEliminaComplimenti davvero
Un abbraccio
accetti un piccolo suggerimento?
RispondiEliminaFu la nota (goccia) che fece traboccare il vaso.
Mi autorizzi a riproporlo sul mio blog?
Grazie Luigi. Certo, è un piacere per me la tua consivisione. Prima però metto la nota al posto della goccia. Ottimo suggerimento 😊
EliminaGrazie Luigi, per avercelo fatto leggere :)
EliminaBellissimo il post, veramente!
RispondiEliminaTra l'altro in questi giorno, casualmente, sto leggendo un sacco di libri in cui la storia in un modo o nell'altro è incentrata sulla musica (e sui violini).
A tal proposito, provo a consigliarti quello che ho finito proprio ieri "Il violino nero" di Maxence Fermine.
Quanto al tuo post, a caldo, la prima reazione che si ha quando quella che credevi la tua nota si incontra con un'altra è uguale un po' per tutti, io credo: rabbia, delusione, dolore e voglia di silenzio. Eppure poi credo che arrivi anche la consapevolezza che, semplicemente, stavamo suonando lo spartito sbagliato. Quello giusto esiste e ci si accorge della cosa perché è destinato ad allietare le nostre orecchie per sempre :-)
Una meravigliosa novella di gelosia musicale.
RispondiEliminaA presto,
Ciao fulvio
Grazie a tutti per i commenti! Paola, sì lo cercherò, grazie per il consiglio.
RispondiEliminaA buon rileggerci, a presto.