POESIE

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venerdì 9 marzo 2018

Mi piacerebbe proprio inventare una parola.

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Mi piacerebbe proprio inventare una parola. Ma una parola bella. Stella, croccante, mamma, planetario, coccinella, biplano, astro: chi le avrà inventate queste parole belle e tutte le altre che lo sono?

Certo all'inizio sarà stato facile, potevi fare come ti pareva perché le parole erano tutte da inventare. Ti svegliavi una mattina e dicevi: "scoiattolo" e quel nome lo assegnavi alla prima cosa che ti trovavi davanti agli occhi.
Se, ad esempio, la prima cosa che avevi visto era un chicco di grandine, da quel momento si sarebbe chiamato scoiattolo.


"Vengono giù scoiattoli grossi come noci!", si direbbe oggi, sempre ipotizzando che per noci si intendano i famosi frutti e che questa parola non fosse stata assegnata ai girini dello stagno.

Comunque vada, le parole quando sono belle fanno bene.
Io ne vorrei inventare una nuova, bellissima, che cacci via la stanchezza e mi faccia sentire come quando dopo aver camminato a lungo senza ombrello sotto la pioggia fredda, ti immergi in un bagno tiepido e fumoso che qualcuno ha preparato per te.







Simone Angelo Cannatà)

sabato 3 febbraio 2018

Diary

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Facebook è un diario, qualche volta impietoso. Qualche anno fa in questo stesso giorno fotografai la neve che cadeva in collina. Poi ci fu un due febbraio che piovve tanto. Un anno fotografai un ramo di mandorlo fiorito contro un cielo blu, segno che proprio oggi era già primavera.
Tutto torna. Anche le parole che hai scritto. A volte è un piacere e a volte è un dolore, ma i diari sono sempre esistiti ed erano agende, quaderni, foglietti sparsi. Per qualcuno il calendario appeso al muro.


Io ero uno disordinato. Potevo conservare il conto di una cena al ristorante e anni dopo attraverso quello ricordare l’esatta immagine di quella cena. Persino la faccia dei camerieri e la luce che c’era. Però scrivere no, non prendevo appunti.
Il tempo poi faceva la sua parte, cancellava i ricordi meno belli, alcuni li trasformava in meglio, qualcuno sembrava proprio che non ti appartenesse e qualcuno rimaneva tale e quale.
Oggi c’è vento. Tanto vento.
Lo dico per gli anni che verranno.

/Simone Angelo Cannatà)

sabato 30 dicembre 2017

Se fossi un giorno dell’anno

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Se fossi un giorno dell’anno, vorrei essere il penultimo giorno dell’anno.
Perché è in questo giorno che ognuno pensa tra sé e sé quanto in fretta è passato il tempo e che domani l’anno che sembra ieri che era gennaio invece è già finito.
Ed è un pensiero tutto d’un fiato, senza virgole e senza pause.

Ma poi? Dov’è che è andato questo tempo? Io non me ne sono accorto che stava passando.
Ho fatto la spesa di corsa, all’uscita dall’ufficio nelle sere anonime dei giorni banali, tra i lava pavimento elettrici dei supermercati in chiusura e le voci stanche delle commesse dagli altoparlanti. Poi a casa.
- Stasera vado a letto presto.


Mi sta bene. Sempre tutto di fretta, sempre mille cose da fare, e il tempo si adegua. Corre anche lui.
Nemmeno l’opportunità dei tempi supplementari come nel calcio.

- Vieni qua brutto scemo. Quanto tempo, quanti giorni hai perso? Venti?
Prendi: questo è un buono per venti giorni da spendere entro il prossimo anno.
Usali per fermarti un momento. Scialacquali seduto su uno scoglio a guardare i tramonti, a stringere mani, a perderti nei sorrisi dei bambini. A dirle che le vuoi bene.

- Grazie.

Non è tanto il tempo che passa, ma quello che si è perso per ciò che non era importante. Il prossimo anno ci starò più attento.


Simone Angelo Cannatà

domenica 17 dicembre 2017

"La vita non è quella che si è vissuta ma quella che si ricorda e come la si ricorda per raccontarla."

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Per Natale voglio regalarmi un ricordo da vecchio. Uno di quei bei ricordi che le persone non più giovanissime hanno, ma evitano di raccontare proprio per non essere considerate persone non più giovanissime.


È il ricordo di un attesa. Una piccola cosa, s’intende. Una di quelle che sul momento non ci pensi davvero che poi ti accompagnerà tutta la vita.

È la storia di un fuciletto di latta che avevo chiesto in regalo a mio padre quando ero bambino.


A quei tempi usava e a nessuno veniva in mente che a giocare con fucili e pistole sparatappi poi una volta diventato grande saresti diventato un pericoloso criminale. E infatti anche io che amavo giocare ad indiani e cowboy, mica poi sono diventato indiano o cowboy. E non sono diventato nemmeno dottore perché giocavo al dottore e all’ammalato. Invece ammalato purtroppo qualche volta si, ma si tratta di un’eccezione.


Fatto è che questo fuciletto tardava ad arrivare. I motivi mi erano totalmente sconosciuti ed oggi potrei solo azzardare qualche possibile spiegazione: forse c’erano altre priorità, forse a casa eravamo tanti e per giustizia ed equità mio padre avrebbe dovuto armare anche i miei fratelli. Forse non aveva avuto tempo di cercarlo o forse chissà cosa.


Io però tutte le sere andavo ad aspettarlo sperando che quella fosse proprio la sera giusta.

A Roma a lavorare ci andava con il treno, ma poi dalla stazione a casa papà ci arrivava con un pullman che passava lungo la statale e, fatto scendere lui, proseguiva verso i paesi del viterbese.

Io mi sedevo sul muro di tufo che costeggiava la strada e aspettavo. E mentre aspettavo, nella mia fantasia sparavo colpi che uccidevano bisonti, o facevano cadere gli indiani apostati, come avevo visto nei film, sulla cima dei canyon.


Qualche sera contavo le macchine.

- Se la decima automobile che passa è un maggiolino, papà mi porta il fucile. Pensavo.

Poi la decima macchina era una 500, allora dicevo:

- No. Non la decima. Mi sono sbagliato, volevo dire la ventesima.


Il fucile arrivò una sera che non ricordo, quando ormai avevo perso il conto delle macchine che avevo visto passare. Arrivò con mio padre, sempre impeccabile nel suo vestito scuro e la borsa di pelle marrone ed io raggiante di felicità gli trotterellai dietro fino a casa, col mio fuciletto di latta stretto tra le mani.

Da quella sera lo tenni con me e lo trattai con tutti i riguardi, come si fa con le cose uniche e a lungo desiderate.


Per molti anni alimentò la mia fantasia di bambino. Poi sparì nel nulla. Magari crescendo lo lasciai per seguire una bambina o per chissà quale altro interesse, ma nonostante siano passati tanti anni, dentro di me non si è mai perso e lo sento sparare ancora piccoli colpi ogni volta che qualcosa mi innamora.


Adesso che viene Natale voglio regalarmi un pensiero da vecchio.

Sai uno di quei bei pensieri che i vecchi tengono per sé e non dicono per non essere considerati vecchi? Quello.

E penso che il troppo dei nostri giorni diventa inevitabilmente nulla. Che il chiasso diventa silenzio e che i mille contati che ognuno ha, diventano solitudine. Il tutto e subito diventano indifferenza.

Questo un po’ mi fa paura.


L’attesa conta ed io i miei nipoti non li vorrei ricchi di cose che non amano, ma di quel poco del quale riescono a prendersi cura. Di ciò che resta, che accende, che incuriosisce, che entusiasma. Di quello che ti innamora.

Il resto sono solo scatole o troppi regali da scartare che non ricorderai.


I vecchi di solito concludono dicendo che ai loro tempi era meglio. Io dirò che chi vuole capire, capirà.

Per quello che posso fare, prima che arrivi Natale salirò sul lungo muro di tufo rosso che per un tratto accompagna la statale e resterò in silenzio a guardare le automobili che sfrecciano veloci.

Ne conterò trenta e se la trentesima sarà rossa, sarà un Natale d’amore.

Speriamo.






Simone Angelo Cannatà

lunedì 27 novembre 2017

sani di mente









Ho deciso di non salutare più i vicini. Spero non me ne vogliano. Li incontrerò sul pianerottolo, davanti all’ascensore? Nell’androne in basso al palazzo? Rimarrò muto, impassibile come una statua di pietra.
Perdonatemi, so che non è bello, ma non voglio correre rischi.
Non avete fatto caso che le persone normali che poi improvvisamente danno di matto e compiono delitti inenarrabili, erano tutte persone che salutavano i vicini?

- Ci può dire qualcosa del suo vicino? Che tipo era prima di stuprare l’inquilina novantenne dell’ultimo piano per poi gettarla dalla finestra dopo averle rubato la pensione dal cassetto del comò e averle infine strozzato i gatti lasciandone i corpi appesi come giacche nell’armadio nella casa che poi ha dato alle fiamme? - chiede col microfono in mano il giornalista della tivù del pomeriggio.
- Ma guardi, era tanto una brava persona. Salutava sempre.


Niente. Non batterò ciglio. Nemmeno un muscolo della mia faccia accennerà un movimento che somigli ad un ciao, ad un buongiorno, ad una buonasera.
Se questo è l’unico modo per rimanere sani di mente, vi tolgo il saluto







Simone Angelo Cannatà

giovedì 9 novembre 2017

"La vita non è quella che si è vissuta, ma quella che si ricorda e come la si ricorda per raccontarla." G.G. Marquez




Un ragazzo che conosco io festeggerà a giorni il suo diciottesimo compleanno e sta organizzando una festicciola con gli amici.
In tutto non saranno più di ottanta persone, mi diceva, ma siccome due o tre sono ancora in forse, allora è possibile che non siano più di settantasette o settantotto in tutto.
È matematica.

Ha cercato una bella sala in affitto, e questo oggi porta il nome di location. Ha concordato un servizio di catering con un noto ristorante della zona, prenotato gli addobbi floreali presso un fioraio (e sennò dove), si è sentito con una ditta di Salerno per i fuochi artificiali di mezzanotte.
- Per la musica verranno gli U2? - gli ho chiesto.
Mi ha guardato tra il serio e il costernato. No, suoneranno dei ragazzi amici suoi, ma qui in zona sono famosi e hanno migliaia di visite e di like su Youtube.
- Se hanno i like mi sento più sollevato - gli ho risposto sorridendo.

E avrei voluto continuare a sorridere, ma io sono uno che i pensieri diventano subito sole, o nuvole cupe che attraversano lo sguardo e non c’è niente da fare.

Mi sono ritrovato in un attimo nei miei diciott'anni. Li avrò festeggiati? Non lo ricordo esattamente, ma se ciò è stato, sarà stato con le modalità tipiche di quegli anni per le famiglie nella stessa condizione della mia.

Mia madre avrà preparato un Pan di Spagna farcito con uno strato di crema fatta in casa e uno strato di crema mischiata col cacao amaro: la nostra cioccolata. Per l'occasione della maggiore età avrà bagnato quel dolce con del vero caffè e non con acqua, zucchero e una punta di alchermes come faceva per i compleanni da bambino. Ma poi sono certo che si sarà pentita perché per crescere c'è sempre tempo e il caffè ai bambini non si da e allora lo avrà allungato per sicurezza con dell'acqua. Mi pare di vederla.

Avrò festeggiato con i soliti cinque o sei amici di sempre in un clima di serena normalità e senza neppure immaginare che appena tre anni dopo avrei firmato le mie prime cambiali.
"Farfalle", qualcuno le chiamava scherzosamente ed erano austere ed istituzionali, ma le firmai fiducioso e a cuor leggero perché avevo già un bel lavoro a tempo indeterminato, in cambio di una camera da letto in noce scuro che sapeva di mobile nuovo.

Lì avrei riposato per anni, stanco delle lunghe giornate di lavoro e sarei rimasto a contemplare estasiato il sonno beato di mia figlia appena nata, pieno di smorfie e di sorrisetti involontari.
La possibilità di un futuro era stata la mia vera festa.
Santa fu la sfera della penna Bic che scorrendo sulle “farfalle” aveva disegnato la mia firma e il contorno di una speranza di crescita. Di una prospettiva di vita.

Io vorrei dirti che parlo così per invidia. Perché diciott’anni li ho compiuti già tre volte e un pezzetto e dammi retta, nessuno è felice di invecchiare. Invece penso alla tua festa, ai contratti di lavoro precari, ad una instabilità che non ti permetterà alcun progetto. Alla tua firma che non vale un letto in noce scuro.

Non ti abbiamo consegnato un bel mondo, per questo forse ti facciamo festeggiare in grande, l’impossibilità di diventare grande.
Liberatevi di noi prima possibile e riprendetevi la vita.
Questo ti auguro, insieme ad una fetta di Pan di Spagna crema e cioccolata.


di SIMONE ANGELO CANNATA'

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